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- Cap. 20 Delle diligenze e fatiche, che il N.V.P. Fondatore faceva in detto tempo nelle Scuole
Non vorria che cadesse in animo ad alcuno che il N.V.P. Fondatore vedendosi Generale della Religione e questa per la Dio gratia assai ben fornita di Operarti per l'Istituto, si fosse sottratto dalla fatica, e vigilanza delle scuole. Anzi io con ogni asseveratione come testimonio di vista, affermo che sempre più vivamente cresceva nel fervore, e vigilanza.
In tanto che come diligentissimo Superiore e vigilantissimo Pastore, prevedeva gli accidenti per oviarli, e rimediarli, et era il primo nelle fatiche, siche mentre erano li scuolari in nostra casa, mai egli stava occupato in altro che in quelli.
Ogni giorno, anzi mattina e sera visitava tutte le scuole, e si tratteneva dove vedeva maggior bisogno, sì per dare al Maestro il vero modo d'insegnare in atto pratico, come per rafrenare la vivacità de scuolari, e premiare la diligenza di quelli, portando sempre seco per tale effetto delli premii. Le scuole però dove più si tratteneva erano la quarta di grammatica per li buoni fondamenti, e l'Abbaco, e di questa ne fu sempre zelosissimo desiderando, e procurando di renderli virtuosi e nelli costumi e nello scrivere et Abbaco, perchè fossero poi christiani buoni, et abili a procaciarsi christianamente il vitto, come che siano li più poveri, e quelli, che in breve escono dalla nostra direttione, però in questa più insisteva.
Et occorrendo che si sentisse per le scuole qualche rumore di strilli, o pianto egli subito vi accorreva, o se io vi ero vicino mi mandava colla per sapere la cagione. Se poi si scuopriva in qualche scuola cosa di offesa di Dio, essendosi accertato della verità, secondo l'eccesso egli stesso con proprie mani lo castigava, o faceva castigare in sua presenza con ogni modestia religiosa però, e mai con le carni nude, e per tale cagione si tenivano alcune mutande, che servivano per li castighi più rigorosi, mandandoli poi all'Oratorio a far oratio-ne, e dal Confessore, o per se medesimo erano con efficacissime es-sortationi disposti alla emendatione, e confessione, con la cognitione della bruttezza del peccato, siche restavano obligati e affettionati per il castigo datoli, conoscendo che era molto meglio esser castigati dal Maestro, che dal giudice, o dal Demonio nell'inferno.
Nelle negligenze di scuola, voleva che il Maestro fosse dolce, e che si trovassero dell'inventioni di farli studiare senza stafile, e però non solo nelle scuole de' grandi si usavano li punti d'onore, et li nomi di dignità, ma anche con li piccolini faceva l'Imperatore, li Re, li Principi, li Decurioni con molta gara e premi et altre essentioni, dando alli negligenti delle mortificationi di scorno, perchè si adoperasse poco il stafile particolarmente nell'inferiori di S. Croce.
E perchè fra regazzetti, non è possibile si stii con la prudenza, e quiete de' grandi, particolarmente quando non si trova presente il Maestro, successe una volta che nella quinta scuola di scrivere, cioè in quella a capo la scala, e per contro la Congregatione, che prima di cominciare le scuole, stavano in detta scuola alcuni scuolarelli fra di loro scrimendo con quelli bastoni, che ordinariamente si pongono nelle scuope di seppa, e non vi essendo il Maestro si scaldarono nel gioco et inavvedutamente uno diede di punta in un occhio dell'altro, sì che con effusione di gran sangue la pupilla dell'occhio li pendeva verso le labbra. Corsero alle strilla, e pianto li scuolari più grandi di altre scuole vicine, et in effetto viddero l'occhio fuori del suo luogo, et il ragazzetto che spasimava per il dolore; vi accorse il N.V.P. Fondatore, e visto il male pose subito l'occhio nel suo luogo e tenendoli sopra la sua mano stette così alquanto il N.V.P. come in atto d'oratione, nel qual punto il regazzetto lasciò di piangere, e doppo mandollo a dire non so che oratione alla B. Vergine, e da tutti si vidde che l'occhio era al suo luogo, senza alcun diffetto, et il regazzetto quieto et allegro, poiché non più vi sentiva dolore alcuno. Il che fu tenuto per un gran prodigio da quelli scuolari grandi che erano concorsi, et come cosa di Santo l'amirarono, et a me la contò come tale un delli medesimi che la vidde, et era presente al fatto come scuolaro, et parmi si chiamasse Vincenzo, et faceva l'arte di brigliazzaro vicino a S. Eustachio per andare alla Minerva nelle bu-teghe del palazzo dell'Ili. Marchese Melchiore.
Altre simili cose, o vogliam dire miracoli sono successe, et io le tengo così in astratto, e per non me ne ricordar bene hora le lascio, forse altri se ne ricorderano.
Si erano adunati in quei tempi medesimi una quantità di giovanotti di 15 in 18 anni nelli gradili, o sian seditori di muro sotto le finestre delli Sig. Massimi nella piazza della portarla, e chiesa nostra di S. Pantaleo, e consumavano più hore in diversi giuochi, et come eran tutti poveri mendicanti, o come volgarmente si dice in Roma: baroni di Campo di Fiori, gettavano quello che mendicando havevano trovato, o pur con loro fatica guadagnato, con qualche offesa di S.D.M., o in bestemie, o parole sconcie. Per oviare a questi mali, e distogliere tale adunanza, procurò il N.V.P. Fondatore e Generale con bel modo di far che venissero da lui entro la portarla nostra; venero la maggior parte, et altri se ne fugirono, ivi adunati li fece una amorosa essortatione mostrandoli quanto era male il gettare il danaro che li era dato per amor di Dio nel giuoco, et poi l'insegnò il Pater, e l'Ave Maria, con le altre cose necessarie alla salute, et li fece dare a tutti una pagnotta da baiocco, et li diede l'hora che dovevano venire ogni giorno per imparare le sopradette cose, con promessa di darli sempre limosina, et per alcuni giorni egli medesimo l'insegnò con una carità e diligenza grande, con sempre darli per limosina ad ognuno mezza pagnotta. Ma perchè poi venivano ad hore interrotte ordinò a me che ero Portinaro, che l'insegnassi quando venivano, e li dessi la medesima limosina. Vennero per qualche tempo, ma come vagabondi non perseverarono, si levò però il giuoco.
Vennero a Roma per l'anno Santo 1625 alcuni huomini fatti, in abito di pellegrino, italiani in effetto, ma tanto ignoravano delle cose di Dio, che malamente sapevano il Pater, e l'Ave Maria, del Credo e Comandamenti non ne sapevano dire una parola a proposito, e però non trovavano chi li volesse confessare, per il che eran come disperati per vedersi in Roma e non potersi confessare. Si presentarono al N.V.P. piangendo di disperatione, egli medesimo li insegnò ogni cosa, e poi me li consignò a me perchè seguitassi ad insegnarli, e come poverelli se li dava anche limosina. In alcuni giorni appresero sufficientemente il tutto, et confessati dal medesimo N.V.P. si andarono a communicare ad una Basilica, e consolati e allegri proseguirono il loro incominciato pelegrinagio.