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CaputiNotizie03/551-559
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[551-559]

551.Trovandosi il sudetto Padre (di cui nascondo il nome, come feci del primo) in età di anni venti in circa se li presentò occasione d’esser ospite in una casa dove li convenne per più settimane far dimora, e pche in dª Casa non si trovavano p. sventura ne letti in abbondanza, ne camere, se non p. poche persone, toccò al nostro Padre essere albergato dentro una Camera in compagnia di giovanetta pulcella, poco meno dell’età sua, e ciò seguisse per semplicità o per inconsideratione non mancò il Nemico di far le parti sue con risvegliare il fuoco e perturbare la mente del Giovane con la sugestione di noiosi pensieri, persuadendosi a prevalersi della comoda occasione, con rappresentarli anco facile il modo di sodisfare all’appetito del senso senza pericolo della sua persona e dell’honore,
552.mà perche Dio l’haveva eletto per esempio al Mondo d’una singular bontà, e d’ogni virtù nella Religione, come tuttavia si sperimenta nelli suoi costumi et opere con le quali sempre più in mani solo di Dio aspira alla perfettione, non l’abbandonò in occasione di tanto pericolo, anzi multiplicando le sue gratie concesse a lui et anco alla pulcella tanto ritiramento e riguardo di se stessi, che neppure ardivano alzar gli occhi p. guardarsi, ne mai si dissero parola ne buona de indifferente, niuno volendo esser il primo a rompere il silentio, e dar principio ad attacar discorso, e stringere familiarità caminando forsi ambedue del pari nella buona guardia di se stessi, servando loro il timore et amore di Dio e della castità divenne di forte muro per tenerli divisi e separati da ogni pericolo, e con tal riserbo e cautela si portarono entrambi tutto quel tempo che nella prefata guisa li convenne cohabitare nella sopranominata Casa, da che si vede, che in tutti luoghi e tempi e stati di persona la Divina Providenza non manca di somministrare non solo sufficienti ma efficaci aiuti p. tener lontano il peccato, perche chi mai in si lungo tempo di cohabit.ne in solitaria stanza d’un giovanetto e d’una vaga pulcella haverebbe potuto durar costante senza minimo inciampo, se non quelli, a quali havendo Dio dato il dono di Castità, dovevano con l’esempio delle proprie persone far intendere a tutti, che col Divin conforto a nessuno è impossibile il viver casto.
553. Chi conservò quella erubescenza, quel silentio, quella ritiratezza e necessaria rusticità in occasione di tanto pericolo in ambidue, se non l’assistenza della Divina Mano? Chi contenne la curiosità del vedere, che facilmente invitava entrambi a rimirarsi vicendevolmente l’aspetto l’uno dell’altro, se non il dono del timore che Dio li dava? Non haverebbe potuto contenersi da rimirar e contemplare insieme l’uno il volto dell’altro attentamente osservando di qual colore fussero le guancie, se pallide o vermiglie, se gli occhi giovali o malinconici, se il naso profilato de bona proporzione, se la bocca ridente e ben formata, se le chiome di color d’oro o nere, se tutta la faccia, anzi la persona tutta fusse con le regole di bene ordinata simetria composta, chi haverebbe, dico Io, saputo alcuno dalle sudette et altre più attente osservazioni contenersi, fuor di quelli che corrispondendo a lume Divino, seppero necessitare il proprio arbitrio all’elettione della meglior parte, vincendo il senso e la ribeglione (sic) della corrotta natura?
554.Finalmente il nostro continentissimo Giovane, che come buon figlio spirituale del Venerabil P.Giuseppe Fundatore doveva tutto il corso di sua vita seguir le pedate di lui nell’acquisto et accrescimento di tutte le virtù, ma segnalatamente della Castità ammirabile, il che tuttavia và generosamente facendo, con mantenere perpetuamente viva la memoria di si caro e da lui cordialmente amato Padre, di cui tutto quel tempo che m’è toccato convivere e conversare con detto Padre ho sperimentato tanto partiale che pareva non si satiasse mai di lodare lui e tutte le sue cose non solo in parole, mà perche è da lodarsi molto più in fatti, con imitare le sue virtù e l’ardente zelo di conservare nel suo essere senza alteratione l’Instituto, come fù da Dio per mezzo del P.Fundatore messo nella sua Chiesa per la salute di molti, e tuttavia stimo che nel medesimo affetto si mantenga si verso l’Instituto come verso il P.Fundatore, al nome et alla virtù di cui è stato si sviscerato, da, che di lui hebbe notitia, che non credo lasci passar giorno senza farne honorevole mentione, mi racordo haverli sentito dire che la prima fiata che li toccò essere alla sua presenza e mirarlo in volto, gli si mostrò talmente venerando e come risplendente, che dalla prima guardata in poi non li pareva di più poter in quella faccia fissar lo sguardo, mà abbasando il capo proruppe in pianto di tenerezza si grande, che stimava di doversi risolvere in lacrime.
555.Fundato che fù il nostro Convento in Genova e Savona, chiese l’habito nostro un fratello operario chiamato fratel Francesco dell’Angelo Custode della terra d’Abruzzo, la sua professione era di far la cucina, huomo di grand.mo spirito e fervore, poco sapeva leggere ma apprendeva tanto la lettione spirituale, che quando discorreva di spirito, pareva esser un teologo e sempre citava S.Paulo. Fù questo chiamato in Roma dal P.Fondatore per far la Cucina a S.Pantaleo, e sentendo le Conferenze che faceva il P.Fundatore li venne la tentatione d’andar in Ginevra a convertir gli heretici, passò tanto avanti la tentatione che si partì senza l’ubidienza, se n’andò in Ginevra e conosciuta la sua tentatione, se ne tornò di nuovo, et il P.Fundatore p. mortificarlo lo mandò a Moricone a far la Cucina dove stiede alcuni mesi dove li venne tal melinconia che pensava volere morire, onde scrisse al P.Gle. p.tornar in Roma p. far la cucina (rotto illegibile) di bene come si legge in una lettera scritta dal (rotto illegibile) superiore.
556.Una volta haveva fatta una torta alla Genovese p. refettione de Padri, che erano di famiglia da settanta, si pose a spartirla e non trovava il modo a farne tante parti. Venne in una grand.ma melinconia, s’accominciò a raccomandarsi a Dio e a S.Fra.co suo Avocato, e mentre stava soprapensiero, vidde entrar in Cucina un fraticello con l’abito di S.Francesco, il quale li disse che lasciasse far a lui, che haveria spartita la torta.

Prese il frate il coltello da mano al fratel Francesco, e fatto il segno della Croce su la torta, la spartì ugualmente, e voltandosi il fratel Francesco pche entrava in Cucina il suo Compagno, chiamato il fratel Gio; della Passione, non vidde più il frate, e data la torta a tavola restarono tutti contenti.

Questo medesimo fratel Francº fù quello che predisse all’Arcivescovo di Messina in faccia sua medesima, che quando lui non poteva star in Messina noi haveriamo havuto il Consenso di fundare, e questo fatto mi lo raccontò lui med.mo più volte.

557.Questo ancora fù quello che scrisse una lettera al Cardinal Cesarini Protettore, la quale era piena di Teologia, sibene mal scritta et informato dal P.Fundatore volle sapere, chi era questo fratel Francº dell’Angelo Custode. Li rispose che era il Cuoco di che restò molto maravigliato, e disse al P.Fundatore che lo mandasse da lui, che lo voleva vedere, e tornato il P. a Casa disse al fratel Francesco che verso 20 hore andasse dal Cardinale Cesarini che li voleva parlare, e non mancasse.

Andò il frel Fracº con la Corona a Maria, la med.ma veste che portava in Cucina, et entrato all’Anticamera disse ad uno di quei gentilhuomini, che dicesse al Cardinale che era venuto il frel Fra.co che haveva fatto chiamare, che lo spedisse presto che haveva d’andare a provedere p. i Padri.

Lo fece entrare, quando il Cardinal lo vidde cossì unto e rovinato lo dimandò che faceva a S.Pantaleo, e rispostoli il Cuoco.

Le dimandò se la lettera l’haveva fatta lui, e rispostoli di si, l’interrogò se haveva studiato, e lui li rispose se S.Pietro haveva studiato, dal che il Cardinale resò maravigliato d’una risposta cossì astuta e lo rimandò via, questo ancora mi raccontò lui medesimo, oltre fù cosa nota a tutti.

558. Subito morto il V.P. fundatore la sera era esposto nell’oratorio dove eravamo tutti i Padri e fratelli. Entrò il fratel Fra.co con tanto fervore e cominciò a far una esortatione a tutti, che fossimo osservanti delle Costitutioni et amatori dell’Instituto come haveva ordinato il P. che ancora era presente, e se non lo vedevamo l’haveria chiamato dal cataletto, che lo dicesse lui medesimo, et atterriti tutti lo quietò il P.Castiglia con buone parole.

Alli 20 di febraio 1672 mi scrisse la morte del fratel Fra.co dell’Angelo Custode il P.Simone di S.Bartolomeo da Fanano, allhora Rettore della Casa di S.Pantaleo, et hora Assistente Generale, dicendomi, che era passato all’altra vita il fratel Francesco dell’Angelo Custode, il quale haveva fatta la Cucina quaranta e più Anni, e poi due Anni la portaria. Fù levato dalla Cucina pche haveva due fratelli giovani p. aiutanti, li quali avisava con gran.ma Carità, li presero però odio, e pciò fù posto alla porta, e quelli due frelli si spogliarono, e capittarono malamente l’anno 1670.

559.Tre giorni prima della morte del fratel Francesco, andò dal P.Simone di S.Bartolomeo Rettore, e li disse queste precise parole: Padre, Io mi sento male, e questa notte mi è apparso il nostro V.P.Fundatore, il quale m’ha detto, che mi prepari, che tra tre giorni vada in Paradiso. Li rispose il P.Simone, che vada al letto, e si riposa, che poi ci vedremo. Si l’agravò il male e presi tutti i Sant.mi Sacramenti, il terzo giorno, come haveva havuta la Visione del P.Fundatore, se ne morì con g.ma opinione di gran bontà, che fù alli 23 di febraro 1672.

E se si dovessero scrivere tutte le cose di questo Servo di Dio p. essere assai lungo, lo lasciaremo questo ad altro sugetto.

Il fine della terza parte finita alli 17 di marzo 1673.

Notas