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CaputiNotizie04/Parte 6 4ª - I
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J.M.J Parte 6ª [4ª] § 1

[Nel documento originale, da qui il testo è tutto a una colonna]

[01-50]

Parte sesta[Notas 1] delle relationi delle cose successe nella
Religione delle Scuole Pie cominciata alli 19 di
Marzo 1673 in Napoli alla Casa della
Duchesca.
1.Per esser questo giorno la festività del Glorioso Patriarca S.Giuseppe Protettore non solo del nostro venerabil P.Gioseppe della Madre di Dio nostro Fundatore, ma anco Protettore della nostra Religione, si dà principio alla quarta parte delle cose successe tanto allli nostri Padri, come delle virtù del medesimo nostro venerabil Padre p vedere quanto teneramente amava i suoi figlioli, e li compativa, dal che si vedrà l’ultimo disgusto havuto prima della sua morte p un caso orrendo successo al nostro Convento di Savona l’anno 1648 alli 6[Notas 2] di luglio alli quattro hore di notte, dove morirono sotto le rovine della Città p l’accidente come si vedrà in questa scrittura.
2.Per il Breve di Papa Innocentio Xº pubblicato alli 16 di marzo 1646 della redutione della Religione in semplice Cong.ne di Preti secolari come i Padri di S.Filippo Neri nacquero molti disturbi nella Casa di Genova, la quale era provista di molti suggetti qualificati e stimati dalla Republica di Genova, e dalla Città. Vi erano fra questi un P. chiamato il P.Gio:Fran.se, che confessava una parte della Nobiltà , huomo di gran credito, due altri Padri che non mi raccordo il nome, et un altro P. chiamato Gio: della Madonna della Neve, musico eccellente, e due altri fratelli.
Questi cominciarono a pensare, che mentre il Papa ci ha ridotti nel stato della Cong.ne dell’Oratorio di S.Filippo Neri, saria meglio che facciamo una Cong.ne dell’oratorio, e lasciamo l’habito delle Scuole Pie, che tanto staremo sotto l’Ordinario come comanda il nuovo Breve del Papa, cominciato tutti i Padri insieme, alcuni concorsero, et altri non vollero acconsentire dicendo che non era bene a lasciar l’habito delle Scuole Pie in tempo di travaglio, che havessero patienza et aspettasero il tempo delle consolationi, e questa resolutione non era cosa da farla cossì precipitosamente, et era bene darne parte al P.Fundatore per sentir il suo parere.
3.Il più fervoroso in questo negotio fù il P.Gio: della Madonna della Neve Musico, il quale era stato mortificato dal P:Mario e dal P.Stefano col levarli la scuola della Musica, che faceva in Roma alla Casa di S.Pantaleo et mandato alla Casa di Narni, a far altra scuola che non era secondo la sua professione e Genio adattarsi, il P.Stefano lo mandò a Genova.
Questo diede tanto fuoco, che finalmente posero in esecutione il loro pensiero, e spogliato si chiamò D.Pompeo Natale.
Si spogliaron tutti sei, et apersero la nuova Cong.ne di S.Filippo in una Chiesa, e continuarono con gmo fervore a far musiche e sermoni, e fra l’altri vi era un Padre che si chiamava il P. Pier Domenico da Norcia, che haveva talento particolare nel sermoneggiare con tanta gratia, che faceva stupire.
Questo fù Novitio dell’Anno 1638 mentre che Io stavo nel Novitiato di Roma a Monte Cavallo sotto la direttione del P.Gio: Stefano Spinola Maestro de Novitii.
4.Tirano questi tanto concorso alla Chiesa della nuova Cong.ne favoriti dal Cardinal Durazzo Arcivescovo di Genova e delli penitenti del P.Gio: francese, che i nostri Poveri Padri restati nella nostra Casa restavano abietti e mortificati.
Era in quel tempo in Genova il P.Gio:Chrisostomo di S.Caterina di Siena Genovese, il quale era molto zelante e gran servo di Dio, questo cominciò ad animar l’altri, che facessero bene l’Instituto, che Dio l’haveria aiutati ne si spaventassero di questa nuova persecutione, che tale si poteva chiamare, p havevano fatto perder il concetto alli Padri ch’erano restati, cominciarono a pensare, che cosa potevano fare p riacquistar il Credito, et abbattere l’orgoglio di quelli che havevano abbandonato la loro Madre.
5.S’offerse il P.Luigi di S.Caterina /dalle Carcare/ che quanto al predicare non solo nella Chiesa, ma nelle piazze e dove bisognava, lasciassero far a lui, che haveria fatto le sue parti, mà che l’altri attendessero alle Scuole e nelle Confessioni, che quei Padri che havevano abbandonato la Casa e la Religione con haver fondata la nuova Cong.ne di S.Filippo non sariano cossì facilmente durati di star d’accordo pche ognuno di loro haveria preteso d’esser capo e superiore, e facilmente si sariano (separati) pche già sapevano l’instabilità di tutti i soggetti, massime del P.Gio:francese, e di D.Pompeo Natale musico, che alle volte dava per la sua malinconia in qualche scattata.
Fù di ciò avisato il P.Fundatore, il quale non disse altro lasciamo far a Dio, et alla Beati.ma Vergine nostra Madre, che facendo noi l’Instituto come si deve, loro si prenderanno cura di noi, alli quali ho posto tutte le nostre speranze.
Era in quel tempo il P.Gabriele della Nuntiata /della Città di Genova/ in Roma Secretario del nostro V. Padre, che cercava di far qualche violenza contro quei Padri, ma il P.Fundatore non volle che ne parlasse e rimettesse il tutto alla Divina Volontà.
Con tutto ciò non mancò dº P.Gabriele far le sue parti aiutare con lettere /che scriveva in nome del P.Fondatore/ et esortationi a star saldi,, che Dio haveria aiutato.
6.Cominciò il P.Luigi di S.Caterina a predicare pma nella nostra Chiesa dove andavano alcuni Senatori a sentirlo, piacque tanto, che lo pregarono a continuare spesso a predicare pche quello era il vero modo di far frutto all’Anime, uno di questi fù il Sr.Fra.co Brignoli huomo di gran spirito che con tutto che fusse senatore lasciava quasi sempre d’andar in senato p andar a sentir il novello Predicatore, che poi lo volle imitare, rinunciando la veste senatoria, si fece sacerdote e cominciò ancor lui a predicare con tanto fervore e spirito, che andavano assiemi p le piazze a predicare con tanto spirito, che tutti ne restavano stupiti et il P.Luigi alle volte faceva quattro prediche il giorno p le piazze, con frutto mirabile, che con tutto, che predicasse con gma libertà contro i vitii, più era amato da tutti. Questo Sig.Francesco Brignoli venne mentre Io ero in Roma all’Anno Santo, e veniva continuamente a dir la messa nella nostra Chiesa (dove ero sacristano) con tanta devotione, che faceva stupir che l’ascoltava, e non si satiava mai dir gran bene del P.Luigi dal quale haveva havuto il spirito di devotione.
7.Una mattina mentre che stava rendendo le grazie, che haveva detto la Messa, vennero due Padri Gesuiti e lo pregarono che l’honorassero a dir la messa a la lor chiesa, et honorasse la festa di S.Francesco Xaverio che cadeva il giorno seguente, ch’erano stati più volte in Casa ad invitarlo, e mai l’havevano havuto fortuna di poterlo trovare.
Si scusò il Brignoli dicendoli che lui era venuto in Roma p fare le sue devotioni alle quali attendeva, che quasi mai stava in Casa se non a dormire, e mangiare, e che saria andato a servirli alla festa la mattina seguente, mà che non voleva cerimonie che li bastava la semplicità si come facevano li Padri delle Scuole Pie, che lo trattavano con ogni familiarità, come se fusse stato uno di loro.
8.La matina andò a dir la messa alla casa Professa della Compagnia di Giesù e tanto lo seppero catechizzare con la loro fina rettorica che rare volte si faceva vedere alla Chiesa di S.Pantaleo, il che a me in particolare fù di gmo cordoglio. Poiche l’havevo fatto pigliar amicitia e conoscere Fra.co Maria Maia Materdona che di Poeta Satirico, era divenuto tanto huomo di Spirito, che haveva composto un grosso volume stampato in Roma intitolato il Spavento de Senatori, e con questo il Brignoli spesso discorreva p dichiararali le sue propositioni, il quale li donò più corpi del suo libro con scambievole satisfatione.
Finite le sue devotioni il Brignoni se ne tornò in Genova, e fra pochi mesi prese l’habito della Compagnia di Giesù, e fra pochi Anni fece un quadragesimale in Roma alla Casa Professa della sua Compagnia con gmo applauso e concorso, mà con molta sua poca satisfattione, perche un giorno toccò la Republica di Venetia nel modo di Governare, fù accusato all’Imbasciator di Venetia, il quale si querelò con il P.Generale de Gesuiti che nel Pulpito il P:Brignoli haveva tacciata la sua Republica e non erano queste le promesse fatte alla Signoria , che l’haveva fatti tornare al loro Stato, con tante difficultà, che li facesse disdire di quel che haveva detto della comparatione del Governo e della Republica di Venetia con quella di Genova.
9.Fù necessario che il P.Brignoni si disdicesse, che non li fù di poca mortificatione, e venne in tal melanconia, che fra un anno se ne morì.
Intese il Cardinal Durazzo il frutto grande che faceva il P. nostro Luigi nel suo modo di predicare, che più volte n’haveva mandato a sentirlo, lo fece chiamare e li diede l’incombenza di predicare a tutti i Monasteri de Monache, del che restò molto satisfatto, e poi lo fece predicare due quadragesimali al Domo con grand.mo applauso universale, e si bene lui s’haveva scusato non esser sugetto per quel pulpito, con tutto ciò fù necessario che ubidisse il Cardinale mentre che alhora stava sugetto a lui come Ordinario, che cossì comandava il Breve di Papa Innocenzio.
10.Fù tanto il nome, che prese il P.Luigi con il suo modo di predicare, che presto la nuova Cong.ne di S.Filippo in Genova tornò quasi in niente, perche quelli ch’erano usciti dalle Scuole Pie cominciarono con le gare, che tutti volevano esser superiori; si partì il P.Gio: francese, et anco il P.Gio: della Madonna della Neve, detto poi D.Pompeo Natale, questo se ne venne in Roma, fece istanza ai nostri Padri, che lo ripigliassero in Casa, che voleva far la scuola di Musica in habito di prete secolare, che si contentava solo del vitto e vestito saria stato da p se.
Considerando i Padri che la scuola di Musica era di gran frutto alli figlioli, ne per alhora vi era che la facesse, che il Sr.D.Pietro Cessis, che in quel tempo stava in Casa nostra, e faceva questa Carità, et insegnava ad alcuni figlioli, e pche D.Pietro era stato discepolo di D.Pompeo li portava ogni rispetto.
11.Ma D.Pompeo cominciò con un modo imperioso e pretendeva che quelli che insegnava D.Pietro andassero da lui, cominciò a titubare, e vedendo i Padri la sua incostanza li dissero se voleva andar a star a Poli che non vi era altro che un Sacerdote e saria stato con ogni comodità et haveria potuto insegnar a quei figlioli pche i Padri di Roma non volevano che si facesse scola di musica formata, che solo bastava D.Pietro, che faceva quella carità, e di più dava sette scudi il mese ai Padri. Se n’andò D.Pompeo a Poli, dove stiede alcuni giorni, tornò di nuovo a S.Pantaleo et i Padri li diedero licenza che si provedesse pche non potevano tener quella spesa p esser la Casa gravata di debiti, e non volevano una bocca di più. Pose scuola di musica in Roma, dove ancora vive miseramente.
12.Da questo esempio di questi Padri che havevano lasciato l’habito alcuni Padri di Genova, cominciarono i Padri Scalzi di S.Teresa alla Nobiltà e popolo di Savona che havevano fundato in quella Città, e non havevano ancora Convento,e sol un ospitio, che la Religione delle Scuole Pie era già ridotta in Cong.ne, e pianpiano s’andava dismettendo, che vedessero far dar a loro quel Convento, che si sariano accomodati bene senza dar fastidio a nessuno, e quel che havevano loro li saria bastato.
Con queste esortationi delli Padri preparavano con quei Sig.ri del Governo della Città, et altri Benefattori, che le Scuole Pie erano destrutte, e quelli pochi che restavano attendevano a farsi qualche ammanimento p loro, che non si sapeva dove andasse a parare il lor negotio, e però stavano suspesi d’animo, che pensavano uscisse altro Breve, che ogniuno se ne vadi in Casa sua.
Seppero tanto dire questi Padri Scalzi, che li nostri Padri persero molte elemosine, che non sapevano come fare pche havevano perso il Concetto ne tampoco potevano esigere il Danaro che havevano d’havere dal legato d’una certa Sig.ra Maria Bardolla, che era di qualche consideratione, et a questo havevano posto l’animo i Pri Scalzi, che volevano il pmo.
13.Ma scoverta l’imbuscata i nostri Padri ne scrissero al P.Fundatore il quale comandò a me che spedisse una hinibitione del Auditore della Camera, che nessuno innovasse cosa alcuna, come fù fatto et intimata i Pri Scalzi che non proseguissero la fabrica, che havevano già cominciata vicino alla nostra Casa, lasciarono p. un poco et andavano trattando sottomano aspettando il tempo opportuno come pensavano.
Ricorsero i nostri Padri a Mons. Francesco Maria Spinola, vescovo di Savona, il quale era molto disgustato con la Città pche havevano litigato che voleva far la visita all’ospedale p veder come andavano l’entrade, s’appellò la Città in Roma dove fù chiamato il Vescovo, il quale hebbe il Decreto in favore, che li sia lecito a visitare, tornato a Savona non li fù dato l’ingresso nella Città, e perciò si ritirò ad una Terra della Diocesi chiamata Arbizola lontana dalla Città circa da due miglia.
14.Qui andarono i nostri Padri ad informar il vescovo, che pativano del necessario, e non sapevano come si fare a campare, e ricorrevano a lui come loro Superiore, che l’aiutasse e difensasse in queste loro necessità e travagli.
Li raccolse il pio Prelato, et animandoli li disse che stassero pur saldi, e non havessero paura, che lui l’haveria aiutati, e difensati p quanto poteva in tutte le cose. Ordinò che havessero cura del Seminario e li fusse assegnato la provisione di ottanta scudi, e che delli quattro monasterii di monache confessavano i Padri Scalzi di S.Teresa ne fusero assegnati due alli Padri delle Scuole Pie, uno al P.Pietro Paolo Berro da Savona, e l’altro al P.Bartolomeo dalle Mallare come huomini più vecchi e prattichi nelle Confessioni, e che se li assegnasse competente provisione, e con questo non haveriano tanto bisogno dalla Città, che attendessero con fervore a far il loro Instituto, che lui sempre l’haveria aiutati in qualsivoglia maniera, quando havessero difficultà ricorressero da lui, che haveria proveduto.
15.Tornarono i Padri in Savona con questa buona dispositione di Mons.Vescovo e cominciarono con gmo fervore a dar principio al Seminario et alle Confessioni delli due Monasteri, il che diede gran fastidio ad alcuni pochi amorevoli dei Padri massime, che haveva levati i due Monasterii ai Padri Scalzi , che come nuovi nella Città tutti l’havevano grand.ma devotione. Altre persone pie rincoravano i Padri delle Scuole Pie che seguitassero et tirassero pure avanti che si vedeva chiaramente che Dio l’aiutava.
Diedero grand.ma satisfatione i nostri Padri tanto con le scuole come nelle Confesioni, et altre devotioni che andavano introducendo p cativarsi la bona volontà del privato pche il publico, che vedeva che il vescovo l’aiutava non volle mai restituirli quel che p.ma l’haveva assignato.
16.Alli 26 di Luglio 1648 andò dalle Carcare a Savona il P.Ciriaco Lucchese, Ministro del Convento delle Carcare p alcuni (negozi) di quella Casa, stiede tutto il giorno nel Convento di Savona. La sera cenò, e poi prese licenza che la matina voleva partir di notte per il fresco, andò a dormire nel Borgo in Casa di Giovanni ortolano, che soleva portar l’erbe alle Carcare, pche le porte della Città di Savona s’aprivano tardi p. la gelosia che hanno li Genovesi p esser luogo di marina, e vogliono sapere chi entra e chi esce, e la notte tiene le Chiavi della Città il Governatore, il quale sol esser Cavaliere principale Genovese. Licenziato il P.Ciriaco i Padri se n’andarono al fresco alla logetta, dove facevano la loro recreatione, e guardavano il Torrione del Castello, il quale era vicino alla nostra Casa quasi un tiro di pietra, et tutta quella sera non si parlò d’altro di castigo di Dio, che doveva mandare alla Città di Savona p i peccati che si commettevano, e sempre guardavano quel Torrione, il quale era molto bene guarnito di soldatesca et ogni sera rimaneva una Compagnia di Corsi. Haveva dieci pezzi di grossi Cannoni, quattrocento palle e fuochi artificiali , e mille e venti barili di polvere, che come bastione Reale era fortificato a maggiore p alcuna gelosia de francesi.
17.Era successo un caso ad un Castello chiamato Colombara, dove li spagnoli havevano sbarcati molti centinara di barili di polvere venuti da Spagna per mandarli alle frontiere e fortezze di Milano,una /illegibile,rotto.N.d.T./ un gran temporale di saette, ne cadè una al detto Castello di Colombara diede fuoco alla polvere e fece grandissimi danni et il castello andò p aria con la morte di quanti vi erano dentro e di molte delle ville convicine, che per esser lontano solo quattro miglia da Genova era molto quel paese popolato.
Per questo accidente la Città di Savona fece instanza al Senato Genovese che li facesse gratia dar ordine che sia levata detta polvere dal Bastione Reale acciò non succedesse qualche disgratia simile all’altra che p. esser la munitione assai poteva rovinare tutta la Città, che Dio ce ne guardi.
Parve al Senato giusta la petitione de Savonesi, e diede ordine che fusse levata la munitione, che solo ne tenesse tanto, qto bastava p qualche bisogno urgente.
18.Spedito l’ordine del Senato, lo portarono al Colonnello del Bastione e visto quanto l’era stato ordinato, li rispose, che doveva ritornar l’armata di Francia dal Regno di Napoli, dove erano state le revolutioni, e che passata che fusse haveria fatto levar la polvere, e portarla ad altro luogo assai lontano acciò venendo qualche accidente non potesse far danno a nessuno.
Non fù mai possibile a rimovere il Colonnello, che facesse levar detta polvere con tutto che lo comandasse il Governatore della Città, et il Castellano, et altri officiali della Republica, che parevano d’esser convenienti le raggioni del Colonnello.
Finita la recreatione de nostri Padri il P.Ministro diede la bened.ne et andaron p riposarsi. il P.Giacinto Ferro di Savona disse al P.Gioseppe di S.Gioacchino a rivederci domani, li rispose, che piacesse a Dio si sariano riveduti, mà come presaggiva, che non si sariano mai più veduti e tutti mesti e melanconici andarono a riposarsi, mà mal voluntieri si potevano scompagnare.
19.Era venuto da Palermo questo P.Giacinto Ferro a prender alcuni suoi Nepoti p portarli a Palermo, dove suo fratello haveva una grossa mercanzia, e pensava di far Casa in quella città, e pciò haveva mandato il P.Giacinto suo fratello, acciò ivi l’accompagnasse. Non erano più di quindici giorni, ch’era arrivato a Savona dove era stato alcuni giorni nella villa del fratello, et alla casa nostra poche sera, e di già era apprestato l’imbarco per il ritorno di Palermo con suoi nepoti. La sera delli 17 di luglio 1648, giorno di Venerdì alle quattro hore della notte, cominciò a tuonare, mandar l’aria lampi e saette in tal maniera, che pareva volesse arder tutto il Mondo , il p.mo che si levò fù il P.Agostino di S.Carlo in quel tempo Chierico, e chiamò un altro frello chiamato Antonio di Savona, se n’andarono al Campanile e cominciarono a sonar le campane e raccomandarsi a Dio pche i lampi e le saette erano tanto spessi, che cominciarono a piangere, che pensavano, che allora dovevano morire e benche non fusse officio loro d’andar a sonare pche non erano sacrestani Iddio l’inspirò che andassero a sonare.
20. Al rumore di tuoni e saette, e delle Campane si svegliò il P.Gioseppe di S.Gioachino, si levò dal letto tutto spaventato, apri la fenestra della sua cella e vedendo le saette formidabili e lampi, che mai mancavano, pose i suoi libri alla porta della finestra p non veder i lampi, e vedendo solo e spaventato stava con grand.mo timore raccomandandosi a Dio, a S.Gioseppe, et a S.Filippo Neri suoi Avocati. Si fece Animo pensò d’andare da quelli due, che sonavano le Campane p star almeno in compagnia loro p esser più sicuro. Arrivato ad una certa loggetta, dove era una finestra, che corrrispondeva al Campanile, tutto tremante e spaventato, che appena poteva proferire una parola cominciò come poteva a gridare Deo gratias, Deo gratias, fratel Agostino, fratel Antonio, quelli non rispondevano pche parte p la paura, e parte p l’applicatione del sonare, e lui li guardava e vedeva al lume delli lampi e non li bastava l’animo d’andar a trovarli pche doveva scendere un altra scala precipitosa, fece resolutione di tornarsene alla sua Cella a far oratione.
21.Se n’andò alla logetta grande p vedere se le barche che solevano andar a Genova a portar herbaggi erano ritornate in Porto p il mal tempo che se ne partiva alle due hore di notte. Vide con non erano partite et a quel tempo li venne inanzi un lampo et una saetta, che cadde spaventato, e carponi al meglio che potè si ritirò in camera, che s’haveva da morire voleva morir nella sua Cella, e raccomandandosi a Dio, e suoi Santi devoti.
Tornato al meglio che potè dentro la sua Cella prese il suo Crocefisso e postosi in genocchioni avanti il suo letto con un Crocefisso nelle mani cominciò a piangere pronunciando con g.ma devotione quelle parole sacratissime del vangelo di San Giovanni, et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. Sancte Joseph ora pro me; Sancte Philippe Neri intercede pro me. Non cessò mai di proferir queste parole con grand.ma devotione, e facendo interni atti di contritione raccomandandosi spesso alli due Santi suoi Avocati, alla Beati.ma Vergine, et al suo Angelo Custode, e faceva atti di contritione.
22.Venne una saetta, percosse il Bastione Reale dove stava la polvere, s’attaccò il fuoco alli Cannoni, et alle Balle artificiali et il p.mo che colse fù il nostro Convento, che era più vicino, cascò tutto il Convento e tutto il Borgo vicino, rovinò molti palazzi della Città, e spalancò le porte di ferro della fortezza Reale benche di ferro, dove morirono mille e più persone fra quale furon sei Padri nostri Sacerdoti, chiamati il pmo P.Pietro Paulo di Savona, 2º il P.Bartolomeo, 3º il P.Gio:Maria, 4º P.Gioseppe Rocca di Savona, 5º P.Ottavio da Genova e sesto il P.Giacinto Ferro che era venuto da Palermo a pigliar i suoi nepoti, come si disse di sopra; che poi furono trovati morti sotto le rovine.
23.Per sepellire i Morti fù fatta una fossa alla marina, e parte ne sepellirono alla Parrochia di S.Pietro.
Il P.Gioseppe di S.Gioacchino, mentre che stava in genocchio raccomandandosi a Dio, a S.Gioseppe e a S.Filippo Neri li cascò la Cella adosso et andò soto le rovine, e vidde, che S.Gioseppe e S.Filippo l’andavano levando le rovine da dosso ma solo li restò un piede sotto un muro, e chiamando in aiuto i suoi Santi devoti poco a poco cavò il piede da sotto il muro e miracolosamente s’attaccava alle muraglie cadute e zoppicando al meglio che potè uscì fuora delle mure cadute, dove appresso di se trovò il Breviario et il catechismo da dove prese speranza che li suoi Santi devoti l’haveriano liberato dalla morte. S’adormentò un poco e venendo nuovi lampi e saette cominciò ad invocare S.Gioseppe e San Filippo, e pianpiano con piede che non era offeso s’andava attaccando alle rovine e ne uscì fuora, e carponi s’andava strascinando sintanto che uscì nella strada, e non si sentiva altro, che pianti, gridi e misericordia.
24.Si fece animo e propose strascinarsi al Vescovato dove correvano tutti, senza guardarsi l’un l’altro, altro chiamava la madre, chi il figlio, andavano tutti sbalorditi e forsennati, solo gridavano per quelle strade misercordia Sig.re de nostri peccati et il povero P.Gioseppe tutto pesto p le percosse, e tutto stordito, et il piede tutto rovinato, dissanimato di poter giungere al Vescovato s’avvide che era vicino alla Chiesa delli Padri Scalzi di S.Teresa, dove correvano tutti i Convicini, vi si trascinò dentro al meglio che potè, et entrato in un Confessionario vi si pose a sedere, dove non sentiva altro che pianti, urli, e gridi, chi piangeva i figli, chi la madre e chi i parenti, lui s’andava rincorando e facendo animo e ringratiava Dio et i suoi Santi devoti che l’havevano salvato da quella morte, s’andava sempre raccomandando a loro.
25.Fatto giorno la matina delli 18 di luglio, il P.Gioseppe provò di levarsi in piedi non poteva caminare e riconosciuto da certi nostri benefattori li domandarono come haveva fatto a scampar la morte et era venuto ivi, e che cosa era fatto dell’altri Padri pche nel passare havevano veduto tutto il Convento rovinato per terra et in particolare la facciata della Chiesa, che era cascata da fondamenti.
Li rispose il P.Gioseppe tutto sbalordito che lui non sapeva niente dell’altri, ma riconosceva esser vivo p miracolo grande di S.Gioseppe e di S.Filippo Neri, che l’havevano cavato da sotto le rovine, e l’haveva veduti benissimo, che l’andavano levando le muraglie cascatele adosso acciò non morisse, ma l’era tanto pesto tutto livido e guasto il piede che non si poteva movere p caminare, ne sapeva dove s’andare p potersi riposare e saper nuova dell’altri Padri s’erano vivi o morti, mà pche lui era tanto sbalordito dalle percosse delle mura cascateli adosso e dal dolore, che appena sapeva esser in quella Chiesa.
26.Fu chiamato un Nepote del P.Giacinto Ferro, e dettoli che vi era nella med.ma Chiesa un Padre delle Scuole Pie tutto rovinato e non poteva muoversi da dentro un Confessionario
Corse subito il Giovane p sapere qualche cosa se fusse vivo il P.Giacinto suo zio, e visto il P.Giuseppe lo dimandò se haveva nuova del P.Giacinto e dell’altri Padri.
Li rispose il P.Gioseppe, che non sapeva cosa nessuna, e non l’haveva veduto se non quando andarono a dormire, che li facessero la Carità andar a chiamare il frello del P.Giacinto pche non poteva caminare ne sapeva come si fare acciò fusse accompagnato all’ospedale p riposarsi e farsi medicare che non poteva più resistere del dolore.
Fu subito appoggiato al meglio che si poteva, e portato in Casa del frello del P.Giacinto Ferro dove con gma carità tanto dal marito, quanto della moglie fù fatto mettere a letto, e domandatolo se sapeva cosa nessuna del P.Giacinto suo frello, s’era vivo o pur morto.
27.Non li sapeva rispondere altro che non sapeva niente di nessuno.
Fatti chiamar i medici lo fecero insanguinare et ungerlo tutto d’oglio santo, e coprir stretto, li dissero, che lasciassero riposare, che speravano che si rihavese.
Sentito l’orrendo caso il P.Ciriaco Superior delle Carcare, che dormiva nel Borgo in Casa dell’ortolano, procurò quando potè d’entrar nella Città p vedere se i Padri havevano patito qualche disgratia et andato al Convento lo trovò tutto rovinato e diroccato da fundamenti, e solo si vedeva il Campanile, e piangendo i suoi fratelli che stavano morti sotto le rovine, fù chiamato dal Campanile dal P.Agostino di S.Carlo e del fratello Antonio, che eran quelli che havevano sonato le Campane, che tutti tremanti, e sbalorditi dalla paura e dalla polvere li chiesero aiuto acciò potessero scendere pche non potevano p esser rotte tutte le scale e buttandosi da sopra sopra le rovine si mettevano a manifesto pericolo della vita.
28.Li rispose piangendo il P.Ciriaco, che non temessero et havessero patienza frattanto procurava una scala, che sariano scesi con comodità et haveria fatto quanto prima poteva.
Erano rovinati tutti i solari del Campanile e solo era restato un pezzo d’atrio quanto potevano star loro impiedi.
Fu portata la scala et appoggiata sulle rovine, et al Campanile, scese il P.Agostino di S.Carlo tutto sbalordito, lo posero a sedere su la strada tutto impolverato e tremante p la paura. Fù necessario che saglissero due ad aiutare il frel Antonio, che non poteva pche haveva havuto una botta di pietra in un piede, non si poteva cossì facilmente aiutare, e calatolo abasso, li portarono due (tutti) due all’ospidale a ristorarli, e fattoli cavar sangue in pochi giorni furono del tutto sani, et il P.Agostino più e più volte m’ha detto che lui haveva alcuni Capelli del P.Fondatore alli quali haveva grand.ma fede p haverne veduto miracoli grandi et in particolare p haver sanato Gio:Benedetto da Triponso Villaggio di Norcia, il quale venne nella nostra Casa di Norcia come Benefattore, p strada li venne un accidente.
29.Se li rivoltarono le budella che si chiama il male del miserere, in tal maniera, che vomitava il sterco p la bocca, il P.Gio:Batta di S.Tecla, che all’hora era ministro della Casa di Norcia fece chiamar i medici, e subito lo fecero spedito dicendoli che si confessasse, e prendesse l’estrema untione non potendosi comunicare p il vomito e si preparasse a ben morire pche a questo male vi era rimedio alcuno, che solo la mano di Dio lo poteva guarire.
Il P.Gio:Battista Ministro diede ordine che tutti i Padri e fratelli a vicenda assistano al dº Gio:Benedetto mentre, che passa all’altra vita e li faccino la Carità voluntieri pche sempre è stato nostro benefattore. Cominciarono a vicenda i Padri a starvi un hora per uno, venne poi il tempo che toccava al P.Agostino come è chierico, e cominciandoli a dire molte cose spirituali. Il languente Infermo inspirato da Dio come piamente si crede, domandò il P.Agostino se havesse qualche Reliquia di qualche Santo li facesse la Carità toccarla sul ventre, che haveva fede, che saria sanato.
30.Li rispose il P.Agostino, che haveva alcuni capelli del nostro P. Fundatore, li quali havevano fatti molti miracoli, mà pche ancora era vivo, non li voleva dare a farne altra prova.
Li replicò l’infermo, che li facesse la Carità dargliele in mano, che haveva fede grande che p li meriti del P.Gioseppe della Mre di Dio saria sanato.
Cavò il P.Agostino i capelli del P.Fundatore dalla sua borsetta che teneva con gma veneratione, li diede a Giovanni il quale li prese con grand.ma devotione, e bagiateli se li pose sopra il ventre dicendo al meglio che poteva l’Ave Maria con in sudº P.Agostino, si sentì come se si voltasse una botte fortemente, e tornarono le budella al loco loro, come quando era sano, siche restò libero affatto.
La matina a buon hora volle Gio: in ogni modo partire, benche i Padri non volessero, dicendo, che voleva andar a Triponso sua Patria, e poi andar in Roma a ringratiar il suo Benefattore.
31. Di questo fatto ne fù fatta una fede publica sottoscritta dal dº P.Agostino, che ancora vive, dal P.Riccardo di S.Filippo Neri lucchese, dal fratel Paulo di S.Gioseppe da Bisignano, e d’altri, che habitavano in quel tempo alla Casa di Norcia. La qual fede è stata conservata da me in Roma più di quindici anni, che nella mia partenza lasciai con l’altre scritture al P.Gioseppe della Visitatione Generale, oltre che il med.mo Gio:Benedetti lo pubblicò a più persone, e le nuove n’andarono sino in Germania, da dove mi scrisse il P.Pietro Paulo della Madre di Dio Ministro delel Scuole Pie di Nicolspurgh in Boemia, che haveva saputo questo fatto, che vedesse s’era vero, e ne li mandassi una fede autentica, ma che non fusse penetrato, pche serviva esser il nostro Padre fundatore ancor vivo, questo fù del Anno 1647. Per il che pregai il Padre Benedetto di Giesù Maria da Norcia, che scrivesse a suo Padre che facesse far fede dal dº Gio:Benedetti da Triponso di questo successo, come tutto fù fatto, venne la fede, e la mandai in Germania. Oltre il P.Agostino mi mostrò una altra fede, fatta di propria mano del dº Gio: si bene non era autentica, quale credo che ancora conserva.
32.Ho voluto stender qui questo fatto per far vedere la fede e div.ne che il P.Agostino haveva alli meriti del P.Fundatore ancor che fusse vivo, e pciò il P.Agostino tiene cari quei capelli del Venerabil Padre, come se fussero Reliquie di Santi e questo me l’ha raccontato più volte a me medº.
Un altro fratello operario, chiamato il fratel Gio:Battista da Gottasecca in Piemonte fù trovato lontano dalle rovine del nostro Convento quanto un tiro di muschetto verso l’arena della Marina, mandato ivi p la vehemenza delle rovine, che lui medesimo non sapeva come si fusse trovato, era tutto impolverato, pauroso, tremente e cieco che non vedeva, tutto sbalordito, fù pma fermato all’ospidale, dove non faceva altro che tremare, e da quando in quando diceva fugiamo solamente, dove siamo, e se dormiva quando si svegliava subito si guardava e diceva, che voleva fuggire . Alli cinque giorni li venne la vista, ma sempre stava con quei spaventi e tremolio che li durò quasi un mese, e venuti l’altri Padri si rialzò. e stiede bene.
33.Vi era quella sera nel Convento de Padri delle Scuole Pie un frate Riformato di S.Francesco, il quale p.ma era stato de nostri e pche al tempo del Breve di Papa Inncenzio non si potè più far professione si fece zoccolante riformato.
Era questo frate venuto a Savona p veder i suoi Parenti e pche portava affetto all’habito nostro dove era stato cresciuto, p. non star in casa di secolari cercò l’ospitio a nostri Padri p quella notte, che voluntieri li fecero la Carità.
Fù posto all’Infermaria, dove non era altro che lui, il quale serratosi dentro si pose a dormire e nessuno fuor che i Padri sapeva, che quel Religioso fusse ivi. Erano cascate tutte le muraglie, et il solaro et il povero frate trovandosi al letto tutto spaventato e coperto di calcinaccio e pietre non sapeva come fare pche non poteva fugire essendo rovinate tutte quattro le muraglie et il solaro di sopra, era solo restato il pavimento dove dormiva.
34.Andava facendo le diligenze il P. Ciriaco con pale et altri ammanimenti con due frelli che vennero subito dalle Carcare saputa la disgratia, pche volevano vedere se si trovava qualcheduno de Padri, vidde quel solaro con il letto dove trovò il frate coverto di terra, e calcinaccio con pietre, et alzate le coperte lo trovò che era vivo, ma tutto pavoroso, e tremante, lo fece levare e scender p una scala a piroli senza lesione nessuna, mà tutto spaventato se n’andò a casa da suoi Parenti a ristorarsi.
Habbiamo visto sin hora cose molto maravigliose, ma ne diremo un altro di non minor meraviglia e di gma consideratione p vedere quanto importa caminare in questo secolo con g.ma semplicità e bontà di vita.
35.Havevano i Padri un Chierico che se ne servivano p servir la messa, et altre facende di Casa, il quale era semplicissimo e metteva le mani per tutto, che per sopranome chiamavano la Gazza , che finite le sue facende lo facevano studiare, e dormiva in Casa.
Andava il P.Ciriaco con altro fratello osservando di trovar i corpi morti sotto le rovine, sentivano una voce sotterranea, mà non sapevano da dove venisse, cominciarono a cavare, et osservando attentamente sentirono pma bene un lamento flebile. Qui disse il P.Ciriaco è necessario cavare /Passava in quel mentre il padre del chierico messo sotto le rovine che andava vedendo se poteva haver nuova del figlio, e chiamato dal P.Ciriaco, che l’andasse ad aiutare pche se sentiva una voce flebile/ e dato mano alla zappa et alle pale viddero i piedi del povero Chierico che stava con il capo in giù sotto le rovine suspeso, e fattoli animo li dissero che non dubitasse, e stasse allegramente che l’haveriano aiutato e presoli li piedi lo cavarono fuora tutto rovinato dalle percosse delle pietre, e postolo sopra una barella lo condussero mezzo morto allo spedale in tal maniera che non poteva parlare.
36.Ristoratolo lo cominciarono ad interrogare. Disse che haveva chiamato in aiuto la Beati.ma Vergine della Misericordia /la quale l’era apparasa vestita di bianco/, che lo liberasse e si sentiva tenere p i piedi, e non sapeva da chi. Fù fatto attestato che dopo quindici hore era stato cavato fuora delle rovine, e cossì miracolosamente liberato e fra pochi giorni fù del tutto sano, ma solo restò offeso in una Coscia, che poi p accidente se la ruppe in altra occasione. Siche tutti quattro furono portati all’ospedale, cioè il P.Agostino di S.Carlo, il fratel Antonio, che sonavano le campane, il frello Gio:Battista Cieco p la polvere, et il Chierico Gazza che p gratia di Dio tutti quattro furono miracolosamente liberati.
37.Saputo dal P.Ciriaco che il P.Gioseppe di S.Gioacchino era stato portato in Casa del fratello del P.Giacinto Ferro l’andò a vedere come stava p consolarlo, e trovatolo in quella guisa lo cominciò ad interrogare dell’accidente e come si poteva fare p levar via le Reliquie dalla Chiesa, che ancorche fusse tutta cascata dalli Reliquiari in giù, e dal tabernacolo al Altar Maggiore, li quadri della Chiesa tutti erano intieri, come anco le credenze dalla Sacrestia, che con tutto che fussero cascate tutte le muraglie erano salve tutte le cose sacre, e non havevano patito cosa alcuna, che già il P:Ciriaco haveva benissimo osservato che saria bene a tenerle, acciò la Città non si pigliasse il tutto e dattolo alli Padri Scalzi di S.Teresa , e mentre che la Città stava tutta sottosopra non haveria pensato a queste cose.
Conclusero tra di loro che il P.Ciriaco con bella maniera, levasse le tre Casse con li tre Corpi Santi, e l’altre Reliquie, la pisside che già erano consumate le particole dal med.mo P.Ciriaco, Calici, Messali, pianete e tutte le biancherie, ne facesse casse senza far vedere alli secolari ne facese far some e le mandasse alle Carchere con farne la ricevuta al P.Gioseppe in nome della Casa di Savona.
38.Fatta questa conclusione non perdè tempo il P.Ciriaco, andò a due fratellli venuti dalle Carcare, che già la med.ma notte seppero la rovina del Bastione, corsero subito p sapere se il P.Ciriaco loro superiore havesse patito qualche disgratia, vennero volando p saper quel che era successo, e p questo si trovarono pronti in Savona, tanto più, che rumore grande che fece si sentì p tutte quelle parti sino a Genova, che vi sono da trenta miglia di mare.
Andò il P.Ciriaco con li due fratelli, e posto le tre Cassette delli tre Corpi Santi con l’altre Reliquie dentro una Cassa, poi fece un altra cassa di Pianete, messali, Calici con la pisside, e dentro a due altre casse posero le biancherie, e fatto l’inventario di tutto quel potè pigliare lo portò al P.Gioseppe, ne li fece la ricevuta, e mandò il tutto alle Carcare con il cavallo che haveva portato il P.Ciriaco, e con quelli che havevano portati i due fratelli venuti dalle Carcare in deposito sintanto che si saria determinato quel che si poteva fare.
39.Viddero li Padri Scalzi che i nostri Padri portavano alcune robbe e considerando che haveriano lasciata affatto la fond.ne della Casa di Savona stavano allegramente per haver il campo aperto a far il loro nuovo Convento al sito delli Padri delle Scuole con i med.mi denari, che havevano della heredità della Sra. Maria Bardolla, che di danaro solo arrivava a mille e cinquecento scudi, mà con tutto che fecero sequestrar il tutto in nome della Città saria in vano come si vedrà appresso. /Furono offerti d’alcuni della Città cento zecchini, che se n’andasse al suo paese e lasciasse il tutto in nome della Città, che mentre non era restato vivo altro sacerdote di lui non facevano più i Padri delle Scuole Pie Corpo della Casa e cossì volevano legar il tutto alli Pri Scalzi di S.Teresa, et il più che faceva rumore era un tal Francesco Bona Rocca che haveva perso il P. Gioseppe Rocca suo figliolo e nostro P. sotto le rovine, questo era pche s’era fatto Scalzo di S.Teresa un altro suo figliolo. Al quale rispose il P.Gioseppe che se l’havessero dato un miglione di zecchini non haveria fatto un tal tradimento alla sua Religione. Lo persuadeva anco un tal Pietro Paulo che era stato de nostri con altri due suoi fratelli che si chiamavano P.Vincenzo della Passione, e l’altro P.Gio:Carlo, tutti due fratelli carnali et erano di Savona, che come fattori del P.Stefano lasciarono il nostro habito, questi si facevano chiamare di Casa Gavotti, mà in effetto non erano di quella famiglia. Quelli persuadevano il P.Gioseppe che consignasse il tutto alla Città e si prendesse cento zecchini, e se ne voleva più, più n’haveria havuto, mà la costanza del P.Gioseppe li rispose che lui non haveria fatto mai questo mancamento, che si maravigliava di loro che havevano lasciata la Religione, che l’haveva fatti huomini, et hora l’erano contrarii. Lui voleva perseverare sino alla morte, sapendo di restare lui solo, che restava scandalizzato, che dicevano male della Religione e tutti tre morirono in pochi mesi, e tutta la Città ne restò maravigliata/
Doppo due giorni di riposo del P.Gioseppe di S.Gioacchino il P:Ciriaco lo pregò che se n’andasse alla Carchere, e stesse ivi al letto a riposo pche dava grand’incomodo alla Casa del fratello del P.Giacinto Ferro morto sotto le rovine, che giorno e notte in quella Casa non si faceva altro che piangere la dissaventura successa a quel Padre, che non haveva dormito alla casa de Padri più di tre notti. Per il che il P.Gioseppe concorse alla voluntà del P.Ciriaco, e se n’andò alle Carcare, dove stiede venti giorni a letto, sempre spaventato e pavoroso.
40.La med.ma matina delli 18 di luglio il Governator di Savona spedì due faluche a Genova a dar parte al Senato del miserando caso successo alla Città di Savona p la polvere che non haveva voluto levare il Colonnello del Bastione Reale, che ancora non sapevano il numero dei morti, che mandassero aiuto a levar i Corpi morti et anco bastimenti p sovvenir ai Poveri che pativano p esser andato quasi tutte le vettovaglie a male.
La Città, ancor lei mandò un Gentilhuomo a dar parte alla Republica p l’aiuti necessarii per quelli miserabili, che erano restati stroppiati e feriti dalle Rovine. Si sparse subito la nuova p Genova del miserabil caso successo a Savona, et in particolare come erano morti sotto le rovine del Convento loro medesimo tutti i Padri delle Scuole Pie.
Fu subito fatto il Conseglio del Senato, e determinarono mandar una Galera apposta a Savona con medici e chirurgi, et altri aiuti con bastimenti p aiuto de Poveri.
41.Finito il Senato andarono alcuni Senatori ad udir messa nella nostra Chiesa dell’Angelo Custode, e fatto chiamar il P.Luigi li raccontarono come a Savona eran morti tutti i Padri delle Scuole Pie sotto le rovine del Convento di Savona e che quasi tutta la Città era rovinata, che doveva la matina seguente partir una Galera p Savona, se voleva andar qualche Padre colà p veder i loro interessi l’haveria fatto dar l’imbarco, e quell’aiuto che bisognava dal Senato pche faceva tanta stima del P.Luigi.
Restò attonito il P.Luigi, e fatti chiamar i Padri fecero Congregatione p veder l’espediente, che si doveva pigliare, e proposto il Caso ai Padri della casa di Genova determinarono che vi andasse uno prattico delle Cose di Savona p vedere l’interessi di quella Città, e disepellire i morti che stavano sotto le rovine, e darli degna sepoltura.
42.S’offerse il P.Gabriele della Nuntiata venuto da Roma come che lui era stato Ministro della casa di Savona, et haveva maneggiata l’heredità lasciata dalla Sª Maria Bardolla, e sapeva benissimo tutti l’interessi della Casa di Savona, li fù dato un Compagno e le cose nec.rie.
La matina delli 20 di luglio s’imbarcò sopra la galera, e giunsero a Savona a buon hora, e subito se n’andò dalle rovine e trovato il P.Ciriaco commiserandosi assieme diedero principio a trovar i corpi delli sei Padri morti, quali furono cavati, e datali sepoltura parte alla parrocchia di S.Pietro, e parte ad un fosso fatto apposta alla marina, furono pianti e fattili i suffragii al meglio che poterono, et osservate le cose il P.Gabriele diede principio a veder l’interessi dell’heredità della Bardolla, acciò si vedesse il denaro che stava in deposito come stava, e quanto rimaneva per assicurarlo acciò non andasse male pche haveva inteso, che ostava la Città.
43.Cominciò il P.Gabriele a trattare con li ministri del Monte della Pietà per vedere quanto era il danaro che stava in deposito a quella Banca, che havevano depositato i Padri p la Compra d’un Palazzo vicino al Convento.
Fù risposto, che erano sette mila lire, mà che erano sequestrate dalla Città perche le Scuole Pie erano destrutte p il Breve di Papa Innocenzio Decimo, e non volevano, che questo danaro capitasse alle mani di nessuno de Padri che potevano pigliarselo e portarlo via e la Città ne restaria priva, mà volevano applicarli ai Padri Scalzi di S.Teresa chiamati dalla Città, che p esser Poveri e nuovi havevano di bisogno, e li volevano aiutare.
44.Tutto questo fù detto al P.Gabriele confidentemente da un Ministro del Monte della Pietà, et il P.Gabriele dissimulando di non saper niente scrisse a me in Roma, che spedisse una hinibizione dall’Auditor della Camera con l’insertione della Scomunica citando il Breve, che non era la Religione altrimente destrutta, ma solo ridotta in Cong.ne. Oltre, che l’esecutione del Breve tocava al suo Tribunale. Fù fatto passar p la Dataria e registrato asserendosi la scomunica et altre pene riserbate solamente al Papa. Fù subito spedita l’hinibitione con tutte le Clausole necessarie e mandata alli Padri di Genova acciò secretamente la mandassero a Savona p poterla far intimare a chi bisognava acciò la Causa non andasse con la pretensione in Senato, dove poi era necessario far un altra formata che facilmente il Senato haveria haderito alla Città p dar disgusto al Vescovo p la sua giurisditione come pretendevano, e vedevano che il Vescovo portava i Padri delle Scuole Pie.
45.Fù commessa dª hinibitione al Tribunale del Vescovo di Savona, ma pma di presentarlo al Vicario Generale lo fecero veder al Vescovo acciò li dicesse il suo parere, e consultasse come si poteva fare acciò non si facesse errore.
Mons.Vescovo con prudenza cominciò a considerare saria accender qualche gran fuoco con la Republica senza profitto de Padri, e con pericolo di perdere il danaro. Disse che si soprasedesse, che p.ma era necessario di nuovo cominciar a far le scuole con quei pochi Padri che si potevano havere, che bastava ne venisse un altro che fusse di Savona, che cossì cessaria ogni dubio, e saria sicuro il danaro, ne poteva replicare la Città, che se fusse qualche forestiero l’haveria potuto portar via senza poterlo più ricuperare, e considerato che la consulta era buona, fù concluso che venisse da Genova il P:Geronimo di S.Caterina dove stava di famiglia, che era di Savona, e prattico anco di queste materie, haveria operato il tutto con ogni scaltrezza, che pianpiano e senza rumore s’andasse operando con destrezza.
Fratanto Mons.Franceco Maria Spinola fece pigliar una Casa a piggione da un Canonico acciò vi potessero star i Padri, et accominciarvi le scuole con darli la provisione del Seminario.
46.Passati venti giorni fù chiamato dalle Carchere il P.Gioseppe di S.Gioacchino che già s’era rihavuto dalle percosse del piede, mà non già dalla paura. Tornato a Savona cominciarono far due scuole, la prima il dº P.Gioseppe, e l’altra il P.Agostino di S.Carlo, che allhora era Chierico. Il P.Geronimo di S.Caterina haveva cura della Casa, et il fratel Antonio e Gio:Battista con il Chierico levato da sotto le rovine facevano le facende di Casa,/La Città cominciò una lite, che non voleva il P.Geronimo di S.Caterina pche non era stato di quella famiglia, e mentre la Relig.ne era stata destrutta non volevano crescere de altri Religiosi Poveri alla Città, che non si possano mantenere. Il P.Gioseppe di S.Gioacchino aggregò il P.Geronimo alla famiglia p strumento publico e cossì passò questa borrasca e restò Superiore il P.Geronimo. Tutta questa materia la fece Frco Rocca a contemplatione de Padri Scalzi di S.Teresa pche come si disse era morto sotto le rovine il P.Gioseppe Rocca et haveva un altro figlio, che s’era fatto Scalzo di S.Teresa / e s’andavano agiutando come meglio potevano perche non havevano altro, che la provisione del Seminario, e qualche elemosina da qualche particolare, pche la Nobiltà non era amica de nostri Padri, pche erano favoriti dal Vescovo, che l’aiutava quanto poteva, dispiacendoli assai non haver altri suggetti che potessero attendere alle Confessioni delli due Monasterii come facevano prima della disgratia.
47.Venne la nuova in Roma della disgratia successa. Andai Io medesimo a prender le lettere dalla Posta, et inteso il Caso da molti Genovesi, non dissi cossa nessuna al P.Fundatore, ma li diedi le lettere nelle mani trovando scusa che haveria mandato il P.Vincenzo della Concettione da Savona, acciò li leggesse le lettere venute da Genova, pche Io dovevo andare p altri negotii non volendomi trovar presente al disgusto del Padre, che sapevo che molto l’haveria sentito.
Venuto il P.Vincenzo che non sapeva cosa nessuna, apri le lettere e cominciato a leggere trovò il lacrimevol caso, cominciarono a piangere ambidue, che non fù possibile per il pianto poterle finire, tanto più che non solo il P.Vincenzo che era di Savona, ma il P:Pietro Paulo morto sotto le rovine l’era fratello carnale, che ognuno puol pensare quanto li pesasse.
48.Giunse il P.Castiglia, e trovando che il P.Fundatore et il P.Vincenzo piangevano, domandò la cagione di questo pianto. Li rispose il P.Fundatore, non volete che pianga essendomi morti uccisi sei figli sotto le rovine di Savona, che veramente son degni d’esser pianti.
Prese le lettere il P.Castiglia e letta la disgratia, si mise a piangere ancor lui per terzo. Sicche il P.Fundatore p consolarli cominciò a far un discurso della Conformità alla Volontà di Dio, che da tutto sa cavar la gloria sua. Diede ordine, che si sonasse il Campanello comune acciò tutti i Padri sapessero la disgratia, e si preparassero a far i suffragii p li sei Padri morti, e pregar il Sr. p quelli che erano restati vivi.
Venuti i Padri e fratelli nell’oratorio si sedè il Padre fundatore e cominciò un discorso sopra la morte, e della Conformità alla Volontà di Dio, esortando tutti a prepararsi e star vigilanti pche non si sà quando, dove ne come s’ha da morire, publicò, che haveva nuova da Savona esser morti sopra mille persone sotto le rovine di quella Città, e fra l’altri sei loro fratelli tutti Sacerdoti, che ognuno li facesse i soliti suffragii, e pregasse Dio p quelli che erano restati vivi pche ancora non era cessata l’Ira di Dio sopra quella Città, che del continuo minacciava altre rovine.
49.Disse questo con tal sentimento e fervore, che fece pianger tutti dirottissimamente, in tal maniera che ivi medesimo cercò di consolarci con altre tante amorose parole, che Dio era di pietà e misericordia, che facessimo noi quel che dobbiamo, che Dio ci aiuterà havendo sempre la meditatione della morte, pche quest’esempio di questi poveretti, che son morti in questa maniera, ci è di gran giovamento a prepararsi, et Io che sono già vecchio lo devo far con più diligenza, essendo che mi restano pochi giorni di vita, e voi figlioli miei pregate il Sre, che mi dia la forza e lume di potermi conformare con la Volontà Divina; facciamo i suffragii p questi poverelli morti con ogni divotione, che l’istesso sarà fatto a noi med.mi dalli nostri fratelli, quando Dio ci chiama in Paradiso.
50.Con questo amoroso discorso benedisse tutti, consolandoci ci mandò via. Li restò tanto impresso nella mente questo crudel Caso, che on ogni occasione sempre andava dicendo nelle sue Conferenze che ci preparassimo per la morte, acciò non ci colga all’improviso e nessuno pensava, che il pmo che doveva morire fusse il P.Fundatore. Duravano ancora i tuoni e le galerne con lampi , acque e fulmini in tal maniera, che quando si sentiva qualche lampo il P.Gioseppe di S.Gioacchino, spaventato si svegliava, e diceva alli Compagni fugiamo, che aspettiamo adesso moriamo, quelli che stanchi dalle fatiche volevano dormire li prendeva p i piedi li strascinava dicendoli presto fuggiamo, che adesso cade la Casa, e cogglie adosso, cominciava a tremare tutto spaventato, si metteva in genocchioni e non faceva dormir nessuno, e spaventava tutti, . sicche p consolar il P.Gioseppe che non havesse paura p era cosa che passava, che si quietasse e li facesse riposare.

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51.Stiede esposto il Sant.mo Sacramento p lo spazio di quattordici e più mesi, che tanto durò questo flagello alla Catedrale, alla Cappella della Madonna della Colonna dove si faceva continua oratione, e quando credevano turbar un poco l’aria apparivano le nuvole misteriose come di cavalli sfrenati, huomini armati con le spade nelle mani, che spaventavano tutti chi l’andava ad osservare.
Subito uscivano i Parrocchiani et altri Religiosi e sacerdoti vestiti di cotta e stola con il Rituale nelle mani se n’andavano sopra i torreoni della Città, e sopra i Campanili dicevano alcune orationi contro le tempeste con mostrar l’Agnus Dei di Cera benedetta, e si vedevano in un tratto dileguarsi e dissolversi in fumo, il che era stimato cosa miracolosa, masime p la virtù dell’Agnus Dei che tutti n’havevano adosso qualche poco.
52.E vedendo queste apparitioni il P.Gioseppe di S.Gioacchino subito cominciava a tremare, e dir alli compagni fuggiamo e salviamoci pche altrimente moriamo, e tanto più s’atterriva quando sentiva le clamori dal Popolo, che la notte gridava aiuto, misericordia che hora moriamo, e lui spaventato si metteva a fuggire come poteva.
La matina di S.Agostino 28 Agosto 1648 ad hore quindici s’oscurò talmente l’aria, che pareva che fusse di notte, fù tale il spavento (che) la gente corse nelle Chiese p salvarsi, e gridavano misericordia et in publico si confessavano, e dicendo publicamente i loro peccati cercavano l’assolutione ai Sacerdoti. Fù tale il spavento che le messe, che si dicevano nelle Chiese, quelli che già havevano consagrato senza far altro consumavano il Smo Sacramento, e quelli che non havevano consagrato non perfettionavano le messe p paura, che non li rovinasse la Chiesa adosso, pche non si sentiva altro che clamori, pianti, grida, et urli, spaventati da certe voci, che estraordinarie, che si sentivano p l’aria, e questo durò da due hore in circa.
53.Venne poi tal tempesta, che mandò fuora sette saette, le quali cascarono tutte vicini dove erano sepelliti alcuni Centenara di barili di polvere, che fù gran misericordia di Dio, che non li dassero fuoco, che saria finita affatto di rovinar la Città. Successe poi tanta aqua con venti che spiantò molte case et alberi, e morirono molti in Campagna con perder quasi tutti l’animali, siche pareva il giuditio universale, et il P.Gioseppe più haveva paura, e si confermva la sua appren.ne che fugissero tutti, che sariano morti, restando sempre tremante e spaventato, e questo spavento e tremore non solo li durò mentre che stiede a Savona, che fù da ventisei mesi, mà li durò p spazio di dodici Anni, come racconta lui medesimo oggi che siamo li 28 di marzo 1673.
S’imbarcò da Savona insalutato ospite, pche non volevano che si partisse, se n’andò a Livorno, e da Livorno a Pisa, dove stiede alcuni giorni con i nri Padri sempre tremante e spaventato, che quando la notte si svegliava cominciava a gridare dicendo Padre Agostino, fratelli dove sete salvamoci fuggiamo hora viene la tempesta.
54.Andavano interpretando l’astrologi da dove potevano esser causati questi prodigi, et erano vani discorsi, il Popolo si lamentava della Nobiltà, che haveva scacciato il loro Pastore, che p le liti stava fuora della sua greggia.
Anzi volevano tumultuare contro la Nobiltà la notte che successero le rovine, ammazzar li contrarii del loro Vescovo, e poi andar a pigliarlo e portarlo a Savona, ma sopragiunta la disgratia non si fece altro.
Altri dicevano esser i peccati publici dell’usure, che si facevano, e non si facevano scrupulo di cose nefande, et illecite, et Iddio li castigava in quella maniera, acciò s’emendassero delli loro enormi peccati; altri dicevano esser cosa fantastica permessa da Dio per loro misfatti, altri finalmente dicevano esser effetti dell’eclisse di nove Anni passati, che ancora durava il loro influsso, ma si crede esser veramente stato castigo di Dio p lo strapazzo fatto al Vescovo, ch’era persona molto pia, e non solo l’havevano scacciato dalla Città, ma l’havevano fatto spendere qto haveva alle liti p mero capriccio d’alcuni pochi suoi amichevoli.
55.Non mancava perciò il buon Prelato delli suoi aiuti spirituali, e racordi com’è Padre, che andava ad un Convento de Padri di S.Francesco vicino alla Città dove mandava a chiamare il suo Capitolo, et amorevoli, e li dava quei pascoli necessarii come è Pastore, con raccordarli che si ravedessero de’ loro mancamenti, e si convertissero a Dio, dove concorreva la maggior parte del Popolo a chieder la beneditione, che p non dar qualche gelosia li dava buoni racordi, e presto li licentiava con la sua beneditione.
56.I nostri Padri fratanto cominciarono appoco appoco a far levar le pietre e metterle da parte et accomodata la Cappella di S.Filippo al meglio che si poteva cominciarono a dirvi la messa, e dar principio a far due stanze dove potessero habitare, il che dava gran fastidio a Padri Scalzi di S.Teresa, che pensavano esser Padroni del tutto, et in particolare delle sette mila lire, che stavano in diposito al Monte della Pietà, che già la Città s’era dichiarata, che non si dassero più alli Padri delle Scuole Pie pche erano distrutti p la bolla di Papa Innocentio Decimo.
Cominciò il P.Geronimo a negotiare con li governanti del Monte della Pietà, che li fusse dato il danaro, che voleva cominciar la fabrica da fundamenti e far un Convento nuovo con la Chiesa, mostrando con la pianta che già haveva fatta fare dalli megliori Architetti della republica di Genova.
Se l’oppugnò la Città, che non dassero il Danaro alli Padri delle Scuole Pie p esser stati destrutti dal Papa.
57.Fratanto furono hinibiti i Padri Scalzi che pretendevano far la fabrica vicino al nostro Convento, e poi incorporarla nella nostra Casa e prendersi il tutto.
Diede poi parte in Senato il P.Geronimo acciò li facesse restituir il danaro e con la contraditione della Citta`cominciarono una fierissima lite, siche il Senato vedendo quel profitto che facevano in Genova i nostri Padri, ordinò che si restituisse il danaro ai Padri delle Scuole Pie, mentre lo volevano spendere in fabrica che tutto restava alla med.ma Città con avanzo di essa.
Fu restituito il danaro e si cominciò la fabrica del Convento e della Chiesa, incorporandovi il Palazzo contiguo rovinato, che quando lo volevano pagare una somma grossa l’ebbero a buon mercato, et in pochi Anni fù finita tutta la fabrica e fu fatto un Convento e Chiesa con tutte le comodità d’officine, scuole e giardino come si vede.
Tutta questa relatione me l’ha data il Padre Gioseppe di S.Gioacchino, che come testimonio di vista sa il tutto
58.. L’altro disgusto che hebbe il nostro Venerabil P. fù che una Domenica pma che s’ammalasse fece una Conferenza a nostri Padri come era solito, e disse queste precise parole: figlioli facciamo oratione p la Santa Chiesa, che ha bisogni grand.mi, et in particolare acciò i Cattolici non siano vinti dall’heretici, et a quest’hora ha necessità grande, diciamo un Paternoster et un Ave Maria per questa estrema necessità. S’ingenocchiarono i Padri e fecero oratione non sapendo, ne pensando nesuno quel che poteva essere.
Da li a pochi giorni andai p le lettere della posta di Venetia, e trovai le lettere delli nostri Padri di Moravia, portateli al P.Generale me li fece leggere, nelle quali vi era la nuova che il sueco haveva presa Praga nuova, fecero prigione il Cardinal de Harrach, altri Vescovi e molti Prencipi, e Sig.ri, e fecero molte conditioni, che p darli libertà vi sono de fastidii grandi, se bene poco tennero la Città pche l’Imperadore mandò il socorso e ne furono scacciati, non havendo potuto pigliar Praga la vecchia, e doppo pochi giorni lasciarono.
59.Quando il P.Fundatore intese esser stata presa Praga nuova dall’heretici, diede un gran suspiro, dicendomi. Iddio ci vuol castigare, ma come è Padre, per nostro bene, sia fatta la sua Santi.ma Voluntà, che dal male cava la Gloria sua. Dal che Io compresi che ne sentì un disgusto interno. Fù poi fatto il conto, che mentre disse che si facesse l’oratione per la Santa Chiesa, che allhora stava in strema necessità, acciò aiutasse l’Imperadore, fù in quella medesima hora presa la Città di Praga nuova con il Cardinale d’Harrach Arcivescovo et altri Sig.ri.
Quanto poi fusse il nostro Padre contrario all’heretici, che sempre voleva che si pregasse p la loro conversione et in favore delli Cattolici si vede in tante lettere, che scrive al P.Melchior di Tutti Santi, che sempre li scriveva, il Sre dia vittoria alli Catolici, anzi volle, che due volte il giorno quando si và a pranzo et a cena, che si dica un Ave Maria p la Conversione delli heretici in favor delli Cattolici, come noi costì.
60.Come anco si vidde mentre il P.Fundatore, che stava per morire e non poteva scatarrare e pche il Sr.Tomaso Cochetti Nobile Inglese li diede il rimedio, che scatarrasse, saputo che era inventione d’Erigo Ottavo heretico, non solo non ne volle più pigliare, ma volse che si buttasse via sino alla scodella, come s’è scritto altrove.
Habiamo visto li due disgusti ultimi del venerabil Padre fundatore, che furono vicino alla sua morte, n’hebbe un altro interno non meno di questi, che p haver perso dalla Religione tre sugetti Anconitani di g.ma aspettatione essendo giovani di grand.mo ingegno e di gran bontà di vita, e questo fù p l’occasione del Breve d’Innocentio Decimo.
61.Dell’Anno 1636 mentre che il P.Pietro della Nuntiata, del quale habiamo parlato al tempo della 3ª parte, faceva la scuola in Ancona, vedendo le sue rare virtù li suoi scolari cercarono quattro di quelli essere ammessi al nostro habito, che oltre la bontà della vita erano Nobili della Città d’Ancona. Questi furono Carlo Mazzei, Carlo Giuseppe Pelago, Francesco e Giovanni Gabrieli fratelli carnali, i quali erano giovanetti, fecero gma instanza al loro Maestro, che scrivesse al P.Fundatore acciò si contentasse ammetterli nella nostra Religione, che n’havevano la perfetta vocatione.
Ne scrisse il P.Pietro al P.Fundatore con darli minuta relatione de costumi, dell’ingegno e della nobiltà, che questi haveriano tirati altri soggetti non minori di loro, se bene erano di tenera età.
Li rispose il P. che l’andasse trattenendo e dando buone speranze p vedere se la vocatione era vera; alla fine fù tanto importunato, che diede ordine, che fussero vestiti e mandati con buona Compagnia al Novitiato di Roma.
62.Si trovò di passaggio d’Ancona il P.Pietro di S.Gioseppe da Bologna, che veniva da Cesena e passava a Roma, questo li vestì tutti quattro e si chiamarono Carlo di S.Antonio di Padova, Carlo Gioseppe di S.Filippo Neri, Francesco della Concettione e Gio: di S.Matteo.
Vennero in Roma al tempo ch’era Maestro de Novitii il P.Pietro della Natività della Vergine, che poi p essere andato in Germania li successe il P.Gio:Stefano della Mre di Dio detto Gio:Stefano Spinola, tutti quattro erano Chierici ma di poca età e di gran giudicio, i quali appressero tal spirito che sempre erano dettato et esempio dell’altri, havendo appreso i costumi et andamenti de loro maestri de Novitii, in tal maniera che essendo Io d’età di 36/scrive 26/ Anni mi vergognavo quando vedevo la loro modestia, e virtù, poiche ero Novitio come loro, e tutta la famiglia tra Professi studenti e Novitii eravamo cinquanta sei e questi quattro erano dettato di tutti in tal maniera, che quando qualche d’uno alzava solo l’occhi, subito il P.Gio:Stefano guardate la modestia del fratello Giovannino, che cossì lo chiamavamo p esser il più piccolo di tutti, eranovi alcuni venuti da Sicilia, i quali non erano ancor addottrinati con quella modestia come l’altri et il P.Maestro subito li diceva, guardate come fa il fratel Giovannino.
63.Questo fratel Giovanni s’ammalò gravemente et havutone relat.ne il P:Fundatore diede ordine che fusse portato all’Infermaria di S.Pantaleo acciò fusse curato e fatto chiamar il fratel Paulo di S.Gio:Battista Infermiero Genovese, huomo veramente di grand.ma Carità, li diede ordine che havesse cura particolare di quel figliolo, lo governasse, e non li facesse mancar cosa nessuna come se fusse la persona sua propria.
Era tanta la Carità del buon Vecchio, che spesso lo visitava, e li portava da refrigerarsi, e quando era sudato le faceva portar delle camisce bianche di tela pche in quel tempo s’usavano le camisce di lana, et anco le sottovesti di tela negra acciò si mantenesse fresco e non patisse, e faceva far orationi particolari p la sua salute.
Rihavuto il fratel Giovanni tornò al Novitiato, fù posto al studio con l’altri delli quali era Maestro il P: Camillo di S.Geronimo, che le insegna belle lettere e la rettorica con tanta vigilanza e fatica, che alle volte il P.Gio:Stefano lo mortificava dicendoli che non s’affaticasse tanto pche quel che non si faceva in una settimana si poteva far in un mese, poichè il P.Fundatore l’haveva raccomandato che li tirasse presto avanti p il bisogno grande, che haveva di Maestri p dar satisfa.ne all’altre Case.
64.Si tirò tanto avanti il fratel Giovanni, che passava tutti nello studio tanto in prosa come in verso, che lasciava tutti i suoi Condiscepoli a dietro, siche lo cominciarono ad invidiare et in ogni minima minutia l’avvisavano al P.Gio:Stefano.
Haveva dato ordine il P.Maestro, che nessuno componesse in lingua volgare qualsivoglia compositione pche voleva, che tutti s’adattassero alla lingua latina.
L’ultimo giorno del Carnevale dell'’Anno 1638 il P.Maestro mandò tutti studenti e novitii a S.Maria Maggiore a caminare, e prender l’indulgenza esendovi esposto il Santi.mo Sacramento e tornati al Novitiato p non esser ancora l’ora di pranzo, ordinò andassimo al studio e si facesse qualche compositione p non perder tempo, che sempre comendava esser la più pretiosa cosa che possa haver in questa vita.
Posti ognuno al luogo suo cominciarono a componere e passato un quarto d’ora entrò il P.Gio:Stefano al studio, se n’andò dal frel Gio: p vedere quel che componeva.
65.Questo vedendo il P. che veniva da lui, piegò il foglio e se lo pose in petto, e chiestoli il P: che lo voleva vedere p non esser mortificato non glielo volle dare pche haveva fatta un egloga volgare sopra una d’api, che p accidente era venuta dentro un luogo comune vecchio del Novitiato di Monte Cavallo et alludeva che l’api dovevano esser Padroni della nostra Casa del Novitiato, come poi successe alli 20 di marzo 1638 che i Barbarini si presero il nostro Novitiato e vi posero le Monache Barbarine venute da Fiorenza, che furono la nostra Rovina come s’è detto.
Disse il P. Gio:Stefano al fratel Gio: come a me nascondete quel che fate, non sapete voi che presto s’ha de far il vostro scrutinio, che havete da far la Professione e trattate in qsta maniera?
Li rispose il frel Gio: alla Professione ho da pensare Io, e con prudenza il P.Gio:Stefano prese il tutto in burla p non disgustar la famiglia in quel giorno non disse altro.
66.Sonato il segno dell’esame della Coscienza, andassimo tutti all’oratorio al nostro solito, fù detto l’accidente al P.Camillo, il qle chiamò subito il fratel Gio:, e fattoli veder il suo errore, li disse, che subito andasse dal Padre, e li mostrasse la compositione, e si scusasse, che non l’haveva mostrata per haver trasgredito il suo ordine per haver composta un egloga volgare sopra l’api che stavano al luogo comune, e non era altro, che poi il resto l’haveria fatto lui.
Haveva paura il fratel Gio: ma con tutto ciò andò dal Padre, et ingenocchiato li diede la carta dicendoli che lo perdonasse se pma non l’haveva data per paura d’esser mortificato.
Il P. la prese e facendoli carezze, se la pose in petto, dicendoli, che non era niente, che stasse pure allegramente, e non cadesse più in simili eccessi, che quella volta la passava sotto silentio. Ripigliò il P.Camillo esser ragazzo e non haveva ancor quel sano giuditio pche haveva havuto paura.
Finito il pranzo andassimo alla Recreatione, il P. diede licenza che ognuno modestamente potesse parlare p esser l’ultimo giorno del Carnevale.Li studenti cominciarono a discorrere tra di loro dell’attione, che haveva fatta il fratel Giovanni, che era un superbo, voleva soprastar a tutti, che faceva il Santo con star in estasi all’oratione, e poi non sa far l’ubbidienza.
67.Legge il P.Gio:Stefano con il P.Camillo, il P.Giosepep di S.Francesco, Piamontese sotto Maestro di Novitii, et il P.Simone di S.Bartolomeo di Fanano, e viddero veramente esser compositione rara e misteriosa. La fecero leggere a lui p sentirla con la sua enfasi naturale, che faceva stupir tutti p vedersi la gratia come la leggeva, siche fù assai stimata e portata a vederla al P.Fundatore, la fece leggere nella recreatione de Padri di S.Pantaleo, che tutti ne restarono maravigliati del grand ingegno, et inventione come l’haveva composta.
Passati alcuni giorni fù fatta una Cong.ne p far il scrutinio di quelli che havevano da far la Professione, che erano i quattro chierici d’Ancona, cioè fratel Carlo di S.Antonio di Padova, fratel Carlo Gioseppe di S.Filppo Neri, Fra.co della Concettione e Gio: di S.Matteo.
Fù fatto un discurso dal P.Maestro, che dovendosi far il scrutinio delli quattro Novitii Anconitani, dassero il loro voto come Dio li dettava la coscienza e avertissero non caminar con passione pche altrimenti Dio l’haveria castigati, ma solo havessero mira al Servitio di Dio e della Religione.
68.Entravano in quel tempo a dar il suo voto tutti i Professi, et anco li fratelli operarii, che da quell’esperienza poi si mutò stile, che solo alli scrutinii vi entrano i Sacerdoti, e quelli che sono in Sacris.
Cominciati li scrutinii furono ballottati i tre primi, e tutti ne passarono felicemente senza haver nessuno voto contrario, ma venuto al quarto che era il frel Gio: visti li suffragii si trovò che non era passato, e fatto il conto più volte s’andava scoprendo esserli mancati i suffragii delli studenti, sicche il frel Gio: restò ecluso di poter far la profesione.
Licentiati tutti il P.Gio:Stefano fece chiamar il fratel Gio: e li disse quanto passava; lui li rispose se loro non vogliono a me p invidia, Io tampoco voglio a loro. In fine fù concluso che se ne voleva andar nel secolo, già non l’havevano ammesso nella loro Compagnia, e pciò il P.Gio.Stefano diede a dire al fratel Gio: di S.Antonio lucchese, che li comprasse un vestito di seta, e quanto bisognava acciò fusse il tutto da suo pari, e se n’andasse con ogni satif.ne.
69.Subito il P.Camillo et il P.Simone presero la bend.ne dal P.Gio:Stefano dicendoli, che volevano andar dal P.Fondatore acciò trovasse qualche rimedio p non perder un soggetto cossì raro. Li dispiaceva anco al P.Gio:Stefano a mandarlo via, ma poi considerava esser cosa che forse la portava Dio p suo giusto giuditio.
Giunti il P.Camillo di S.Geronimo, et il P.Simone di S.Bartolomeo rappresentarono al P.Generale il caso, che vedesse trovar qualche rimedio acciò non si perda un suggetto di si grand’ingegno et aspettatione pche questa non era stata altro che mera passione, e gara delli studenti suoi competitori per attender più di loro allo studio, che se non fusse qualche imperfettione se li potrebbe allungar il Novitiato acciò ne pigli di nuovo spirito maggiore con farlo fare l’esercizi spirituali.
70.Li rispose il P. queste precise parole: tenendum est pro Religione, non sappiamo quel che voglia Dio di questo figliolo, et è necessario conformarsi con la sua Divina Voluntà, con tutto ciò dite al P.Gio:Stefano che soprasieda, e non lo mandi via sinche Io venghi al Novitiato, che sarà dimatina, e cossì esploreremo la sua volontà e sentiremo il sentimento del P.Gio:Stefano essendo sano e di buona intentione, e vedremo di regolarci come Dio c’ispirarà.
Tornati i Padri al Novitiato dissero quanto haveva ordinato il P.Fundatore al P.Gio:Stefano, e lo pregarono instantem.te che si contentasse, e aderisse che facesse un altro Anno di Novitiato pche era peccato a perdere un sugetto di qlla maniera, che fusse levato dal studio e posto con l’altri Novitii a lavorar la lana e farli far l’esercitii spirituali.
Li rispose il P.Gio:Stefano che se rimetteva a quel che faceva il P.Generale, che a lui li dispiaceva più d’ogni altro.
Subito il P:Camillo chiamò il fratel Gio: e lo cominciò a pregar che non se n’andasse, che già haveva parlato al P.Generale che saria venuto la matina seguente p arrimediare a questo caso, che si contentasse di far un altro Anno di Novitiato, che passato qualche mese portandosi bene haveria procurato che facesse la Professione.
71.Piangeva il fratel Francesco della Concettione fratello del fratel Gio: in tal maniera p vedersi il fratello escluso dalla Professione, e tornarsene al secolo, in tal maniera, che non si poteva dar pace e li restò tanto impressa questa Mortificatione, che non si poteva consolare. Onde il P.Camillo di nuovo ripigliò il fratel Gio:, che se voleva la salute del fratello era necessaria la resolutione di far un altro Anno di Novitiato,che quando veniva il P.Generale s’havesse piegato, che li facesse questa grazia, che lui si voleva emendare. La matina seguente venne il P.Generale al Novitiato, e fatta una Cong.ne con solo i Padri Sacerdoti volle p.ma sentir il parere del P. Maestro de Novitii, e poi dell’altri Padri Sacerdoti, e conclusero, che s’esplorasse la volontà del fratel Gio: se accettava di far un’altro Anno di Novitiato si poteva ammettere.
72.Fece sonar il Campanello commune, et andati tutti nella stanza della Recreatione, dove era assestato il P.Fundatore, e radunati tutti ci fece sedere, e chiamato il frel Giovanni in mezzo, lo fece mettere in genocchio, li cominciò a dire se lui voleva andar al secolo o vero voleva perseverare alla Religione, dove dalla sua tenera età s’haveva offerto alla Beati.ma Vergine, che si raccordasse, che quand’era infermo alla Casa di S.Pantaleo, lui si levava la notte per portarli da mutare havendo sempre amato come proprio figliolo, che vedesse bene quel che voleva e non defraudasse quel che una volta (haveva promesso) a Dio acciò non li succedesse quel che successe ad Anania e Zafira, che p haver mancato alle promese fatte a piedi dell’Apostolo fedelmente Iddio li castigò con toglier ad ambidue la propria vita.
Fece questo discurso con tanto spirito e fervore, che fece piangere tutti devotissimamente
Piangendo li rispose il frel Gio: che lui voleva perseverare e voleva fare se non bastava un altro Anno di Novitiato ne haveria fatti due altri, che lo perdonassero tutti delli scandali che l’haveva dati che per l’avenire si voleva emendare. Ordinò il P.Generale al P.Gio:Stefano che li facesse far l’esercitii spirituali ne lo lasciasse mai pratticar con li studenti ne con li Professi ma che lo mantenesse humile con semplicità acciò ripigli il spiritto di nuovo, e data a tutti la sua bened.ne se ne tornò a S.Pantaleo.
73.Entrò il fratel Gio: all’esercitii spirituali, e fece una gran mut.ne. Finiti l’esercitii fù posto a filar la lana, che in quel tempo si faceva il panno al Novitiato e lui era quello, che indirizzava l’altri Novitii all’esercitii manuali, e si portava mediocremente bene et a poco a poco si ridusse al stato primiero.
Non p questo il fratel Francescco suo fratello cessò di piangere, e pianse tanto che li veniva meno la vista, e quel che più l’affligeva pensava restar Cieco e saria mandato via come non habile p la Religione; onde diede in una malinconia che non mangiava ne dormiva pensando alla morte.
Fù del tutto avisato il P.Fundatore et ordinò che lo mandassero da lui, che lo voleva vedere e consolarlo come fù fatto.
Fù chiamato il P.Giorgio di S.Fra.co et Io, che lo conducessimo a S.Pantaleo et ingenocchiati avanti il Generale lo cominciò ad osservar l’occhi, fece chiamar il frel Paulo Infermiero, l’ordinò che li facesse un suo unguento, che vi mettesse del vino greco, che li saria passata la fluss.ne, che stasse allegramente ne si facesse tentar dal Demonio, che lui l’haveria aiutato sempre con l’orationi.
74.Tornò il fratel Paulo con l’unguento, e domandatoli il P. se vi haveva posto del greco, li rispose che s’era scordato, e fattole far di nuovo ci diede la bened.ne e ci mandò via dicendo al frel Fra.co che untasse l’occhi con quello e non dubitasse.
Parve esser stato miracolo, che unto la pma volta restò del tutto sano e mai più patì di tal Infermità.
Passati pochi giorni e proprio alli 20 di marzo si levò il studio dal Novitiato p havercelo levato i Barbarini, andarono a far al palazzo vicino alla Madonna della Vittoria attaccato alla fontana di Porta Pia e pche il palazzo non era capace p i Novitii e Studenti si levò il studio et il fratel Gio: passò al Collegio Nazareno con il P.Camillo con quattro altri studenti, sicchè levato il studio cominciò la rovina della Religione, e li studenti andarono dispersi in altre Case et il fratel Gio fece la Professione, li venne un Infermità, volle andar al Paese, li venne la tentatione et uscì dalla Religione provando il vim et metum, visse sino all’Anno 1652, venne in Roma, et un giorno si volle lavar al fiume Tevere li sdrucciolarono i piedi, si summerse nel fiume e miseramente s’annegò e fù trovato morto, siche s’avverò la profetia detta dal Padre fundatore dell Anno 1638 che vedesse quel che voleva, non defraudasse quel che una volta haveva promesso a Dio, acciò non li succedesse quel che successe ad Anania e Zafira, che furono castigati con perder la propria vita, siche fù ben considerato esser adempiuta la profetia.
75.Quando il P.Fundatore intese esser spogliato il fratel Gio: di S.Matteo diede un sospiro dicendo Dio l’aiuti e li dia lume, che facci buona fine, et era meglio assai se se n’andava mentre che era Novitio, almeno non si saria legato con i voti. Dio perdoni chi lo dissuasse che non lo facesse.
Uscito il Breve di Papa Innocentio Decimo della Redu.ne in Congne della Religione il P.Carlo Gioseppe di S.Filippo Neri, Anconitano, che era riuscito un de migliori suggetti, che fusse in tutta la Religione, faceva la pma scuola a S.Pantaleo con tanto applauso che era invidiatoda tutti e veramente si faceva honore e le sue compositioni le rubbavano alli scolari e le portavano ai Padri Gesuiti, che ne restavano stupiti.
Questo una matina andò dal P.Fundatore, e li chiese licenza che voleva ripatriare et haveria fatta la scuola in Ancona pche l’invitavano i suoi Parenti ad andar a vederli.
76.Il P.Fundatore li rispose che facesse quel che Dio l’inspirava, ma che non li succeda quel che non pensava, pche l’occasione propinqua l’haveria dato fastidio. Li disse la sentenza dell’evangelista S.Marco Percute Pastorem et dispersgentur oves gregis. E datoli la bened.ne si partì p Ancona, dove giunto prese il Breve, lasciò il nostro habito e vacato l’Arciprestato d’Ancona p esser suggetto qualificato fù conferito a lui, ma poco lo godè pche li venne un vomito di sangue e se n’andò all’altra vita.
Francesco della Concettione fratello carnale di Gio: morto affogato, anco lui riuscì un ottimo suggetto, il quale faceva la p.ma scuola in Napoli alla Casa della Duchesca con applauso grand.mo, et haveva una scuola fiorent.ma, e vedendo mutate le cose, che alcuni havevano chiamato il Vicario di Napoli, che prendesse il possesso del Breve, si partì subito p Roma, e da Roma in Ancona, dove ancor lui prese il Breve e si fece Prete. Venne a competenza con Gio: suo fratello riprendendolo, che non caminava come doveva, se ne venne in Roma a trovar il P.Castiglia, pentito d’haver lasciato l’habito, li fece instanza di volerlo ricevere di nuovo, ma non fù possibile pche i Padri di Roma, mai vollero ammettere nessuno di quelli che havevano abbandonato la Religione, con tutto ciò il P.Castiglia li promise aiutarlo con trovarli qualche impiego honorato.
77. Tornò in Roma dalla Nuntiatura delli Svizzeri Mons. Crescenzio, dove lasciò il suo Secretario p i negotii incaminati a quella Nuntiatura, e pche non haveva Secretario approposito dovendo andar Nuntio al Duca di Savoia pregò il P.Castiglia procurarli un buono Secretario, ma lo voleva di costumi illibati pche dove doveva andare voleva portar psona d’esempio, conforme i suoi rari costumi.
Li rispose il P.Castiglia che vi saria un Prete d’Ancona, il quale era stato de nostri e s’era sempre portato bene, et haveva lasciato l’habito p disguidi, il che haveva fatta instanza di ritornar fra di noi, che voluntieri l’haveria ripigliato se i Padri di S.Pantaleo non havessero fatto Decreto, che non si ricevesse nessuno di quelli, che havevano lasciata la Religione nelli più gran bisogni mentre era travagliata.
78.Mons.Alessandro Crescenzio lo volle vedere. D Francesco fu chiamato discorsero un pezzo assiemi, s’andò per le chiare e le stessa mattna l’andò a servire. Restò molto sodisfatto Mons.Crescenzio della devotione del suo nuovo Secretario, che faceva sempre seco l’oratione mentale, e non faceva cosa senza il suo consiglio, riuscendoli secondo il suo genio.
Partì Mons. Alessandro Crescenzio da Roma, se n’andò alla Nuntiatura di Turino, lo (pregò) che andasse seco e li riuscì meglio che pensava cossì nelli negotii come nello Spirito.
Tornato da Turino Mons. fù fatto Vescovo di Bitonto nel Regno di Napoli, dove dimorò alcuni Anni et ivi passò all’altra vita D.Francesco Gabrieli, che cossì si chiamava, con gra.mo dolore del suo Padrone, il quale più volte ha detto a me che piacesse a Dio che tutti i Preti fussero di quella bontà, che egli fù. E questo mi disse con l’occasione che procurai, che la Cong.ne de Sacri Riti, e la santa memoria di Papa Clemente Nono lo deputassero Giudice della Causa p la Beatificatione del nostro Venerabil P. Fundatore, il che hebbe tanto a caro che più e più volte me ne ringratiò, ne mai lasciò d’assistere all’esami del Processo con l’altri Prelati.
79.Morto Papa Clemente et assunto al Pontificato Papa Clemente Decimo pensavo farlo mutare, pensando che non poteva assistere p l’occupa.ni grandi alla assistenza del Papa /che l’haveva fatto suo Maestro di Camera e Patriarca/ ma prima di fare altra provvista ne li domandai se voleva seguitare, o vero facessimo deputar altro Prelato.
Mi rispose che non li facesse questo torto a farlo cambiare pche quando si faceva la Congne basta che l’avisasse un giorno pma, che haveria presa licenza dal Papa, et haveria lasciato ogni cosa. L’odore di bontà di questo Prelato, corre p tutto il mondo, mà pche è vivo non posso dir altro ch’è un gran Servo di Dio, e piacesse a S.D.M. che tutti i Prelati di S.Chiesa fussero della bontà di questo soggetto, che sariano riformati i costumi di tutto il Mondo.
Il credito che questo Prelato haveva al nostro V.P.Fundatore non posso spiegarlo con la penna, havendomi detto più volte, che lui l’haveva p santo da quando era vivo.
80.L’affetto e zelo che portava e porta alla nostra Religione questo Prelato è stato sempre grande perche tornato dalla Sua Nuntiatura in Roma un giorno vidde due de nostri Padri dentro la Chiesa della Casa Professa della Compagnia di Giesù, che andavano calzati, ne restò molto scandalizzato, se ne venne a S.Pantaleo dal P.Castiglia, ne fece alcuna doglianza, dicendoli che si poteva dire ancora esser vivo il fundatore e volevano mutar l’Instituto et andar calzati, che non era bene a dar queste ammirationi alla Corte Romana.
Al che rispose che p esser uscito il Breve di Papa Innocenzio stavano le cose in quella maniera, non poteva cossì facilm.te rimediare, mà che con tempo saria dato rimedio al tutto.
81.Si diede il caso che venne un P. di fuora di’un altra Casa mentre il P.Castiglia faceva la Conferenza Spirituale, lo fece chiamar di sopra pche fù avisato che quello andava calzato et entrato nell’oratorio dove stavano tutti i Padri e fratelli alla Conferenza lo fece ingenocchiare, lo riprese aspramente pche andava calzato /illegibile,rotto.N.d.R./ chi l’haveva vestito. Confuso li rispose che l’haveva vestito il P:Mario di S.Francesco. Ripigliò il P.Castiglia, che non poteva esser altro frutto se non di quello che haveva distrutta la Religione in quella maniera, e fattoli portar un paio di scarpe alla nostra usanza lo fece scalzare, ordinandoli in presenza di tutti, che non comparisse più a S.Pantaleo se non andava scalzo come l’altri, havendone havuto richiamo da un Prelato principale della Corte, che s’era lamentato seco, e n’era restato assai scandalizzato, che avertisse molto bene che non facendolo n’haveria dato parte al Cardinale Ginetti Vicario del Papa, nostro Superiore. Restò tanto mortificato quel P. che p molti mesi non comparve più alla Casa di S.Pantaleo, vergognandosi della mortificatione fattali dal P.Castiglia, massime p esser stato vestito dal P.Mario nome odioso a tutta la Religione p li danni che n’haveva patiti.
82.Papa Alessandro Settimo p dar qualche riposo e ristoro alla fatighe fatte in tante Nuntiature da Mons.Alessandro Crescenzio li mutò il Vescovato d’Ortona a mare in quello di Bitonto in Regno, dove il buon Prelato cominciò ad essercitar l’ufficio suo con tanta pietà, che cattivò il Popolo in tal maniera, che lo stimavano da Padre, poiche visitava l’infermi, alli Poveri lasciava dell’elemosine, e quando usciva il Sant.mo Sacramento vi andava lui med.mo di dietro, e comunicato che s’haveva l’Infermo lo consolava, che havesse patienza nell’Infermità, pìgliando il tutto dalle mani di Dio in remiss.ne de suoi peccati, che vedesse di quel che haveva bisogno, che dove arrivavano le sue forze l’haveria proveduto.
Con questo esempio i Bitontini s’accesero tanto alla devotione del Sant.mo Sacramento che sentendo sonar il segno della Campana correvano tutti a gara a seguitar il loro Prelato in una cosa di tanta pietà e devotione, siche era tanto l’affetto e credito, che havevano al loro Vescovo , che in tutti i loro bisogni ricorrevano a lui come Padre e reparatore dell’Anime loro; levò molte Inimicitie invecchiate, e riformò dolcemente non solo il clero, ma tutta la Città in pochi mesi.
83.Venne bandito da (illegibile, rotto. N.d.R.) un disordine di Pretensione di giurisdizione (illegibile, rotto. N.d.R.)no circa, in quel tempo era Inquisitore Mons. Piazza, che alcuni Cavalieri non lo volevano, fù necessitato a partir da Napoli, e se n’andò a Roma acciò non li succedesse qualche affronto.
Papa Alessandro Settimo haveva havute le notitie della bontà e zelo di Mons.Alessandro Crescenzio, Vescovo di Bitonto, fece elettione di lui acciò si conferisse in Napoli , e esercitasse l’ufficio d’Inquisitore, mandandole l’istruzioni necessarie p un ufficio di tanta importanza nella Chiesa di Dio raccomandandoli che con la sua prudenza andasse dolcemente e risarcisse quel che haveva pso Mons.Piazza.
84.Giunto l’avviso secretamente s’andava mettendo all’ordine p la partenza per Napoli senza ne facesse molte parole, e venuto il giorno della partenza, fù scoverto dalla Città che il loro Vescovo partiva per Napoli, furono serrate le porte della Città e l’impedirono dicendo che non volevano altro Pastore, che lui, e non volevano che partisse et haveriano supplicato il Papa, che lo lasciasse stare e provedesse d’altro sogetto alla Città di Napoli p quello ufficio e p tre giorni continui stiedero serrate le porte con guardia posta della Città, che non facevano uscir nessuno, se non quelli che andavano a lavorar in Campagna.
Il buon Prelato con la sua dolce maniera li cominciò a ripigliare con buone parole, dicendoli che non era gran cosa a star tre o quattro mesi a Napoli p agiustar solo un negotio grave che lui non poteva star più fora del suo Vescovato, e provisto del nuovo Inquisitore saria tornato alla sua Chiesa a dar il pascolo alle sue Pecorelle, che lasciava in luogo suo il Vicario et un Canonico, persone d’esempio meglio di lui, che s’accontentassero a lasciarlo partire, che li dava parola di ritornar quanto prima poteva.
Li seppe tanto dire, che alla fine piangendo condiscessero alla sua partenza.
85.Fù accompagnato da tutto il Popolo piangendo fuor della Città, il quale diede ordine al suo Mastro di Casa dispensasse tutto quello che poteva p elemosina a tutti li poveri e dandoli la sua Benedizione il Popolo tutto piangendo si licenziò del suo caro Pastore.
Fù anco accompagnato fino a Napoli (illegibile, rotto. N.d.R.) Canonici del Capitolo e da due Gentilhuomini della Città ancor che lui non volesse che si prendessero quel fastidio, che solo li bastava veder il suo affetto, ma non fù possibile a persuaderli che tornassero, che vollero in ogni maniera accompagnarlo.
Il Prelato p corrispondere alla loro cortesia li teneva sempre a tavola sua con ogni lautezza da Cavaliero come era nato.
Gionto Mons.Crescenzio in Napoli fù ricevuto da tutta quella Nobiltà, massime da quei Cavalieri, che erano stati contrarii a Mons.Piazza, con tanta cortesia, vedendo l’humiltà e modestia dal nuovo Inquisitore, che l’amavano e rispettavano come lor Padre, e procuravano pene diverse con lui.
86.Prese il possesso del suo ufficio, s’informò che doveva prender p suoi Consultori della Sacra Inquisitione p haver i meglior Theologi che fussero nella Città di Napoli, di dottrina, di costumi, di bontà di vita. Fra l’altri chi elesse più intimo fu il P. fra Egidio di Marigliano Professore della Sacra Teologia, della quale era stato lettore alli suoi frati nel Convento di Sta Maria della Nuova de Padri Minori osservanti della Religione di S.Fran.co, huomo veramente degno di tal Carica, al quale il nuovo Inquisitore dava li più gravi negotii, che non mancava mai alle Congregationi, che andava facendo con l’altri Padri Maestri domenicani et altri Religiosi che ha eletti p suoi Consultori, che con scambievole satisf.ne andava amministrando quell’ufficio, con tanta piacevolezza e carità, che tutti ne restavano satisfatti
87. Passato alcun tempo fù provisto ancora da Papa Alessandro Settimo di Commissario Generale et economo della P Fabrica di tutto il Regno di Napoli, perche vedeva, che da tutti era amato e rispettato, ma lui cercando di sgravarsi da questo peso che diceva esser molto grave alle sue forze, che non mancava un mezzo al Papa che provedesse del (illegibile, rotto. N.d.R.) soggetto perche desiderava andare alla sua residenza (illegibile, rotto. N.d.R.) le sue Pecorele belavano e ne li facevano urgenza e lui l’haveva data parola di tornar quanto prima, che il Tribunale del S.Ufficio era incaminato con ogni perfezione, ne poteva attendere a due Tribunali et haver cura del suo vescovato.
Non volle dar orecchio Papa Alessandro alle giuste instanze fatteli dal Vescovo di Bitonto, vedendo che le cose caminavano cossì bene, ma per darlo satisf.ne e levarlo dal Scrupolo, che haveva della residenza del Vescovato, li fece scrivere, che stasse pur di buona voglia che haveria proveduto d’un altro sogetto nel Vescovato, acciò non stasse con scrupolo e stasse più volontieri.
88.Fù eletto p vescovo di Bitonto il P.Maestro fra Tomaso Acquaviva dell’Ordine di S.Domenico, Cavaliero Napolitano con una buona pensione che fusse pagata a Mons. Crescenzio, acciò si possi mantenere da paro suo, e cossì fù sgravato dal Vescovato di Bitonto questo Inquisitore e Commissario Generale della fabrica di S.Pietro nel Regno di Napoli.
Con tutto che havessi tante occupationi in Napoli Mons Crescenzio, non per questo lasciava di far molti atti di pietà, come andar alli ospedali, alle prigioni a consolar i poverelli, et anco a raccomandare l’Anima a quelli che si dovevano giusticiare per guadagnar l’Anime loro a Dio.
89.Andava spesso a trovare i nostri Padri delle Scuole Pie della Duchesca con i quali si tratteneva con loro familiarmente, tanto era innamorato dell’Instituto, che p atto d’humiltà si dichiarò discepolo del P.Vincenzo di S.Francesco del quale volle che li fusse insegnato l’Abbaco, che li serviva per tenere i Conti della fabrica, il quale a bocca piena lo chiamava suo Maestro e questo me l’ha detto l’istesso Prelato, esser stato discepolo del P.Vincenzo in Napoli, che l’haveva insegnato l’Abbaco.
Era venuto tanto famigliare di questo Pre che li conferiva tutte le cose sue e più volte discorrendo seco delle cose della Religione, come anco con il P: Angelo di S.Domenico che si trovava in Napoli et era Assistente Generale, e li diceva che se toccasse a lui, voleva far tutte le case della Religione uniformi, come comandano le Constitutioni fatte dal P.Gioseppe della Madre di Dio fundatore. In occasione, che il P:Gio:Luca della Beata Vergine, il quale haveva fatti alcuni Pilastri alla Casa della Duchesca sproporzionati contro la Povertà delle Scuole Pie, l’haveva fatte buttar a terra tanto questo Prelato era amico della Povertà, et Amico dell’osservanza Religiosa.
90.Venne in quel tempo in Napoli da Genova il P.Cosmo di Giesù Maria Generale delle Scuole Pie a far la visita delle due nostre Case della Duchesca e fuor Porta Reale, e fece una grand.ma semplicità pensando forsi che si costumasse come si costuma in Palermo, che in tutte le cose vi vuole l’assenso Regio del Patrimonio e della Monarchia , pche andò da D.Pietro Aragona Vicerè di Napoli, a visitarlo e li chiese licenza di far la visita, il quale li rispose che facesse il Memoriale, che volentieri l’haveria data la licenza.
Fece il Memoriale, lo portò al Vicerè, lo prese, e lo diede al suo Secretario acciò lo facesse leggere in collaterale /e fù commesso ad un Ministro della Giurisditione/ questo non lo conferì con nessuno, se non che con il P.Arcangelo della Mre di Dio, suo Secretario, e penetrato dal P.Angelo di S.Domenico suo p.mo Assistente doppo d’haver dato il memoriale e fatto l’errore.
Quando il P.Angelo seppe questo negotio cominciò a dire al P.Cosmo che haveva fatto male a fare dº memoriale p esser molto pregiudiciale all’Immunità ecclesiastica, pche in Napoli non era costume a cercar simile licenza, che noi habiamo i nostri Privileggi di Mendicanti e non è bene introdur una cosa nuova con Pregiuditio dell’altre Religioni./senza tale facoltà nessun Genle può Visitare in quel Regno/.
91.Subito il P.Angelo se n’andò a trovar Mons.Crescenzio come Confidente et Amatore della Religione a chiederli consulta p vedere come si poteva fare per arrimediare a questo mancamento p non metter quest’usanza in tanto pregiuditio alla libertà ecclesiastica, e far danni grandi all’altre Religioni con questo esempio e veramente fù prudenza grande
Quando Mons.Crescenzio intese il caso disse al P.Angelo, che questa era stata una semplicità molto pregiudiciale alla libertà ecclesiastica, e che se fusse penetrata all’orecchie del Papa, l’haveria castigato severissimamente, che si guardasse molto bene a pigliar la sped.ne, che si metteva in un manifesto pericolo d’esser castigato, et haveria p contrarie tutte le Religioni che erano non solo in Napoli, ma anco a tutto il Regno, e l’haveriano fatto il fiscale appresso alla Sede Apostolica per haver sponte introdotta una cosa nuova con tanto pregiuditio di tutti loro.
92.Pregò il P.Angelo Mons.Crescenzio che li facesse gratia a persuadere al P.Generale, che non prendesse la sped.ne del memoriale e trovasse qualche ripiego honorato, acciò non paresse haver fatta una Camera cossì spropositata, e concitante contro tutte le Religioni, che come hora l’habiamo favorevoli quasi tutte, l’haveriamo contrarie p l’avenire con g.mo danno della nostra Religione pche haveva fatto questo senza la sua consulta, che era il primo doppo lui, e non voleva esser stimato complice in questo delitto mentre non ne sapeva cosa alcuna, trovandosi in Napoli per una lite grave p la Casa di Chieti, che haveva contro Valerio Vistignani p certo interesse grave d’un Censo a favore della Città.
Il buon Prelato subito se n’andò dal P.Cosmo Generale, e li disse, che haveva fatto un errore notabile, che non solo non prendesse la speditione, ma la matina di notte si partisse p Roma, e non si curasse altrimente di far la visita pche li potria succedere qualche incontro grave e ne potria esser gravemente castigato trattandosi di Giurisd.ne Ecclesiastica a metter una usanza dove non era, che lasciasse un imbasciata al ministro a chi era stato comesso il memoriale p la sped.ne, ch’era stato chiamato in Roma p negotii importanti, non voleva più far la visita,e cossì si poteva sanar il tutto,e passati alcuni giorni poteva far la visita il P.Angelo Assistente et il P.Arcangelo della Mre di Dio suo Secretario e Procurator Generale della Religione, che haveria havuto il med.mo effetto, come se l’havesse fatto lui med.mo, altrim.te non solo haveria havute contrarie tutte le Religioni, ma ancor lui ch’era obligato a darne parte a chi doveva, come è ministro della Sede Apostolica in questo Regno di Napoli.
93.Posse tanta paura al P.Cosmo che la matina di notte fù apprestata una lettiga e si partì p Roma senza che nessuno lo sapesse, ne tampoco il P.Angelo, che stava alla Casa fuor Porta Reale, il quale haveva trattato il tutto secretamente con Mons.Crescenzio, sicche non seppe altro che il P.Generale era partito p Roma chiamato dalla Sacra Cong.ne p una Causa introdotta contro di lui dal P.Nicolò Maria de Santi.mo Rosario come si dirà.
Questo sano conseglio di Mons.Crescenzio fù seguitato e ne risultò bene, fù fatta la visita dal P.Angelo con l’assistenza del P.Simone di S.Bartolomeo da Fanano, all’hora Provinciale al Regno di Napoli e dal P.Arcangelo della Mre di Dio come è secretario e cossì senza disturbo ne altro impedimento si fece il tutto con ogni pace e quiete, et anco frutto delle due Case di Napoli.
94.Quanta stima facesse Mons.Crescenzio della Povertà e carità che faceva in Napoli se ne potrebbono fare volumi intieri, poiche più volte fù trovato dal P.Vincenzo di S.Francesco rapezzarsi i calzoni del che maravigliato il P.Vincenzo di tanta humiltà, li rispondeva quel che diceva S.Tomaso di Villanova che quel che risparmiava, risparmiava p i Poveri, che bastava a lui non patir del freddo, ma bensì le vesti di sopra erano da Prelato suo pari, non volendo avilire la sua dignità. Anzi racconta il P.Vincenzo di S.Francesco, che una volta lo vidde tanto strasciato che mostrava sino alle carni, e tutto era p far elem.ne.
Un giorno andarono da lui due Religiosi a dimandarli elemosina p riparare una Cappella della lor Chiesa che pericolava di cascare, e pche erano Poveri non sapevano come fare p rimediare, et havevano bisogno d’una grossa elemosina, erano stati da molte p.sone e non havevano potuto trovar niente, che si movesse a pietà e l’aiutasse.
95.Il buon Prelato mosso a compassione cominciò a pensare come poteva fare p aiutar un opera di tanta pietà non havendo danaro pronto; li fece dar la Carozza con i cavalli, che la vendessero e riparassero la Chiesa, acciò non pericolasse, che lui poteva andarsene a piedi a far i suoi negotii, et ancorche quei Religiosi ricusassero l’elemosina non fù posibile, volle che la prendessero e di questa attione non solo si sparse p tutto Napoli, ma ancora precorsero le nove sino in Roma, dove mi fù detto dal suo Mastro di Casa, e poi mi fù confirmato qui in Napoli.
Fù proposto a Mons.Crescenzio da un Consigliero p beneficio della fabrica che dovendo lui andar fuora p altri negotii l’haveria fatte più facili le attioni del Tribunale, che con la sua autorità haveria fatto grand’utile alla fabrica di S.Pietro, parve bene a Mons Crescenzio darne parte alla S.Cong.ne de Cardinali della fabrica p sentire il suo senso, poiche non si potevano cossì facilmente riscuotere i frutti della fabrica, ne le compositioni poiche havevano i sotterfugii delli Reggi, e con questo nuovo ufficio la fabbrica veniva molto ad avanzare.
96.Ne fù fatta la relatione a Papa Clemente Nono, e considerato esser proficuo questo nuovo ufficio p la fabrica, fù stabilito che fusse fatto il Breve a questo Ministro Regio, acciò cominciasse a dar principio all’operatione.
Ricevuto il Breve il Consigliero volle prenderne l’assenso Regio, acciò facesse le cose con più fondamento, e datone supplica a D.Pietro d’Aragona all’hora Vicerè di Napoli p haverne l’assenso, pensando questo Ministro con questa nuova Comissione ecclesiastica forsi farsi un gran peculio, ma la cosa riuscì tutta al rovescio pche il Vicerè volle veder il principio della fond.ne della fabrica, da dove dirivava, e trovato esser dato il Consenso ad tempus, e che il tempo era passato, non li volle dar il Regio esequatur, anzi pretendeva che fusse levata affatto al Tribunal della fabrica dal Regno di Napoli p le estorsioni che facevano i Comissarii et assignata alli Vescovi Ordinarii del Regno di Napoli, et imbarazzate le cose havevano quasi levato il Tribunale e non si poteva operare come prima.
97.Con quest’occasione Mons.Crescenzio supplicò Papa Clemente nono, che si contentasse potesse andar a Roma p veder d’agiustar le cose con ogni quiete e pace, del che il Papa che stimava molto questo Prelato li diede licenza, che potesse ripatriare, e darli carica honorevole nella Corte, e riposar da tante fatiche. Haveva Papa Clemente posto in Prelatura un Nipote di Mons. Crescenzio, l’altro lo fece suo Cameriero secreto e Canonico di S.Pietro.
In quel tempo era uscito il Breve di Papa Clemente nono della reintegratione della Religione delle Scuole Pie, il quale era stato maneggiato da me, del che mi parve bene darne parte a Mons.Crescenzio e ne le mandai una copia stampata autentica, il quale mi rispose con tanta cortesia ringratiandomi del favore fattoli, che ne ringratiava Dio d’havervi stata risuscitata la Relig.ne fundata con tanti sudori dal P.Gioseppe dellaal Mre di Dio, del che haveva havuta sempre speranza p.ma di morire veder questa giornata, e che sperava quest’allegrezza et ufficio passarlo meco a bocca, quando saria venuto a Roma, che sperava esser quanto p.ma.
98.Giunto che fù in Roma l’andai a visitare, il quale mi raccolse con tanta familiarità e cortesia, volle saper l’operationi fatte p tal Breve, al quale raccontai tutto il successo.
Mi rispose esser stato miracolo grande operato p l’intercessione del P.Fundatore, tanto più, ch’erano state distrutte in quel medesimo tempo tre Religioni dal med.mo Pontefice, e noi da morti eravamo stati risuscitati, hebbe tanta allegrezza che Io ne restai confuso vedendo, che un Prelato, che non n’haveva di far niente si pigliava cura di noi con offerirmi il suo favore dove poteva giovarci in qualsivoglia officio, che saria posto. Fù fatto dal Papa locotenente del Cardinal Ginetti Vicario Genle del Papa, et essercitò quel ufficio con tanta pietà e giustitia, che da tutta la Corte n’era acclamato.
99.Morto Papa Clemente nono fù assunto al Pontificato il Cardinale Altieri che si chiamò Papa Clemente Decimo, il quale fatta la scelta delli migliori Prelati della Corte, che fussero di bontà di vita, nominò p suo Mastro di Camera Mons. Alessandro Crescenzio e lo creò Patriarca Alessandriano con gran applauso e satisf.ne di tutta la Corte Romana p haver fatto suo Mastro di Camera un huomo incorrotto e pieno di tutte le virtù.
Non voglio lasciar di dire i favori che questo Prelato ha fatto alla nostra Religione, dove ha conosciuto poterci aiutare, onde un giorno m’andai a rallegrare del nuovo ufficio che haveva havuto, et invitarlo alla Cong.ne che si doveva fare p dar il giuramento alli testimonii che si dovevano esaminare, e mi disse che p.ma doveva prendere licenza dal Papa p esser quella giornata di audienza dell’Ambasciatori, mi fece aspettare; parlò al Papa dicendoli che la Santità Sua l’haveva deputato nella Causa della Beatificatione del P.Gioseppe della Mre di Dio fundatore delle Scuole Pie, se si contentava quando venisse intimato di poter assistervi con l’altri Prelati, che essendo opera cossì pia, et havendo da quando era piccolino conosciuto dº P., haveva molti obblighi e pciò alle volte non haveria potuto assistere all’Anticamera, se cossì li piacesse darli licenza.
100.Mi disse poi che il Papa l’haveva risposto, che quando si facesse la Cong.ne andasse pure e l’assistesse il suo sostituto, pche il P. Gioseppe l’habiamo conosciuto, e merita esser servito pche è stato un gran Servo di Dio, e con questo mai mancò nella Congregatione.
Se qualcuno mi dicesse a che serviva scriver qui le virtù di Mons.Crescenzio, li potrei rispondere, che è tanto l’affetto che porta alla nostra Religione, che non sdegnò esser stato servito d’uno ch’era stato de nostri, e li riuscì tanto a proposito che doppo morto disse esser stato frutto delle fatiche del P.Gioseppe della Madre di Dio fundatore.

[101-150]

101.Habiamo visto delli quattro Anconitani la riuscita che fecero li tre che lasciarono la Religione, e solo restò il P.Carlo di S.Antonio di Padova che sempre stiede saldo come un scoglio, ne mai volle sentir d’abbandonar il P.Fundatore ne la Religione, benche non li mancassero delle tentationi et anco occasioni di poterlo fare con ogni suo honore. Fù una volta invitato da Mons.Ubaldini Canonico di S.Pietro, e lo fece pregar dal Sr.Gio: Vittorio de Rossi, qllo che scriveva sempre a Papa Alessandro settimo, che come suo caro Amico: se il P.Carlo voleva entrar p Maestro del Seminario di S.Pietro poteva star ancor con il suo habito delle Scuole Pie, saria stato provisto di qualsivoglia cosa, e n’haveria ottenuta la licenza del Papa.
Li rispose che lui voleva star nella casa di S.Pantaleo, ne si curava d’altro, che lo ringratia dell’affetto e non haveva mai havuto questo pensiero.
Quando andammo a basciar i piedi la p.ma volta a Papa Alessandro Settimo l’accolse con g.ma amorevolezza, dicendoli che vedesse di quel che haveva di bisogno di qualsivoglia cosa che saria provisto, che vi andasse speso, che haveria visto voluntieri. Li porgè una Compositione con una epigramma, et Anagramma in lode sua dicendoli che non haveva altro di bisogno che li fusse raccomandata la Religione, che quel che faceva p essa haveria fatto p lui et /con/ poche parole alla sua usanza li chiese la bened.ne, e bagiandoli il piede si partì, et il Papa li rispose a suo tempo, ce ne raccordaremo.
102.Questo Padre lo conosco dall’Anno 1637 e sempre s’è mantenuto in una maniera, ha voluto far sempre la scuola, e non s’è mai curato d’esser superiore e di confessare ancor che i Superiori ne l’habino fatto instanza, l’ha sempre prevenuti acciò lo lascino stare a far la scuola, e non ha mai voluto altro, scusandosi di non esser buono a nessun altra cosa, pche p la sua modestia e bontà sempre hanno aderito alla sua buona intentione; non è che lui non fusse capace p qualsivoglia ufficio, mà ha sempre fatto ciò p humiltà, stimandosi da poco e da niente; ma sa il fatto suo come ogn’altro, e nelle persecutioni della Religione s’è adoprato quanto ha saputo p il suo aiuto. Non mi par bene dir altro in questa materia pche quando era qualche cosa segreta per il ben publico, era chiamato lui, p mai parlava con nessuno.
103.Veniamo hora all’infermità del nostro Venerabil Padre fundatore, quando cade ammalato da dove venne la cagione. Veniva spesso da lui Cosmo Vannucci, elemosiniero del Papa, con il quale haveva havuta antichissima particolare amicitia, pche spesso veniva a conferir seco i suoi negotii, e facevano assiemi spesso conferenze spirituali.
Venne il giorno di S.Pantaleo delli 27 di luglio 1648, titolare della nostra Chiesa, e volle quel giorno mangiar con il Padre, e portò seco un Chierico suo nipote, il quale era Canonico della Bocca della Verità. Questo Cosmo Vannucci era ancor lui vecchio, che passava li settanta cinque anni, ma persona robusta, e di pasto molto competentemente p esser corpolento, e sempre caminava p Roma a far la visita a tutti i Poveri vergognosi, che ogni giorno girava quasi tutta Roma, e digeriva p dir accossì sino all’acciaio.
104.Il contrario del nostro venerabil P. che haveva finiti già 92 Anni, non faceva mai altro esercitio, se non che andava ogni giorno due volte a visitar le scuole, che mai questo lo lasciò sinche si pose a letto, spassegiava un ora all’oratorio, che s’haveva assignata, et andava qualche volta a sedere nella Sacrestia; quest’era tutto il suo esercitio. Quanto poi al mangiare era di pochi.mo pasto, mangiava qualche brodetto, pancotto, qualche poco di carne il giorno che se ne mangiava, e qualche poco di provatura. Il vino lo voleva adaquato due parti d’acqua et una di vino, e beveva con tanta parsimonia, che un fiasco ordinario di vino li bastava tutta la settimana. Siche la complessione del P. era assai diversa di quella di Cosmo Vannucci, et anco del Chierico suo Nipote, che haveva da 18 anni.
Recusò il P. di mangiar con il Vannucci, dicendoli che lui era vecchio, e non poteva star tanto a tavola essendo anche nella parsimonia, che però da pochi anni in qua s’era ritirato a mangiare in Camera p non dar sogetto alla Comunità de Padri pche vedevano alcuni che lui non mangiava, s’astenevano come più volte l’era successo.
105.Cosmo presago di quel che doveva succedere lo pregò, che li facesse gratia p quella volta che mangiassero assiemi, che Dio sà se lo potevano far più, perchè già era l’ora di pranzo, e lui stava di Casa a Monti, et haveva da visitare tutto il Rione di Borgo e di Trastevere, e pciò non poteva andar a Casa e poi andar a far la visita de poveri vergognosi.
Infine lo pregò tanto, e come il P. non sapeva mai negare cosa a nessuno, condiscesse, chiamò il fratel Agabito della Nuntiata Siciliano, suo Comapgno, che apparecchiasse p mangiare, e si facesse dar due posate dal Guardarobba p il Sr.Cosmo Vannucci et il Canonico suo Nipote, che in ogni modo volevano mangiar con lui. Dicese al frel Francesco dell’Angelo Custode, cuoco, mandasse a tavola p il Sr.Cosmo et il Nipote tutte quelle cose che haveva apparecchiato per i Padri, acciò habia satisfatione e p lui le sue cose solite e ordinarie, come anco ordinò al Refettoriero che dasse quanto bisognava p tutti due.
106.Haveva assegnato al P.Fundatore la metà della sua parte che lui haveva da Palazzo, che erano due pagnotte bianche Papaline, et un bocale di vino della Cantina Secreta del Papa p ogni giorno, e li faceva questa Carità; ma il P. faceva pigliar questo pane e questo vino, e lo dava p Carità ad una Sig.ra chiamata Giulia Merende.la quale da molto ricca, era divenuta in somma Povertà .
Andarono a tavola, e visto Cosmo Vannucci, che il pane, che mangiava il P.Fundatore, era pane ordinario, domandò al frel Agabito pche non li metteva il pane Papalino della parte che era più legiero e lo poteva meglio digerire.
Li rispose il fratel Agabito in lingua siciliana, che lu pani comuni si padiano meglio e lu cancu era di chiu dava digiustiuni.
Non intendeva il Sig.Cosmo il parlare del fratel Agabito, e cominciarono a contendere se il pane grosso o vero il bianco era di più presto digestione, o no, et il P: che vedeva constrastare due vecchi, che uno non sentiva l’altro, si mise a ridere, e dichiarar al Sr.Cosmo, che li piaceva il pane più ordinario che il Papalino, e cossì si quietarono.
107.Haveva portati alcuni persici il Canonico, quali fatti mondare, li pose dentro il vino per mangiarli al p.º pasto e datole al P. li ricusò, dicendoli che li frutti non li piacevano molto, ma il Sr.Cosmo li disse, che ne mangiasse pche erano buoni, che era cosa nuova, che ancora non se ne vedevano, e l’erano stati donati a Palazzo da Mons.Virgilio Spada elemosiniere Maggiore del Papa, ch’erano cosa pretiosa, che le mangiasse. Li disse tanto, che ne le fece mangiare, come anche una fetta di melone, a questi fu data la causa della sua infermità p non haverli potuto digerire, o veramente che havesse passato il suo solito nella parsimonia. La sera non volle prender cosa nessuna, e se n’andò al letto digiuno, ancorche dal P.Vincenzo della Conc.ne ne li fu fatta instanza, che havesse almeno presa qualche cosa p dormire. La notte stiede sempre in vigilia, che non poteva dormire, et il fratel Agabito che dormiva in un camerino attaccato alla stanza del Padre si levò per vedere s’havesse bisogno di qualche cosa; li rispose che andasse pure a dormire, che lui voleva far un poco d’oratione.
108.Tornato al letto il fratel Agabito stiede un poco a sentir il P: che discorreva con una persona, di molte cose di spirito, della Gloria del Paradiso, e pensando, che l’havesse gabbato il sonno, che qualched’uno fusse entrato dal P. si levò tutto sonnachioso, et aperta la porta fece alquanto di rumore. Lo dimandò il P. che cosa andasse facendo, che andasse a dormire, e non patire di sonno, che poi saria cascato ammalato.
Li replicò che l’haveva inteso discorrere con un altro, che pensava fusse entrato alcuno a svegliarlo, e voleva veder chi era acciò nessuno li dasse fastidio.
Li rispose il Padre, alla buonora, andate a dormire che quando Io non dormito mi raccomando a Dio, dato che ho questo poco di tempo, e il giorno delli 28 di Luglio la matina prese solamente un brodo, ne volle mangiar altro; la sera mangiò pochissimo, e la notte poco riposò, dicendo, che si sentiva il stomaco alterato, non pensavamo che fusse cosa di consideratione, non voleva che nessuno lo vedesse quando mangiava come faceva pma.
109.Alli 29 li scrisse una lettera da Poli il Padre Gio:Battista di S.Bartolomeo, che li facesse la carità, e li facesse provedere d’un Bracchiero pche se l’era rotto e non poteva caminare. Subito il P. fece chiamar il P. Bonaventura di S.Maria Madalena Procuratore, che veda di far la carità e provedere d’un Bracchiero a questo P. pche n’haveva di bisogno. Il P.Bonaventura finse di non sentire, e rispose in un’altra cosa come era solito, che quando non voleva far una cosa rispondeva ad un altro negotio. Accorto il P. che non li rispose alla petitione, li replicò se haveva sentito a provedere il P:Gio.Battista di S.Bartolomeo del Bracchiero.
110.Li rispose che haveva inteso beni.mo, ma non lo meritava p i danni che haveva fatti alla Religione, che s’era fidato di lui a darli a tener i libri del Registro della Religione quando si vestono i Novitii , e che lui n’haveva levata una Carta p esser vestito p fratell’operario, p far vedere che quando si vestì non haveva 21 Anni, che pretendeva esser sacerdote, con il suo esempio erano venute le liti dell’altri pretendenti, e da qui principiò il danno della Religione, et hora ha faccia di scrivere a V.P. a cercarli il Bracchiero , la Casa di Poli è commoda, che se li facci comprar dal suo superiore, che noi siamo Poveri e la Casa non ha danaro da spender p l’altre.
Il P. non rispose altro: P.Bonaventura sit nomen Domini benedictum. Reddite bonum pro malo, che quest’è esser Povero della Mre di Dio, et osservar la legge evangelica, son cose fatte e passate e di già ne ricevè la sua mortificatione, e mentre vogliamo che Dio perdoni i nostri peccati è necessario pdonare il Prosimo, mortificatevi p amor di Dio et andatelo a prender qto pma.
Con questa esortatione il P.Bonaventura providde al P.Gio:Battista, e li mandò il Bracchiero havendo la comodità pronta; siche tornato a Casa subito il P: domandò se haveva fatta la Carità al P.Gio: Battista, e rispostolo che già l’haveva mandato, diede ordine al P.Vincenzo della Concettione suo Secretario, che scrivesse a Poli al P.Gio:Battista se haveva havuto il Bracchiere mandatoli dal P.Bonaventura, e che vedesse se l’andava bene, o vero se li facesse male, che lo rimandasse a dietro, che l’haveria fatto cambiare
Da dove si vede la Carità del P: ancorche questo P.Gio:Battista havesse fatto un danno grande alla Religione, volle che in ogni modo fusse proveduto del suo bisogno.
111.Alli 30 di luglio 1648 venne da Frascati in Roma il P.Gio:Battista di S.Andrea Genovese, dove s’haveva fatto sacerdote indirettamente ed è quello che con il Chierico frel Luca di S.Bernardo erano i più contrarii al P.Stefano dell’Angeli p l’occasione, che s’è detta nella seconda parte.
Giunto in Roma se n’andò a prender la beneditione dal P.Fundatore, dicendoli che haveva pensiero d’andar a Genova, e ripatriare p dar qualche consolatione a suoi Parenti, essendo che non l’havevano veduto da molti Anni, che non poteva star più a Frascati p non esservi quel governo di p.ma et ogni cosa andava alla peggio.
112.Li rispose il P. che non andasse ne abbandonasse la Casa di Frascati, che p haverla fundata lui med.mo, molto l’amava, che in niun modo partisse pche non haveria havuta quella satisfatione, che pensava, massime che voleva andar per mare, dove si sentivano molte prede di Corsari, che se ne tornasse a Frascati, e stesse ivi quieto e li fusse raccomandata la Casa, giache il P.Adriano di Frascati l’haveva abbandonata con haver lasciato l’abito et era quello che chiamavano Carbonella, e li posero questo nome p esser negro. Questo lasciato l’abito si mise a far scuola publica p dar disgusto ai Padri di Frascati, li faceva molti dispetti, e quest’era l’occasione che quei Padri vi stavano inquieti e non havevano pace.
Impetrò d’esser Canonico della Catedrale di Frascati, ma poco durò pche fù licenziato dal Capitolo sotto pretesto di farlo Parrocchiano della Chiesa di S.Rocco, mà durò poco e ne fù anco levato con grand.ma sua mortificatione p non haver esercitato quell’ufficio come doveva.
Quando lui era de nostri era stato economo e Procuratore della nostra Casa, haveva mangiato il tutto, e senza haver dato i Conti s’era partito, e questo li fece più guerra che altro. / Questo D.Adriano lasciato l’habito nostro non ha mai havuto bene sempre sta male p i patimenti e guai, che ha passati, che quando era de nostri, che veniva a Roma a Cavallo con un servidore inanzi e poi l’ho visto venir a piedi con due canestri di frutti in spalla p regalare chi lo portava avanti, p il che fù fatto Canonico di Marino, li fù mossa una lite e ne fù anco spogliato/
113.Tornò il P.Gio:Battista di S.Andrea di nuovo a Frascati p haver sentito i sensi del P.Fundatore dove stiede sino all’27 d’Agosto mentre che intese la morte del P.Fundatore, che furono tutti i Padri invitati che venissero all’esequie del nostro P. come fù fatto all’altre Case vicine a Roma, e fra questi venne ancora il P.Gio:Battista di S.Andrea detto p sopranome il Moro.
Sepellito che fù il P. viddero le meraviglie che Dio oprò p la sua intercessione, cominciò a trovar l’imbarco p Genova, et appuntato con un Padrone che andava a Savona, li diede la caparra e s’imbarcò in compagnia d’un P. francese il quale era Provinciale di Linguadoca , che come Provinciale dell’Ordine del Carmine era stato in Roma con un Compagno al Capitolo Gnle, et altri passagieri che andavano in diverse parti.
Tornò il P.Gio:Battista a Frascati, prese le sue robbe, tornato in Roma s’imbarcò felicemente con i suoi Compagni con vento prospero fecero vela, e giunti al Monte Argentario furono assaliti da due Bergantini Barbareschi, che furono tutti fatti schiavi, e portati a Tunisi e cosegnati a D.Filippo d’Austria, quello che fù preso da Christiani, fù condotto in Spagna, e donato al Re Filippo terzo, lo fece battezzare /li fece metter nome Filippo d’Austria tenendolo lui medesimo e la Regina al fonte Battesimale/ , che p esser figlio di Re lo tenne alcun tempo seco, che poi p. stradageme della Suldana sua Madre lo fece fuggire, e se ne tornò di nuovo a Tunisi. A questo furono consegnati tutti li schiavi di quella presa, che come cattolici quel Prencipe li fece mettere dentro al Bagno, e come sacerdoti non li fece molto strapazzare. Anzi li diede licenza, che potessero conversare con l’altri christiani e li fussero restituiti i loro habiti.
114.Giunta la nuova in Roma esser fatto schiavo il P.Gio:Battista e che stava a Tunisi, fù fatta una Cong.ne da Padri della Casa di S.Pantaleo p. vedere il modo che si poteva tenere p riscattarlo, come anco ne fù scritto ai Padri di Genova, acciò loro s’adoprassero a trovar elemosine quanto potevano e ne fù data in Roma l’incumbenza al Fratel Paulo di S.Gio:Battista Genovese acciò veda di trovar elemisona da Cardinali, Ambasciadori et altre persone pie p il riscatto, il quale fece molte diligenze con promesse grandi, ma senza poco frutto pche il frel Paulo fù chiamato a Genova p i negotii della sua casa, e non fù possibile poter proseguirlo più.
Fù imposto a me, che trattassi con Mons. Francesco Ingoli Secretario della Congregatione di Propaganda Fide, che ci facesse gratia di scrivere alli Missionarii della Congne, che stavano a Tunisi , che raccomandasse fratanto si pigliava qualche espediente p riscattarlo come già s’era dato qualche principio a trattare.
115.Questo Prelato era molto amorevole del nostro V.P. Fundatore e spesso veniva a discorrer seco de suoi negotii, che con quest’occasione Io lo conoscevo. Era un gran Servo di Dio et haveva tanto credito nella Cong.ne di Propaganda Fide, che bastava che proponesse una cosa in Congregatione che tutti si rimettevano al suo parere. Era ancora Secretario della Cong.ne di Ceremonie ecclesiastice, che p. ordine della Cong.ne fece il nuovo Ceremoniale. Stava di casa al Palazzo del Cardinal Barbarino a S.Lorenzo in Damaso, dove haveva il suo appartamento, che p esser tanto vicino a S.Pantaleo spesso veniva, come dissi, dal P.Fundatore.
Andai da Mons.Ingoli, cominciammo a discorrere del Caso, e che ci facesse gratia di raccomaandarlo alli missionarii acciò non fusse posto in catena (come il med.mo P.Gio:Battista dubitava, che alle volte i Ministri lo minacciavano che volevano esser regalati e che s’andava ingegnando a darli qualche cortesia con l’altri Christiani).
116.Mi rispose il buon Prelato che haveria scritto ad alcuni Religiosi francesi Missionarii di Tunisi, alli quali il Prencipe D. Filippo haveva molto credito, e che p mezzo loro faceva molte Carità alli Christiani ch’erano fatti schiavi.
E che con questa occasione haveria mandata facultà al P.Gio:Battista di poter amministrare i Sacramenti alli Christiani et aggregarlo alla Missione, che come italiano haveria fatto anco del bene alla fede Cattolica, e di tutto haveria havuto relatione con la p.ma occasione, che vi fusse per il Regno di Tunisi.
Discorressimo anco del stato in che in quel tempo si trovava la Religione, che vedesse se si poteva giovar in qualche cosa pche le nostre cose andavano alla peggio, non havendo Capo alla Religione e l’Ordinarii de luoghi strapazzavano i nostri Padri alla pegio, che p. non scoprir le piaghe di qualche persona non parlavano acciò non venisse peggio, et ognuno voleva far quel che li piaceva.
117.Mi rispose a questo, che havessimo patienza sinche durasse il Pontificato di Papa Innocentio Decimo pche haveva studiato il Breve, il quale non serviva a niente p non esser publicato ad valvas, e queste furono le precise parole e se Io sarò vivo il Breve servirà p turacci de fraschi. Che parve ne fusse profeta, che questo fù il punto preso dall’Avvocato Pietro Pifferi, che nella sua Scrittura , fatta alla Congregatione particolare de tre Prelati fatta dalla f.mem. di Papa Clemente, e sotto questo articolo fù reintegrata.
Venne la relatione da Tunisi dalli Missionarii francesi, che il P.Gio:Battista di S.Andrea delle Scuole Pie era vivo stava bene, che faceva camerata con li due Padri Carmelitani francesi di Linguadoca , i quali s’adopravano nella Moschea d’amministrar le confessioni alli schiavi Christiani, li facevano ogni giorno dir il Rosario, e li mantenevano con le cose spirituali acciò non prevaricassero e renegassero la fede, del che speravano qualche frutto p l’anime di quei Poveri Schiavi a mantenerli nella loro buona compagnia et esempio. Questa relatione venne a Mons.Ingoli dalli due Missionarii francesi.
118.Dell’Anno 1650 venne in Roma p guadagnar l’indulgenza dell’Anno (Santo) il P.Pier Francesco della Mre di Dio Napolitano, da Caglieri in Sardegna e menò seco un Chierico chiamato il fratel Ignatio di professione Abbachista, ne stiedero da due mesi a far le loro Devotioni e far altri negotii p la Casa di Caglieri. Mi fù data Comissione dal dº P.Pier Francesco che li facesse far un Ritratto del nostro Venerabil P.Fundatore al naturale di mezza figura con l’apparitione della Madonna de Monti come quello che Io tenevo p mia devotione in Camera.
Feci far il quadro bell.mo dal Pittore chiamato Gio:Barbarino che serviva la Casa Professa della Compagnia di Gesù, e che in quel tempo era il meglior Pittore di Ritratti che fusse in Roma, e questo fù quello che lo prese dal naturale mentre che stava morto al cataletto non havendolo potuto indovinare a pigliarlo al naturale mentre che era vivo, havendovi provato molte volte, che pareva il P. sapesse che lo voleva ritrarre; provò quattro volte: la pª in Sacrestia dove lo condusse Io e feci mettere il Pittore dentro il Camerino, e postosi a sedere il P: all’incontro avanti la finestra, lui si metteva le mani in faccia, o vero si voltava all’altra banda, stanco il Pittore si partì con speranza, che l’haveria fatto la matina seguente con meglio occasione.
119.Cominciammo a pensare di gabbarlo la matina seguente mentre recitava l’ufficio, che spesso l’aiutavo Io a recitare, fecimo una buca alla stora che haveva avanti la porta all’incontro del tavolino dove sedeva. Preparato il Pittore e visto nella sua giusta postura, disse che l’osservava benissimo, e l’haveria ritratto al naturale.
Entrato Io dal P li domandai se voleva dir l’ufficio, mi rispose che prendessi il Breviario, mi fece sedere, cominciato il p.mo salmo quando il Pittore voleva cominciare a delinearlo, si levò da sedere dicendomi, che li faceva male il sole all’occhi, e cossì volle cambiar il luogo, e s’assentò dove sedevo Io e però il Pittore non potè far cosa nessuna, e si partì di nuovo, siche non si potè ritrarre con perfettione se non doppo che fù morto.
120.Dell’Anno 1644 venne in Roma il vescovo di Malta, il quale era molto devoto del nostro Padre, prese Casa incontro la Chiesa di S.Pantaleo acciò potesse spesso discorrere seco di cose spirituali, havendolo conosciuto da quaranta e più Anni p.ma.
Questo Prelato provò anco più volte con i megliori Pittori di Roma a farlo ritrarre e mai fù possibile, alla fine risolvè d’haverne un Ritratto in ogni maniera. Li disse un giorno P.Generale vorrei che mi facesse una gratia prima che Io parti p Malta mà non vorrei che me la negasse.
Il P. li rispose che se fusse cosa, che dependesse da lui l’haveria servito voluntieri, purche non li cercasse di far la fond.e in Malta, che altre volte l’haveva negata p non haver sogetti a proposito a darli satisfatione.
Non, li disse, solo vorrei che venisse a pranzo una matina meco che Dio sa se ci vediamo più. Io devo partir presto, e vorrei questa consolatione quest’è quanto la prego.
Non era solito il P: mangiar fuor di Casa, ma pche il Prelato lo prese in parola, condiscesse alla voluntà del Prelato et appuntato il giorno restarono d’accordo che vi saria andato.
Fratanto il Vescovo di Malta fece chiamar il Pittore, e fattolo accomodar dietro una Portiera p haver il lume giusto, mentre che mangiavano lo ritrasse nella med.ma positura e fù tanto al naturale, che il Vescovo ne restò molto satisfatto.
121.Questo Ritratto poi dell’Anno 1649 lo donò alla nostra Casa di Messina dicendoli che haveva fatto tanto studio p haverlo, che per non passar ad altra mano et andasse a chi non lo conosceva doppo la sua morte, ne faceva un regalo a loro, che haveriano una cosa buona e naturale, e l’haveriano custodita, che già ho havuto la notitia della sua morte, delli Miracoli Iddio ha operato p la sua intercessione, e da che l’ho conosciuto sempre l’ho tenuto p Santo p i molti buoni e savi documenti, che mi ha dati, et ultimamente quando fui in Roma p alcuni travagli che passava p la mia Chiesa m’andavo sempre a consolar con lui e restavo non solamente satisfatto e consolato, ma ammaestrato dalle sue dolci et amorose parole, al quale ho oblighi grand.mi , pche ancor lui p maggiormente consolarmi, mi conferiva i suoi travagli, acciò mi sapese conformar con la Voluntà di Dio, questo era il suo scopo.
No solamente il P.Pier Francesco volle che li facesse far il quadro, ma ancora volle, che li dasse dell’immagini fatte far in carta in più rami, e ne feci stampar una quantità, che li voleva portar seco in Sardegna.
122.Haveva fatta il P.Camillo di S.Gironamo Rettore del Collegio Nazareno l’oratione funerale del P.Fundatore, fù mio pensiero a farla stampare che p esser cosa peregrina ne volle cinquanta.
Quando morì il Benedetto P.Fundatore tutti quelli che si trovarono presenti, vi misero molte pezze nel suo sangue p divotione, e fù fatto un errore grande a non empire una Carrafina di Sangue p tenerlo p memoria e divotione, e considerato quest’errore ci havevamo pentito di non haverlo fatto. Cominciai a pensare tra me stesso, che quella quantità di panni che havevo intinti le potevo lavare, componere Sangue et acqua insieme, e metterlo in carrafine e prender piattini e scodelle e mettervi dentro il sangue con l’acqua, lo mettevo poi al sole, saria levata l’acqua e restato ivi il sangue, e fatta questa propositione la posi in esecutione; feci provisione da cinquanta carrafine (di) maiolica, /illegibile, rotto. N.d. R/ dieci piattini di maiolica lavorati con diverse pitture, e dieci scodelle similmente di maiolica dell’istessi tenori, lavai le pezze con diligenza grande, mesci l’acqua con sangue, lo posi dentro i piatti e scodelle, lo posi al sole, che p esser il sol in leone, subito si bevè l’acqua e restò il vestigio del sangue; poi riempì le carrafine, e ben sigillate le custodii p mia devotione, alli piattini e alle scodelle p far vedere haverle intinte Io vi posi il mio sigillo con cera di Spagna, come ancora si possono vedere, che vi hanno alcune all’Archivio della Casa della Duchesca, che diedi al P.Gio:Luca della Beata Vergine Provinciale del Regno di Napoli quando venne in Roma al Capitolo Generale dell’Anno 1659, che pochi giorni sono l’ho rivisti nel med.mo Archivio dove si conservano con l’altre cose del nostro Venerabil Padre.
123.Di queste carrafine diedi due et un piattino tinto di sangue con quattro sigilli di cera di Spagna sopra all’orlo di sopra et uno alla parte di sotto nel fondo diedi al P.Pier Francesco i quali prese con g.ma devotione, e li portò seco in Sardegna. Imbarcato in Roma se ne venne in Napoli, trovò una filuca accomodata, fecero un viaggio felici.mo, quando furono lotani da Caglieri quasi due miglia, furono assaliti da due bergantini turcheschi, e vedendosi persi lasciarono la filuca e si posero a fugire, et abbandonarono il tutto, et il P.Pier Francesco vi haveva più di mille scudi di Robbe come panni, biancheria, libri et altre galanterie che haveva comprate in Roma comesseli da certe Dame in Caglieri e non fecero poco a scampare che quando giunsero a Caglieri erano più morti che vivi.
124.Fù presa la filuca da Turchi e portata a Tunisi e sbarcate le robbe a terra fù avisato il Prencipe D. Filippo d’Austria, che erano tornati alcuni suoi Bergantini et havevano fatta preda d’una filuca Christiana, dove erano molte cose di devotioni, et in particolare un quadro con altre Reliquie, medaglie e vesti da Religiosi, che vedesse quel che comandava p.ma che si sbarcasse la robba.
Commandò D.Filippo che non toccassero cosa alcuna se non calava lui alla marina, pche voleva vedere il tutto, massime le Reliquie acciò non fussero strapazzate da quei infedeli. Calato alla marina fece sbarcar il tutto, e vista una scatola la fece aprire, trovò il Piattino, e letto nel giro di sotto, che diceva Sangue del P.Giuseppe della Madre di Dio, fundatore delle Scuole Pie morto in Roma alli 25 d’Agosto 1648, quale inscritione fù fatta di mia mano, prese il piattino e se lo pose in petto, le medaglie, corone, l’orationi funerali e l’imagini le fece portar in Palazzo.
125.Trovato poi il quadro con lo stemma e l’arme della nostra Religione lo volle vedere et osservare se il vestito confrontava con quello del suo schiavo P.Gio: Battista di S.Andrea, e visto, ch’era il med.mo lo fece mettere da parte con una veste et un mantello nuovi, che s’haveva fatto coscire il P.Pier Francesco in Roma dal frello Gioseppe della Purificatione Guarda Robba, e fatto portar tutto in Palazzo, l’altre robbe furono vendute all’incanto p spartirsi il danaro quei corsari.
Fù chiamato il P.Provinciale de Carmelitani et il P.Gio: Battista delle Scuole (Pie) a palazzo e fattoli vedere il quadro del nostro Ven.P.Fundatore, li domandò se lo conoscevano.
126.Il P.Provinciale disse, che lui due Anni sono si trovò in Roma quando stava esposto in Chiesa questo P., dove fece molti miracoli con un concorso tanto grande che la gente s’affogavano l’un l’altro. Il P.Gio:Battista s’ingenocchiò piangendo baciava il quadro, disse, Sig.re questo è il nostro P. Fundatore, il quale p.ma di partire da Roma, che ancor viveva mi dissuase che non lasciassi la casa di Frascati e non andasse a Genova pche non haveria havuto tutte le saatisfattioni che pensavo. P non haver fatta la sua obedienza, mi è successo esser fatto schiavo. V. Altezza Reale mi facci gratia darmi questo quadro che lo portarò al Bagno, dove diremo il Rosario con l’altri Christiani se cossì comanda, acciò non capita in mano di qualched’uno che non sa che si sia, e lo strapazza.
Il Prencipe non solo li concesse il quadro, mà anco la veste et il mantello, li disse che si vestisse di quell’habiti, e seguitasse la sua legge giacche con tante instanze fatte dal Bassa non haveva voluto rinnegare, poi si mise la mano al Petto con g.ma devotione, li mostrò il piattino tinto di sanguine, e disse se lo conosceva, li rispose questo è sangue del medesimo Padre, e questi sono sigilli della nostra Religione, e mi par di conoscer la mano esser d’un nostro Padre che stà in Roma, che fù suo Infermiero nella sua ultima Infermità. Hor vedete Altezza come Dio consola gli afflitti in questa misera schiavitudine.
127.Il P.Provinciale de Carmelitani lo pregò p amor di Dio, che li facesse gratia darli quel piatto, che haveva grand.ma fede che p l’intercessione di quel Servo di Dio l’haveria interceduta dal S.re la libertà, che l’haveva detto il missionaro francese che stasse allegramente, che Dio l’haveria aiutato. Il Prencipe li concesse il piatto dicendoli che stassero allegramente che lui ancora l’haveria a suo tempo aiutati, non potendo p anco farlo pche sua Madre era la padrona del tutto.
Prese il piatto il P.Provinciale con gran devotione, e fece questo voto al P.Gioseppe della Mre di Dio, che se lui fusse libero dalla schiavitudine con il suo Compagno, non si curava andar a drittura al suo Paese, ma andar in Roma a dir la Messa dove è sepellito il Corpo del P.Gioseppe della Madre di Dio fundatore delle Scuole Pie, come anco scrivere la sua vita in lingua francese.
128.Li licenziò il Prencipe pregandoli che pregassero Dio p lui, che lui ancora stava come schiavo sotto la potestà della Madre, ne poteva far quel che voleva.
Partirono i tre Religiosi e se n’andarono allegramente alla Moschea, e visto da quei Christiani il quadro del P.Fundatore pregarono il P.Gio:Battista, che l’attaccasse al muro al meglio che si poteva pche non vi era il telare, acciò vi potessero adorare alla Beati.ma Vergine, et al Servo di Dio, che essi non havevano mai vista nessuna Imagine ne di Gesu Christo, ne della Beatisi.ma Vergine ne di Santo nessuno, acciò vi potessero far le loro devotioni.
Non volle il P.Gio Battista far questo così presto dubitando che il guardia non l’accussase al Bassa, e ricevesse qualche disgusto, mà li rispose, che s’ingegnassero a provar di farvi un telaro, fratanto loro haveriano parlato al Bassa acciò si contentasse ad esporre il quadro per potervi dir il Rosario, e far le loro devotioni come volevano.
129.Eranovi nel Bagno molti Christiani schiavi di diverse nationi Italiani, Spagnoli, Francesi, Polacchi, Tedeschi, Venetiani et Ungarici, i quali vedendo tanta allegrezza che faceva la Camerata delli Papassi, che così chiamavano quei Sacerdoti, cominciarono ancor loro a dimandare, che cosa era quella allegrezza, e li fù risposto che stassero quieti che a suo tempo haveriano veduto un quadro dove era l’immagine della Beat.ma Vergine con il Baambino in braccio, et un Servo di Dio in adoratione. Fratanto vennero i missionarii francesi, e raccontateli il fatto, si presero pensiero di parlar i Custode Bassa della Moschea, che si contentasse non impedire i Christiani che attaccano nel Bagno un quadro donato dal Prencipe D.Filippo alli Papassi acciò vi possino far le loro devotioni, che lui si contentasse che saria regalato dal Bailo francese, come anco lui ne l’haveria parlato.
130.Concesse il Bassa che facessero pure quel che voleva il Prencipe ma non facessero molte gridate, acciò non penetrassero all’orecchie della Soltana, ch’era tanta Inimica delli Christiani. Con questa risposta fù fatto un telare al quadro, fù attaccato al muro del Bagno dove quei poveri schiavi s’inginochiavano e facevano oratione, et ad un hora destinata dicevano il Rosario della Beata Vergine ogni giorno. Passati alcuni giorni fù riscattato il P.Provinciale de Carmelitani e come doveva andar in Linguadoca sua Patria, se ne venne in Roma ad adempire il voto fatto al P.Fundatore, che se lui era riscattato voleva venir in Roma a dir la Messa all’altare di S.Pantaleo, dove era sepellito il Corpo del Venerabile P.Gioseppe della Mre di Dio fundatore delle Scuole Pie.
Una matina vennero due frati Carmelitani nella sacrestia dove Io ero sacrestano maggiore, e mi dissero che volevano dir la messa all’altar maggiore uno dopo l’altro, e fatto dir al P.Provinciale restò il Compagno in sacrestia, li domandai di che Paese erano, mi rispose esser tutti due francesi della Provincia di Linguadoca et erano stati schiavi a Tunisi con il P.Gio: Battista di S.Andrea delle Scuole Pie e quel P. che diceva la Messa era Provinciale, che erano stati riscattati p miracolo del P. nostro Fundatore, al quale haveva fatto voto che scappa da mano di Turchi voleva venir a posta in Roma a dir la messa dove era sepellito il P.Gioseppe, e lui haveva Reliquia di dº Padre dattali dal Prencipe D.Filippo d’Austria, mà pche questo P. non possedeva bene la lingua italiana non capivo bene quel che si dicesse, ma p più assicurarmi aspettai il P.Provinciale che finisse la messa, il quale mi raccontò quanto s’è detto di sopra e cavatosi dal petto il Piattino dove era il sangue del P.Fundatore, mi domandò se lo conoscevo.
131.Lo riconobbi e dissi che quel piatto l’havevo donato al P.Pier Fr.co della Mre di Dio Ministro e Fundatore della Casa di Caglieri, e l’havevo dato a lui l’Anno Santo, quando venne in Roma, del che ne volle fede da me, sottoscritta dal P.Castiglia Superiore e dal P.Vincenzo della Concettione Proc.re, et il P.Castiglia volle che quella matina restassero a pranzo con noi. Vollero veder la Camera del V.P. Fundatore e quando viddero il quadro al naturale fatto dal med.mo Pittore dissero che era simile a quello che stava nel Bagno di Tunisi, dove stavano i schiavi Christiani, e vi dicevano ogni giorno il Rosario con grand.ma divotione.
Chiedi a loro del P.Gio:Battista, il quale spesso discorreva con il Prencipe D.Filippo, e l’haveva promesso che qto pma l’haveria fatta dar la libertà, come successe.
132.Volle il P.Provinciale molte notitie del P. nostro Fundatore p scrivere la vita in lingua francese p il che li diedi due orationi funerali fatte una dal P.Camillo di S.Geronimo, e l’altra dal P.Giacinto di S.Vincenzo Scalzo Carmelitano, che recitò al trentesimo del P.Fundatore alla Chiesa di S.Pantaleo, stampata in Varsavia come si dirà a suo luogo.
Andai più volte a visitar il dº P.Provinciale alla Traspontina dove stanziava, mi promisse di scrivermi, e mandarmi la Vita del nostro Venerabil P stampata in lingua francese, ma mai più ne potei havere nuova nessuna con tutto che feci molte diligenze.
133.Passati alcuni mesi venne nuova da Palermo esser capitato ivi il P.Gio:Battista di S.Andrea, il quale haveva havuta la libertà dalla schiavitudine da D.Filippo d’Austria e che stava di partenza p Genova da dove haveria scritto quel che l’occorreva, ch’era vestito col nostro habito datoli dal med.mo D.Filippo, e che nella Moschea haveva lasciato il quadro del nostro Venerabil P.Fundatore, e quei schiavi christiani vi facevano molte divotioni p esservi l’effigie della Beatiss.ma Virgine con il suo S.mo Bambino.
Gionto il P.Gio:Battista a Genova diede nuova del tutto al P.Castiglia, e che era stato liberato con obligo di far dire non sò quante messe, che li facesse la Carità farle celebrare acciò non stasse di scrupolo e non venisse meno della parola data al Prencipe D.Filippo suo liberatore, e che facesse capitare in proprie mani del Cardinal Trivultio quel piego che veniva da Tunisi, mandato da D.Filippo d’Austria, che erano cose di gran importanza, ma che non ne facesse parola con nessuno, essendo cose di confidenza.
134.Il P.Castiglia subito scrisse in Germania et in Polonia che facessero la Carità celebrar quella quantità di messe, che in quelle parti non hanno obligo, come fecero, et a me consignò il piego, che lo portassi al Cardinal Trivultio, che lo dassi a lui medesimo, e secretamente li dicesse esser venuto da Tunisi portato da un nostro Padre, ch’era stato schiavo del Prencipe D.Filippo d’Austria, che lui era giunto in Genova, voleva venir a portarlo di persona, mà essendoli venuta una Infermità non haveva potuto adempire quel che haveva promesso a quel Prencipe.
Molto gradì il Cardinale il piego et apertolo vi trovò molte lettere che andavano in Spagna a Filippo Quarto et ad altri grandi della Corte p il Cardinale mi disse, che facesi parola a nessuno d’haverli portato quel piego, trattandosi di cose di confidenza. Li dispiacque molto non esser venuto in Roma il P.Gio:Battista, che molto commendava la sua persona il Prencipe D.Filippo, e se l’occorreva qualche cosa l’havesse scritto, che l’haveria aiutato in qualsivoglia occasione, e quanto alle risposte non mancaria occasione di farle capitare secretamente nelle proprie mani di D.Filippo.
135.Questo P.Gio: Battista dell’anno 1656 morì in Genova di peste, che se fusse campato il Cardinal Trivultio lo voleva in Roma p dar esecutione a quanto haveva havuto comesso a fare de negotii che doveva trattare come più volte il med.mo Cardinale più volte mi disse che chiedesse il superiore, che lo facesse venire et attender la parola data a quel Prencipe, che pciò l’haveva fatto dar la libertà, ma sentita la morte non se ne parlò pi+u, et il Cardinale Trivultio partì p Milano dove passò all’altra vita.
Per non scrivere sempre cose melinconiche e disgratie mi piglio licenza di scrivere una burla fatta dal P.Pier Francesco della Mre di Dio al Chierico Ignatio di Caglieri suo Compagno, che vennero a Roma l’Anno Santo 1650. Mentre che partirono da Caglieri il fratel Ignatio hebbe molte commissioni da molte Dame di quella Città, che li portasse molte galanterie da Roma e da Napoli, e li diedero da trecento scudi acciò ne le provedesse. Questo giovane era molto semplice e poco prattico delle cose d’Italia non essendo mai uscito dall’Isola di Sardegna, dove non vedeva le galanterie che sono nelle Città grandi come Napoli e Roma.
136.Giunto che fù in Napoli con il P.Pier Francesco cominciò a caminare p i Mercanti e quanto vedeva di bello tutto voleva comprare, et il P.Pier Francesco l’avertiva che non allargasse tanto la mano acciò quando poi saria in Roma non havesse che spendere per sodisfare a quelle Sig.re che l’havevano dato il danaro.
Haveva fatto compra di molte cose, e di già haveva speso il tutto. Giunto in Roma fù dato p compagno a me p andar alle quattro Chiese pche il P.Pier Francesco stava alquanto indisposto, e passando un giorno dalli Coronari vidde una mostra di Corone d’Ambra, cominciò a dimandare del prezzo p comprarne una quantità, acciò satisfacesse quelle Sig.re, che l’havevano dato il danaro, e sentendo i prezzi molto cari fece il conto, che non haveva danaro p comprarne una sola.
137.Tornato a Casa a S.Pantaleo se n’andò dal P.Pier Francesco e li dimandò in prestito cinquanta scudi, che poi a Caglieri l’haveria restituiti pche voleva comprare le corone a quelle Sig.re che l’havevano dato il danaro p non restar mancare della parola che li facesse questa carità p amor di Dio.
Quando il P.Pier Francesco sentì la petitione, lo comicniò a mortificare dicendoli, che voleva far le cose a capriccio, non prendendo la sua consulta, e che in Napoli l’haveva avertito, che non spendesse tanto, et hora si trovava senza danaro, e quelle Sig.re l’haveriano perso il credito e lui non era p darli un quadrino, li parlava in lingua spagnola e sarda, che non sapevamo quel che si contrastassero, ma il P.Castiglia che sentiva il tutto si rideva con che enfasi et autorità spagnola mortifica il fratel Ignatio, il quale era tanto confuso che non solamente non rispondeva, ma non osava alzar gli occhi.
138.Restò tanto mortificato il fratel Ignatio, che diede in tal melinconia, che si pose a letto, non voleva mangiare ne bere, ne parlava con nessuno, ancorche vi andasse il P.Castiglia con sue dolci parole, non fù mai possibile che parlasse.
Fù chiamato il medico et osservatolo dise che era debole, et haveva come un letargo, che li dassero un boccone di giacinto p rallegrarli il cuore, e si procurasse darli a mangiare cose disettanti acciò non si destituissero le forze.
Venuto il fratel Carlo della Natività Perugino Infermiero fù consegnato a lui, che n’havesse cura e facesse di modo che lo facesse mangiare e li dasse buone parole, pche quella non era altro che melinconia causata dalla mancanza di danaro, e dalla mortificatione fatta dal P.Pier Francesco.
Cominciò il fratel Carlo Infermiero a dirli che stasse pur allegram.te ne si pigliasse fastidio acciò i Padri di Casa non si scandalizzassero che non sapeva supportar due parole, che quanto a danaro saria stato peso suo, che n’haveria havuto quanto lo bisognava havendo havuto una rimessa da Caglieri il P.Pier Francesco con altre lettere di cambio, qto p.ma l’haveria presi et il P.Castiglia haveria comandato al P.Pier Francesco che li dasse quanti danari haveva di bisogno.
139.A queste parole cominciò il fratel Ignatio ad aprir l’occhi, e sospirare, e pian piano cominciò a discorrer seco conferendo il suo travaglio, a genio che l’indusse a pigliar qualche cosa che poi saria dato rimedio al tutto, con questo discorso si quietò e li rispose, che facesse come voleva lui, che haveria ubidito a quanto li diceva et accordatisi, li disse il frel Carlo stasse pur allegramente che adesso tornava.
Uscito fuora il fratel Carlo trovò il P.Castiglia, il P.Pier Francesco e me che stavamo da fuora et havevamo sentito il tutto, diedimo nelle risa, et il frel disse che non ci facessimo sentire sinche havesse mangiato, altrimente di nuovo li saria venuta l’apprensione e passava pericolo di dar in qualche stravaganza e pazzia, che vedessimo di trovar rimedio acciò mangiato si quietasse affatto.
Tornato il fratel Carlo lo fece mangiare, e poi lo lasciò riposare con ogni quiete.
Fratanto il fratel Carlo disse al P.Pier Francesco che li dasse due testoni, e lasciasse far a lui, che l’haveria fatta passar la malinconia affatto, e l’haveria allegrato.
140.Li diede li due testoni se n’andò in Piazza Navona e comprò cento scudacci francesi, che parevano d’oro, li portò al P.Pier Francesco, le pose dentro una borsa e li disse che quando saria svegliato il frel Ignatio l’andasse a vedere e li mostrasse la borsa, e poi lasciasse fare il resto a lui, dicendoli solo che haveva la rimessa da Caglieri, che stasse allegramente, che non l’haveria fatto mancar i danari.
Svegliato il frel Ignatio entrò il P.Pier Francesco, lo cominciò a dimandare come si sentiva, s’haveva mangiato e rispose che stava meglio, haveva mangiato e dormito, ma con una modestia grande, che non osava guardarlo in faccia, e fratanto haveva la borsa nelle mani. Il fratel Carlo li prese la borsa e mostrati li scudacci sopra il letto, disse al P.Pier Francesco, li prestasse al frel Ignatio, che poi l’haveria resi a Caglieri, acciò potesse comprar le Corone, e che l’haveria dato il danaro già speso ed altro p non restar affrontato e pder il credito.
Il P.Pier Francesco li rispose che quelli erano troppo, che ne li bastavano la quarta parte pche erano da seicento scudi.
141.Posti dentro la borsa li scudacci li diede al frel Ignatio dicendoli, che tenesse tutti, che poi quando saria fuor di letto comprasse quel che haveva di bisogno e restituisse al P.Pier Francesco quel che li restava, del che il P.Pier Francesco se ne contentò.
Presa la borsa tutto allegro il fratel Ignatio se la pose sotto il capezzale, cominciò a discorrere con il P.Pier Francesco, li domandava che nuove haveva havute da Caglieri, li diede ad intendere molte cose, credè quanto li disse e con questa invenzione restò contenti.mo, ma p la debolezza non poteva levarsi dal letto.
Partito il P.Pier Francesco il fratel Carlo li disse, che dubitava che non entrasse qualche d’uno e li levasse la borsa da sotto il capezzale, che saria bene contar il danaro, e poi custodirlo meglio, acciò non li fusse fatta qualche burla et il med.mo P.Pier Francesco non glielo levasse.
142.Cominciarono a contar il danaro, e trovarono che erano sopra seicento scudi, si bene il frel Ignatio diceva non haver mai visto simil sorte di moneta, li rispose che era moneta francesa, et in Roma contava come le doble di Spagna e si chiamavano Pistole delle stampe del Roi.
Si lo creiè in tal maniera che stava tutto allegro, che pareva esser ressuscitato da morte a vita. Ma p farlo creder meglio li fece legar la borsa alla punta della camiscia acciò nessuno potesse sapere dove l’havesse posti e lui con una grand.ma semplicità si lasciò guidare, credendo a quanto li diceva il suo Infermiero. Siche restò tutto contento e satisfatto, e quando il fratel Carlo ci raccontò qnto era passato, che non voleva ridere, e fù appuntato, che la matina l’andassero a visitare, che con l’occasione, che l’accomodava il letto haveriamo veduto, che era vero e non burla come pensavamo.
143.La matina andammo a trovar il fratel Ignatio, e stava burlando con il fratel Carlo Infermiero, che voleva che si levasse acciò li rifacesse il letto, il che ricusava, pensando, che volesse qualche d’una delle monete, che più volte l’haveva fatta instanza p comprar qualche cosa p l’infermeria, e l’haveva negato. Entrato il P.Pier Francesco li disse che facesse l’ubidienza dell’Infermiero e si levantasse acciò li rifacesse il letto, e non esser testardo al suo solito, siche con questo si levò dal letto, a sedere e si vidde l’invoglio che haveva legato alla Camiscia, et il P.Pier Francesco li dimandò che cosa haveva legata alla punta della Camiscia, e lui li rispose in lingua sarda, che era la borsa con il danaro acciò nessuno glielo pigliasse, e lo fece restare con questa buona fede e semplicità.
144.Riacquistate le forze, una matina si levò dal letto, se ne venne in Sacrestia, e mi pregò che andassimo assiemi a S.Pietro e nel ritorno volle passar dalli Coronari, et entrati da un mercante vidde molte corone d’ambra, cominciò a far il patto del che dubitando Io che non cavasse la borsa con li scudacci, li disse che quella non era robba buona, che quello era un Ricattiero, e voleva guadagnar il doppio di quel che valevano, che lo volevo menare da un mercante nostro pigionante, che lui li faceva venire da Polonia e distribuiva all’altri; haveria havuto meglio Robba e più a buon prezzo, e cossì lo distogliei dalla compra finche fummo a Casa. Raccontai il tutto al P.Pier Francesco, il quale con belle parole li levò la borsa e li fece vedere ch’era stata una burla, che quelle non erano altrimenti monete, ma scudacci, che i francesi se ne servivano p segni nel gioco. Ma l’haveria dato quanto li bisognava p comprar le corone, e cossì il povero frel Ignatio restò cotto, e li cominciò di nuovo a venir la malinconia. Siche il P.Pier Francesco lo condusse seco, e li fece comprar quanto haveva di bisogno, del che restò tutto allegro e contento; partirono poi p Caglieri, e questi furono quelli che furono assaliti da Turchi, fuggirono d’esser schiavi, restando la filuca in mano de Turchi Corsari , e portarono il tutto a Tunisi a D.Filippo d’Austria, come di sopra s’è detto.
145.Habiamo visto quel che permettesse Dio per magior gloria sua p. glorificare li suoi servi in tutte le cose ditte sin hora. S’è visto nel caso della Cattività del P.Gio:Battista di S.Andrea, e si puol dire ancora che miracolosamente fusse liberato p l’intercessione nel nostro Venerabil P. Fundatore, come anco il P.Provinciale de Pri Carmelitani di Linguadoca et il Compagno come distesamente sè visto, poiche permisse Dio che fusse presa la filuca dove andava il P.Pier Francesco e lui si salvò con una ampollina di sangue che haveva adosso del Venerabil P. che mai volle lasciare, che li porto liberamente a Caglieri con il suo Compagno fratel Ignatio, e nessuno della barca restasse cattivo da Turchi, ma solo si perdè la filuca con le Robbe fra le quali eravi il quadro del venerabil P. con il Piattino e le vesti, che furono cagione della liberatione delli tre Religiosi, et anco che li schiavi christiani havessero un Imagine dove potessero lodar la Beati.ma Vergine, e dirli quotidianamente il S.mo Rosario, del quale il Benedetto Padre era tanto devoto, che p.ma di morire disse al P.Vincenzo della Concettione, che dicesse a tutti i nostri Padri, che fussero devoti del Santi.mo Rosario, che lo dicessero sempre.
146.A dì 30 e 31 di luglio 1648 il P.Fundatore stava alquanto debole pche faceva astinenza p esserli venuta un inappetenza, che non li gustava il cibo, ma non per questo lasciò mai di far le sue solite cose spirituali come in dir l’officio, far le sue orationi mentali, dir la messa et il Rosario quotidiano, che mai lasciava p qualsivoglia occupatione che havesse. Quando diceva messa pche l’era debilitata la vista, s’haveva fatta far una lanterna di latta, tutta coverta, solo quella parte che guardava il messale era apperta p far lume p leggere acciò il riflesso del lume non l’impedisse il vedere. Onde a sua imitatione Mons. D.Francesco Fiorentelli Prelato dell’una e l’altra Signatura che p lo studio l’era debilitata la vista, quando diceva la messa veniva a dirla al nostro oratorio di S.Pantaleo p la divotione che haveva al nostro Venerabil Padre e l’assegnava la detta lanterna insegnandoli il P. come l’haveva d’adoprare, il che li riusciva felicemente che altrimente non li bastava l’animo di poter celebrare la Santa Messa.
147.Il pmo d’agosto 1648 la notte il V.P. non potè dormire come era il suo solito, si levò un pò tardi, disse il suo officio, fece la sua oratione mentale e poi volle dir la Messa, che l’agiutò il P.Vincenzo della Concettione, e finita la messa s’adagiò sul letto vestito per vedere di riposare, ne stiede sino all’ora di pranzo e pche i Padri la magior parte erano andati alla divozione di S.Pietro in Vincola non sapevano che si sentisse male, e venuti non lo vedevano al suo solito, andavano per pigliar la bened.ne, et il frel Agabito suo Compagno li diceva che non li dassero fastidio pche si voleva riposare, e sentendo il P: questo discorso, chiamò il frel Agabito dicendoli che facesse entrare i Padri che lo cercavano pche haveva gusto di vederli, e quando li vedeva li diceva che pregassero Dio p lui, che si sentiva male, che p essere la giornata delle catene di S.Pietro Prencipe delli Apostoli, li dispiaceva non havendo forza di poter far quelli atti che voleva meditar i suoi travagli, che p ciò li pregassero a raccomandarlo al Santo acciò l’assista et aiuta p sapersi conformare alla Volontà Divina.
148.Questi discorsi davano inditii chiari della vicina morte, ma pche tutti consideravamo che era assai vecchio, e p haver perso il sonno era debole, diceva quelle cose non pensate, e nessuno pensava che fusse Infermità mortale.
Alli due d’agosto 1648 il P.Fundatore non potè dormire, la matina si volle levare, e sentir la messa delli scolari, che quella matina si disse all’oratorio dove si volle comunicare non bastandoli l’animo di dir la messa p la stanchezza.
Questa attione la fece con tanta devotione e spirito, che tutti li scolari ne restarono stupiti, i quali erano sopra settecento. Finita la messa disse che dicessero un Ave Maria p lui acciò si sappia conformare con la Divina Voluntà, ma che la dicessero con Divotione.
149.Il che fecero li scolari con grand.ma devotione pche l’amavano tanto che li pareva Padre, poiche non solo insegnava lui medesimo ad alcuni, l’altri li visitava due volte il giorno, voleva sapere da Maestri come si portavano, s’erano devoti a l’orationi che facevano in Casa tanto la Matina come la sera, se facevano l’ubidienza de loro maggiori, a quali dava spesso premii di Santini, conforme le persone, e se ce ne fusse qualche uno che non haveva buona relatione l’ammoniva paternam.te con tali parole, che li faceva compungere e piangere. Voleva sapere chi non haveva carta, penna, calamaro, inchiostro e libri, al che tutto provedeva con ogni loro satisfatione, e qsto successe a me più volte, che facevo la scuola che si chiamava la settima di dentro, che quando lo vedevano li scolari tutti si rallegravano. Quando poi si partiva dalla scuola, si mettevano tutti in genocchio, e li domandavano la bened.ne e lui li benediceva dicendoli, che pregassero p lui, come faceva lui p loro, che fussero buoni et ubidienti, e questo mi successe due giorni p.ma che s’ammalasse che lo fece con tanto amore che pareva che si volesse licenziare dalle sue amate pecorelle, che p esser dell’età di 92 Anni faceva ancora la visita alle scuole come se fusse stato Giovane, e pciò li scolari l’amavano tanto come s’è detto.
150.Finita la messa si ritirò in Camera a render le gratie d’haver ricevuto il Smo Sacramento, et ordinò al frel Agabito suo compagno, che uscisse fuora, e serrasse la porta, e non li dasse fastidio p un hora, e venendo qualche d’uno non lo lasciasse entrare.
Passata l’ora chiamò il fratel Agabito, che chiamasse il P.Castiglia che li voleva parlare, e poi serrasse la porta, non facesse entrar nessuno. Venuto il P.Castiglia stiedero un pezzo serrati.
Li fù portato da pranzo, mangiò comodamente, andassimo al solito alla recreatione con lui, cioè il P.Vincenzo della Concettione, il P.Angelo di S.Domenico, et Io, cominciò a discorrere delle grandezze della S.ma Trinità, del Paradiso, della gloria della Beatiss.ma Vergine, delli cori dell’Angeli, e dei Beati, che godono la Gloria Eterna con tanta mansuetudine et allegrezza come se allora proprio vedesse il Paradiso.

[151-200]

151.Lui vedeva che noi stavamo attenti ne se l’interrompeva il discorso, stanco disse che si voleva gettar sopra il letto a riposare.
Si pose al letto, li venne un poco di tremore come se fusse freddo, si fece coprire dicendo al fratel Agabito che non li dasse fastidio, perche non si sentiva bene, il quale lo lasciò stare sino alli 20 ore, poi entrò dentro p veder se dormiva o vero s’havesse bisogno di qualche cosa, li rispose che pregasse Dio p lui acciò si sappia conformare con la sua Voluntà, e l’aiutasse a far quell’atti di virtù necessarii, pche si sentiva male, che non dicesse niente a nessuno, che haveria visto che piega prendeva il male, che li facesse panni caldi caldi ai piedi che si sentiva freddo,e portatoli il fuoco si riscaldò i piedi e parve che migliorasse un poco. Fece chiamar il P: Vincenzo acciò l’aiutasse a dir il vespro, e vedendolo il P.Vincenzo che non haveva quelle forze come p.ma, lo pregò, che si spogliasse, che haveria fatto chiamar il medico acciò l’osservasse a darli qualche rimedio p ristorarlo p.ma che il male prendesse più possessso.
152.Li rispose che il medico è Iddio dal quale dipende il tutto, et in mano sua sta la morte e la vita, nelle cui mani dobbiamo mettere tutte le nostre speranze. Lasciamo star sino a dimani, e vedremo come passerò questa notte e poi faremo quanto bisogna.
La sera li fù portato da cena, che poco volle mangiare dicendo che se l’era alterato il fegato, nel quale sentiva un grand.mo calore; fece pigliar una pietra d’alabastro mischio, la fece mettere dentro l’acqua fresca e se la fece mettere sopra al fegato p rinfrescare, con questo si quietò dicendo che andassimo a riposare, che si sentiva meglio.
La matina delli 3 d’Agosto subito andassimo a dimandar il frello Agabito come stava il P. Rispose che tutta la notte haveva parlato non sapeva con chi, e sempre diceva cose della Visione del Paradiso, e di quando in quando s’attaccava alla corda e si metteva a sedere sul letto, e che lui giudicava che si dovesse chiamar il Medico acciò si medicasse p non passar avanti il male e trovasse rimedio di farlo dormire.
153.Entrò il P.Vincenzo della Concettione e domandò il P. come si sentiva, e se la notte haveva riposato, li rispose che non haveva dormito, e si sentiva fiaccare la testa e debole di forze, e stava aspettando quel che voleva Dio da lui.
Subito il P.Vincenzo mi chiamò et andassimo assiemi dal Sig.Pietro Prignani medico ordinario della casa acciò lo venisse a visitare, mà che non paresse, che fusse chiamato che con l’occasione che veniva a visitar li nostri Infermi entrasse dal P. e lo visitasse.
Venne il Sig.Pietro l’osservò e li disse che non haveva febre, che stava debole p il sonno che haveva perso, che vedesse di riposare, che l’haveria fatto far un Condito di papavero, o vero un boccone di giacinto, e vedesse di mangiar qualche cosa di sostanza, che la sera si sariano visti di nuovo.
154.Lui li rispose che haveria fatto quanto l’ordinava, mà non credeva che li giovasse cosa nessuna pche si sentiva il male dentro le viscere, che quando in quando li dava qualche pontura, con alterarsi il fegato, che quello li dava più fastidio.
Dal che il Sig.Pietro cominciò a considerare, che si doveva combattere con la debolezza e con il sonno, ordinò che s’ammazzasse un capone grasso, se ne facesse brodo, et un pesto p ristorarlo e che quella cura non la voleva far solo mà che fusse chiamato il Sr.Gio: Maria Castellani, il quali l’haveva medicato tanti Anni, che sapeva la sua complessione, et assiemi l’haveriano curato, che vedessimo d’avisarlo prima che vada alla visita dello ospedale di S.Spirito acciò si sbriga presto e venisse alle 20 che lui saria venuto a tempo acciò si trovassero assiemi, e prendesse quel espediente che li pareva più necessario, e con questo si licenziò.
Fù presto il condito ordinato dal medico, e da quando in quando ne prendeva un poco, poi fù cibato, e pareva che stasse assai più sollevato, volle recitar l’ufficio con tutto che li fù detto, che la testa era debole, non poteva applicare, con tutto ciò lo volle dire.
155.Fù avisato il Sig.Gio:Maria Castellani, e promise di venir subito che finiva la visita di S.Spirito, come fece all’ora appuntata.
Venuti li due medici cominciarono a discorrere assiemi con l’assistenza del P.Castiglia e P.Vincenzo e mia.
Entrati li due medici dal P. cominciò il Sr. Gio: Maria Castellani come medico antico di Casa ad interrogar il P. del male, e fatta la relatione, l’osservò dicendoli, che non era cosa di gran conseguenza, che era necessario ristorar le forze pche era assai debole, che sperava fra due giorni saria fuor di letto, che cercasse di riposare e pigliasse spesso il condito.
Il P. si mise a ridere dicendoli che sarà quel che vuol Iddio.
Si licenziarono et usciti fuora dissero, che non era niente altro, che debolezza p la vigilia del sonno, che si vedesse darli buoni brodi e pesti, che poi la matina a buon hora sariano tornati, e se vi fusse di bisogno l’haveriano data un po di medicina.
Partiti i medici il P.Castiglia li disse, che stasse pur di buona voglia, che non era niente et il Sr.Gio:Maria l’haveva detto.
Li rispose il P. quando Iddio vuole, i Medici non conoscono il male. Il male è dentro et Io sto male, fate pur oratione, che mi sappi conformare con la Divina Voluntà , che il mio Medico è Iddio benedetto e la Beati.ma Vergine nostra Madre.
156.La sera mangiò comodamente e discorse con ogni franchezza al suo solito di cose di spirito, e la notte si riposò da tre hore, poi non potè più dormire, si diede all’oratione, e sino alla matina lo sentì sempre discorrere il suo Compagno con più persone che non poteva discernere le voci, ma solo sentiva il P. far atti d’humiltà, che non era degno di star alla loro presenza.
Alli quattro fù visitato di nuovo da Medici, e ve ne se n’agiunge un altro lucchese chiamato Lodovico Berlenzani (hora lettore nella Sapienza di Roma) et osservatolo dissero, che s’era assai avanzato, che stava meglio, che stasse allegramente che lo volevano purgare p ogni buon rispetto.
Il P. li rispose che sperava che la purga la farà Dio de suoi peccati.
Al che rispose Gio:Maria che stasse alla sua obedienza come haveva fatto tant’Anni, che era cossì obligato.
157.Gio: Maria li cominciò a replicare che era necessario rimettersi a quel che dicono i medici, che non è tempo di mortificarsi, come haveva fatto l’addietro passato che non voleva rimettere a quel che li diceva lui, che non voleva mangiar la carne, che p accordo fù necessario che comandasse, che la mangiasse tre volte la settimana, mà quei giorni digiunasse, e due giorni caso et ova, trovando occasione che non voleva guastar la Regola il che non era obligato, essendo di età di novanta due anni, e che ancora voleva star nelle strettezze della sua Regola, che lasciasse governare altrimenti l’haveria comandato come haveva fatto tante volte.
158.Li rispose che haveria fatto quanto voleva lui, mà che non occorrevano tanti medicamenti, che loro non conoscevano il suo male et Iddio era sopra i medici, e non era in età di prender medicine pche si sentiva assai debole, e la medicina l’haverebbe più debilitato, con tutto ciò s’haveria conformato al suo volere. Ma giudicava bensì che l’ordinasse l’unguento sandalino acciò se li rinfrescasse il fegato, ch’era quello che più li dava fastidio, come altre volte l’haveva ordinato e n’haveva sentito grand.mo giovamento.
Fù chiamato il fratel Paolo di S.Gio: Battista Infermiero e nostro spetiale, huomo esperto acciò dicesse il suo parere, al quale il P. haveva gran credito; il quale disse che era bene a farli il solito unguento sandalino, e da quando in quando s’ungesse, che l’haveria rinfrescato ne si trattasse p hora darli altra medicina, solo di ristorarlo con buoni brodi e pesti p rinvigorirli le forze p vedere se venisse la cessione pche dubitava esservi febre nascosta mentre che non lo lasciava riposare.
Concorsero tutti tre i Medici al parere di fratel Paolo, e cossì fù concluso, e posto in esecutione.
159.Fù fatto l’unguento sandalino et untato sopra il fegato, subito li passò il rumore che haveva nel cuore, e parve che stasse assai meglio, fù cibato e riposò alquanto, siche quando vennero i medici lo trovarono assai meglio, onde il Sig.Gio: Maria cominciò a pensare che saria bene a cavarli un poco di sangue la matina seguente, il che non fù approvato dall’altri due medici, ne dal fratel Paolo infermiere, dicendoli, che era debole e facilmente con levarli sangue più si saria alterato il fegato, e di nuovo li saria venuta la palpitatione del cuore, non l’haveria fatto dormire, che questo era il p.mo mobile del corpo il riposo.
160.Il giorno vennero a visitar il P. Mons. Firentillo, Mons. de Totis, Mons. Oreggio e Mons. Biscia, e stiedero con il P. lungo tempo discorrendo sempre di cose spirituali. Questi quattro Prelati lo tenevano in gran stima di santità, havendoli tutti quattro insegnato lui medesimo leggere, scrivere et anche principii della Gramatica, come haveva fatto anco a Mons. Consiloro, che riuscì uno delli Prelati della Corte, il quale fù Secretario della Sacra Consulta, ufficio di gran maneggio e credito nel quale morì. Questi Prelati li dissero che speravano che non saria niente l’infermità, e quanto prima l’haveriano veduto fuor di letto.
Lui li rispose: Sig.ri li ringratio di questa buona voluntà, son vecchio e starò aspettando quel che Dio mi manda; vi dico bensì, che il tempo è breve e passa in un momento e noi che siamo ecclesiastici dobiamo dar quell’esempio a secolari che si deve, massime come loro che administrano giustitia è necessario star con quella gravità che si ricerca acciò dalle nostre operationi si riforma la Cristianità, alla quale sia appogiata da Christo Sig. Nostro dal quale dobbiamo prender l’esempio in tutte le nostre operationi, e con tutto che vediamo che le cose nostre vadino adverse, con tutto ciò se ne deva cavar frutto e profitto, e far atti d’humiltà, poiche Dio ci castiga come è Padre, ne questo lo fà sopra le nostre forze.
161.Stavano attenti i Prelati, e massime uno ch’era alquanto licenzioso ne suoi costumi, che questo amava sopra l’altri p haverlo indrizzato al bene da quand’era d’età di sei Anni e proseguitolo sinche andasse alli studii maggiori. Questo discorso si breve diede materia d’allargar il discorso, che quei Prelati diedero materia d’allungar il discorso con domandarli qualche avertimento acciò restassero più addottrinati.
Quest’era Mons.Firentillo, come che era il più vecchio, et haveva molti maneggi p esser Auditor Generale del Cardinal Antonio Barbarino Camerlengo Generale di S.Chiesa et era stato Avocato di Re di Francia, et haveva molti scrupoli e stava assai mortificato p i disgusti che all’hora passavano tra Papa Innocenzio Decimo con il Cardinal Antonio, e tutti i Barbarini, che era fuggito in Francia come a tutti è noto, e che lui si trovava in un mare di guai non sapendo a chi dar satisfattione nel suo ufficio, che dal Cardinale li venivano comandati negotii tali, che erano contro la voluntà del Pontefice, che alle volte li venivano rivocati con sua grand.ma mortificatione, al che non poteva rimediare.
162.Al che rispose il P. che facesse pur lui quel che li dettava la coscienza et administrasse la giustitia con ogni sincerità e patienza, pche Iddio da tutto cava bene, e quando le cose paiono disperate all’occhii nostri all’hora trova il rimedio senza che se ne accorgiamo, et in un momento sa voltar le carte con nostra grand.ma confusione. Queste cose tra il Papa et Barbarini non possono durare in questa maniera; facci pur lei il suo dovere, confidi in Dio et alla protettione della Beati.ma Vergine che ne vedrà gli effetti quanto p.ma, e noi ne faremo orationi particolari, sapendo quanto l’ho amato p le sue buone qualità da quando era giovanetto.
163.Vennero i medici e cossì terminò il discorso, si licenziarono i Prelati con ogni loro satisfatione, non pensando che l’infermità del P. fusse mortale p haver discorso con tanto spirito e franchezza, riserbandosi di ritornar un altra volta.
Entrati i medici trovarono il P. assai sollevato, li dissero che non s’affatticasse tanto a discorrere, che l’offendeva la testa. Li rispose che l’havevano visitato quei Prelati, i quali erano suoi Amorevoli, conoscendoli da quando eran figlioli, e l’haveva insegnato lui med.mo, et era necessario darli qualche satisfatione.
Osservatolo i medici dissero che stava comodamente bene, mà che volevano aspettar un altro poco p dar altri rimedii, acciò si vedesse liberarlo affatto delli dolori, che da quando in quando l’andavano pizzicando, e lui li rispondeva il male è dentro, e loro non lo conoscono pche cossì permette Dio.
164.Quanto al discorso fatto dal Padre Giuseppe Fundatore con Mons. Firentillo, fù tutto adempito, come predisse il Padre, poiche disse che non era cosa durabile i disgusti tra Papa Innocenzio con in Sig.ri Barbarini, perche passati pochi mesi doppo la morte del benedetto Padre si cominciò a trattare il matrimonio tra il Principe di Palestrina, et una figliola di dodici Anni del Prencipe Giustiniani e della Sra.D. Lucretia Panfilio, figlia di Donna Olimpia, e del Prencipe Panfilio, fratello del Papa, et il p.mo Ministro p parte de Barbarini fù Mons.Firentillo, che talmente fù maneggiato il negotio, che riuscì felicemente la pace, e si fece il matrimonio con scambievole contento d’una parte e dell’altra.
Procurò fra l’altre cose Mons.Firentilli un Breve dal Papa, che potesse ritornar in Roma il Cardinal Antonio con assolverlo di quanto si pretendeva esser incorso, che fù tutto adempito. Siche gionto il Breve in mano del Cardinal Antonio in Parigi, ne restò tanto stupito, mentre lo leggeva che ne fù fatto un ritratto al naturale con il Breve in mano in atto di leggerlo, e fù mandato a Roma, e fattene far le copie da Mons.Firentillo ne portò uno a Papa Innocenzio, l’altro a D.Olimpia, che fù posto alla sua Galleria, un altro se ne tenne per se, e l’originale lo fece attaccar al Palazzo del Cardinal Antonio p memoria del fatto, et Io l’ho visti tutti.
165.Fù osservato che subito concluso il matrimonio comparve in Piazza Navona un grosso sciamo d’api che sempre girava nel Palazzo di D.Olimpia, che li belli ingegni cominciarono ad interpretare esser cosa misteriosa.
Non pareva ad alcuni della Corte, che quel matrimonio si potesse cossì presto sposare p esser la pulcella di si poca età, che ancora non haveva finiti i dodici anni, mà il Papa volle, che si sposasse, e lui medesimo volle congiungerli in matrimonio in presenza di tutti i Cardinali nella Capella Paolina di Monte Cavallo, dove diede ordine che s’apparasse de migliori adobbamenti del Palazzo Apostolico, e se ne celebrasse festa publica con ogni splendidezza.
166.Furono cavati dalla Sacrestia Secreta del Papa i superbi apparati donati dal Re di Portogallo alla Sede Apostolica, cioè il Paliotto p l’altare, la pianeta, tonicelle e pioviale di prezzo inestimabile, che il fundo è di raso Roscio, e tutto riccamato di perle orientali che mai s’adopera, ma solo si mostra dal Sacrista del Papa, come cosa singolare.
Questo parato fù adoprato nella funtione, il quale non s’adopra mai.
Comparve in Cappella Paolina la Novella Sposa accompagnata dalla Sig.ra D Olimpia Panfilia, sua Nonna, e dalla Principessa Giustiniani sua Madre, vestiva di lama d’argento, cortegiata da molti Prencipi, Cavalieri e Prelati della Corte, che p far cosa grata a D.Olimpia ognuno vi andava voluntieri p haverla allevata lei medesima sin dalle fascie, e l’haveva posto il suo proprio nome, che p diferenziar di D.Olimpia Panfilia, la chiamavano D.Olimpia Giustiniani, alla quale p esser tanto piccola d’età non sapeva che cosa li fusse successo, sicche quando fù domandata dal Papa se li piaceva pigliar p sposo il Principe di Palestrina sogiunse la Nonna che dicessi di si, e cossì fù fatto il sponsalitio dell’Innocente Pulcella senza saper quel che s’havesse da fare, che haveva paura del Sposo.
167.Per il che D.Olimpia mandò a chiamare il P. Castiglia acciò con buone parole li dasse ad intendere che era obbligata a star sotto l’ubbidienza del suo marito, altrimente dava disgusto al Papa, a D. Olimpia sua Nonna , et al Padre et alla Madre, alli quali non haveria voluto ubidire. In fine il P.Castiglia doppo tre giorni l’indusse che mangiasse con il marito, che a nessuno era bastato l’animo, che si contentasse, come fu eseguito.
La matina seguente il Papa tenne il Concistoro al Quirinale, e dichiarò Cardinale D. Carlo Barbarino Prefetto di Roma, e con questa promotione, suppresse questo titolo di Prefetto di Roma.
168.Venne poi il Cardinal Antonio in Roma ad esercitar il suo officio havendolo p.ma esercitato il Cardinal Carlo Barbarino suo Nipote in luogo suo con grand.ma satisfatione della Corte Romana, essendo questo Cardinale molto esemplare e devoto, che haveva seguitati i vestigii del Cardinal Francesco Barbarino suo zio, e della Sig.ra Dª Anna Colonna sua Madre, che sono stati specchio della Corte Romana-
Tutto questo fatto non solo mi raccontò più e più volte Mons.Francesco Firentillo, che lui teneva esser stata una Profetia del P.Fundatore, che le cose non potevano durare tra Papa Innocenzio et i Sig.ri Barbarini, mà in occasione della sepoltura e ricognitione che fù fatta del Corpo nel nostro Venerabil P vi si trovarono presenti tutti quattro Prelati p Testimonii come si puol vedere dall’Instrumento Rogato p Francesco Meula come Cancelliero e Notaio sustituto del Sr.D.Gioseppe Palamolla Secretario del Cardinal Vicario del Papa, che mentre si faceva questa funtione raccontò Mons.Firentillo, che haveva speranza grand.ma, che dovesse succeder bene i suoi negotii mentre ne l’haveva data speranza il P.Gioseppe, al quale haveva havuto sempre credito e devotione p haverlo conosciuto da figliolo.
Ho voluto metter questo caso p far vedere la stima, che faceva la Corte del nostro V.P.Fundatore.
169.Alli 5 d’Agosto stiede assai meglio conforme alli pareri de tre medici, ma lui sempre diceva, il male è dentro, e non lo conoscono pche cossì vol Iddio, et mi devo conformare con la sua Divina Voluntà, ma lo prego, che ne sappi cavar il frutto necessario per salute dell’Anima mia.
170.Alli 6 fù fatta una Accademia di Santi Giusto e Pastore de quali fù introdotta questa festa dal P.Fundatore per dar esempio alli scolari, che prendessero i buoni costumi dalla vita e martirio di questi Santi alli quali non solamente fece far una Cappella con un belli.mo quadro al Naturale fatto dal famoso Pittore chiamato il Pomo Arangio (sic), come si vede nella Chiesa di S.Pantaleo fatto fare a spese della Sig.ra D.Costanza Barbarina, Cognata di Papa Urbano ottavo, de quali era molto devota, e con l’esempio suo concorrevano molte Dame a questa devotione e vi facevano una belli.ma festa, e molte concorrevano con elemosine acciò si celebrasse con ogni solennità /La Sig.ra Dorotea Bonfiglioli vi fece fare un bell.mo rame con l’effigie de Santi, e quando morì fece un legato che fussero obligati i suoi heredi di pagare otto scudi l’anno p lo spatio di otto anni, che Io ho esatti dal Collegio dell’Orfanelli suoi heredi, che sta in piazza Capranica, et ogni Anno lo pagarono puntualmente, finche fù passato il tempo determinato dalla dª Testatrice/ , e non contento di questo introdusse anco che si facesse questa festa all’oratorio delli scolari con bell.mi apparati e musica, con farvi una accademia con un panegirico, poema, epigrammi, tutto recitato da scolari megliori delle nostre scuole con altre compositioni curiose, e si dedicava a qualche Prencipe o Cardinale p dar animo a scolari, che studiassero, come anco oggi si costuma nei nostri tempi, che si fà con ogni solennità
171.Faceva la p.ma scuola quell’Anno il P.Francesco della Nuntiata Perugino, e toccò a lui a far l’accademia de Santi, e la dedicò al Sr.Marchese Sacchetti, et al Abbe suo fratello, che all’hora erano d’età l’uno d’otto e l’altro di nove Anni quanto i Santi quando furono martirizzati. Questi due Giovanetti eran figlioli del Sr.Matteo Sacchetti e Nepoti del Cardinal Sacchetti Prefetto della Signatura del Papa, huomo veramente degno di tal carica, e partiale del P.Francesco della Nunziata p esser stretto Parente del Cardinal Falconieri, al quale haveva insegnato i suoi Nepoti.
Volle il Cardinal Sacchetti honorare l’accademia con assistervi con i due pargoletti suoi Nepoti, e molti Prelati et altri Cavalieri invitati dal med.mo p dar animo alli due figlioli acciò studiassero più voluntieri.
Mentre che si stava mettendo all’ordine, che si stava aspettando il Cardinale, il P. Fundatore disse al fratel Agabito suo Compagno che accomodasse un poco la stanza acciò volendolo veder il Cardinal Sacchetti, che era suo antico Amico, trovasse le cose accomodate et apparecchiasse da sedere, acciò poi non si confundesse p la prescia.
172.Apparecchiato come l’haveva dato l’ordine il P li disse, che li portasse la sottoveste, che se la voleva mettere acciò non lo vedesse in letto in quella maniera.
Parve al fratel Agabito, che si mutasse ancora la Camiscia, e l’esortò a farlo pche le pareva haverne di bisogno.
Il P. che mai sapeva negar cosa a nessuno, disse, che li portasse da mutare, mà che prendesse la sottoveste, e la tenesse tanto alta che non li potesse vedere nessuna parte del corpo. Il fratel Agabito non sentiva quel che voleva e faceva tutto al rovescio di quanto li diceva, siche il P. li cominciò a gridare, che alzasse più la sottoveste e lui più l’abbassava, e li rispondeva che non sentiva quel che volesse. A queste parole mi trovai ad entrar Io e ne domandai che cosa haveva di bisogno, il P. mi rispose alla bon’ora, il fratel Agabito non m’intende, li dico che tenga alta la sottosveste, che mi voglio mutare e non voglio che mi veda nessuna parte del corpo, e lui fà il contrario di quel che li dico, e cossì Io l’insegnai come haveva da fare e restarono ambidue satisfatti. Tanta era la modestia che haveva il Benedetto Padre, che tampoco voleva esser visto dal suo Compagno.
173.Venuto il Cardinal Sacchetti fù avisato il P. dal P.Francesco della Nuntiata che veniva il Cardinale, il P. lo pregò che facesse le sue scuse, che stava indisposto, che però non lo veniva a servire, che bastava il P. Castiglia e l’altri Padri, che l’assistessero, e volendolo vedere pigliasse qualche scusa acciò non lasciasse la compagnia.
Fù incontrato il Cardinale da tuti i Padri, e subito domandò del P. Generale, li rispose il P.Fra.co che stava alquanto indisposto, che però si scusava, che non veniva a servirlo come doveva, mà con affetto li bagiava le sacre vesti, e li faceva umil.ma riverenza.
Ci dispiace che stia male quel buon Vecchio, tenetene conto pche la sua bontà è tanta, che essendo stato tanto perseguitato, mai s’è visto p la Corte a dir le sue raggioni, del (che) tutti ne restiamo ammirati di tanta virtù et humiltà pigliando il tutto dalle mani di Dio; li dica che se bisogna qualsivoglia cosa, che mi comandi, e preghi Dio p noi.
174.Non sapeva il Cardinale che il P. sentiva il tutto, pche il discorso fù avanti la sua porta p esser la sua stanza attaccata all’Oratorio dove era a sedere il Cardinale p sentir l’accademia.
Entrò il P.Fran.co dal P li fece l’imbasciata da parte del Cardinale, li rispose che lo ringratiava, che haveria pregato il Sr. p Sua Em.za.
Fù fatta l’accademia e riuscì con ogni perfettione del che il Cardinale con l’altri Sig.ri e Prelati restaron assai satisfatti, offrendosi ai PP a quel che poteva giovarli, l’haveria fatto voluntieri.
175.Alli sette d’Agosto venne al P. un grand.mo calore nel fegato con la palpitatione del Cuore, che la notte non potè riposare, e venuti i medici la matina lo trovarono assai travagliato, l’osservarono, dissero che non haveva febre, mà che era necessario spuntarli la vena e cavarli un poco di sangue, mà non fu da tutti tre approvato, che p non contradire al parere del Sig.Gio:Maria dissero che s’aspettasse un altro giorno, che s’andasse adoprando l’unguento sandalino, che mentre l’haveva giovato s’ungesse più spesso, che se li dasse un boccone di Giacinto, e nel pesto vi si mettesse una presa di perle che saria di più sostanza, e più rinvigoria le forze.
Pareva veramente cosa difficile a cavarli sangue p esser l’età tanto avanti, che già haveva 92 Anni. Onde il P.Vincenzo della Concettione mi disse, che andassimo assiemi dal Sr.Gio:Giacomo già Medico di Gregorio XV, che stava in casa del Prencipe Giustiniani e dal Sr.Fonseca Medico di Papa Innocentio Xº, e prendessimo la loro consulta, se se li doveva cavar sangue.
Questi due Medici tutti furono d’un parere, che non se li cavasse sangue pche se non haveva la febre l’haveriano fatta venire, che non dassero nessuno medicamento, ma solo si cibasse di buoni brodi di caponi, e se li dasse a mangiar cose liquide, altrimente lo mettevano in pericolo della vita, che quell’età non comportava altri remedii.
176.Conferì questo il P.Vincenzo con il Sr.Pietro Prignani e Lodovico Berlenzani Medici, che dissuadessero il Sr.Gio:Maria a non cavarli sangue, che questo era il parere di Gio:Giacomo e del Fonseca Medici primarii, che in atto uno di loro governava il Papa, che facessero di modo a frastornarlo quando era del medesimo parere di cavarli sangue.
Risposero li due Medici, che loro erano del medesimo parere, mà il Sr.Gio:Maria come medico primario l’haveria apportato molte raggioni et haveva fatta l’esperienza con il med.mo Padre quando li venne la resipola, che ancora haveva l’alteratione di fegato e col cavarli il sangue l’haveva liberato, altro non si puol fare, che aspettar un altro giorno mentre era vicino il quarto della Luna.
177.Alli 8 vennero i medici la matina, lo trovarono assai sollevato, ma da quando in quando li venivano dolori nel fegato, mà cominciò di nuovo ad usar la pietra bagnata nell’acqua fresca, e ne sentiva grand.mo giovamento, dal che prese di nuovo il motivo il Sr.Gio:Maria, che era di parere di cavarle sangue, al che gli altri due medici risposero che si aspettase il quarto della Luna, che altrimente li poteva cagionar qualche alteratione, che poi non era cossì facile il rimediare. Li replicò il P.Vincenzo, che l’età non comportava cavarli sangue, mà che solo si vedesse trovar altro rimedio con unzioni esteriori.
Il Sr.Gio:Maria cominciò ad andar in collera malamente dicendoli che lui sapeva quel che si faceva, e mentre l’haveva da curar lui non occorreva tante consulte, che bastavano li due altri Medici suoi Compagni, e fù consluso, che s’aspettasse il quarto della Luna, e poi si risolvesse quel che si doveva fare, mà che si cibasse più spesso e se li dasse la matina due ova fresche, una minestra di tagliolini, il pesto, et acqua avinata.
178.Il P sempre replicava le med.me parole, il male è dentro, et Iddio pmette che li medici non lo conoscano, pche mi sento abbruggiar le viscere e pche vorrei patire qualche cosa p amor di Dio, mi vado cosolando a pensar la passione di Christo Sig. nostro, che patì tanto p i miei peccati. S’andava da quando in quando attaccando alla Corda, e cossì si sedeva sopra il letto, che non voleva aiuto p riposarsi, che diceva que quello era il suo refrigerio.
Era questa corda grossa attaccata ad un trave, che pendeva inanzi del letto e nell’estremità era fasciata con un straccio di tela come ancor si vede, se ne serviva la notte p non dormire, dove meditava quando Christo era legato alla Colonna, et il fratel Eleuterio della Madre di Dio suo Compagno di molto tempo, che dormiva in un Camerino vicino a lui, la notte l’osservava, lo vedeva attaccato a quella corda, faceva lunga oratione, et alle volte si dava nel pianto e faceva un soliloquio che lui ne restava stupito pche alle volte non dormiva tre ore poi s’attaccava alla Corda e faceva oratione, questo più e più volte m’ha raccontato il dº fratel Eleuterio, il quale è stato mio compagno sopra 20 Anni.
L’haverlo poi veduto più volte sollevato da terra in genocchioni fù molte volte, il quale p quanto poteva conoscere discorreva con la Madonna, rappresentandoli le necessità della Religione che non l’abbandonasse mentre ch’era sua Madre, e pareva che poi fusse tutto contento, massime nel tempo delle sue persecutioni, che non faceva altro la notte pregare p i suoi psecutori acciò Dio l’illumini p (non) offender S.D.M. nè faciano danno alla Religione, che della persona propria non si curava, mà bensì che li dasse fortezza, e costanza che li sappia sopportare p amor suo.
179.Alli 10 d’Agosto giorno di S.Lorenzo fece chiamar la matina a buon hora il P.Castiglia Superiore della Casa, e suo Confessore ordinario, dicendoli che si voleva riconciliare, e poi li portasse il Smo Sacramento, che p esser quella solennità si voleva comunicare subito finita l’oratione de Padri.
Si confessò, e finita l’oratione disse il P.Castiglia, che il Padre si voleva comunicare, che scendessero tutti in Chiesa ad accompagnar il Sant.mo Sacramento, e fatto sonar il segno comune ordinò, che non mancasse nessuno a quella funtione pche voleva che tutti fussero presenti.
180.Radunati i Padri andarono per ordine in Chiesa con le torcie alle mani, e fratanto il P.Fundatore si volle vestir la veste con la cotta e la stola, voleva scender dal letto p ricevere il Santi.mo ingenocchioni, del che ne fece più volte instanza, il che non li fù permesso, tanto dal P.Vincenzo della Concettione come dal Fratel Paulo di S.Gio.Batta Infermiero, che l’assistevano, portandoli molte ragioni che era fiacco, non poteva star in genocchio, che bastava star a sedere sul letto e poteva far li suoi atti soliti d’humiltà, altrimente con il moto se li potevano svegliar i dolori, giache erano quietati. Al che si rimisse al loro parere dicendoli, che facessero come li pareva.
Avviati i Padri e fratelli dalla Chiesa p ordine, il P.Castiglia come è superiore portò il Santi.mo Sacramento p comunicarlo, entrarono tutti i Padri e fratelli a due a due nella stanza dove stava l’Infermo Padre, et entrato il P. Castiglia con il Santi.mo Sacramento, il P.Fundatore l’adorò con tre inchini al meglio che potè, fece un belli.mo discorso dell’eccellenza del Santi.mo Sacramento, che durò un gran pezzo, e concluse, che tutti ci dovemo amar l’un l’altro come è fratelli, che lui ci amava teneramente come è Padre, e che amassimo il prossimo p amor di Dio. Diceva le parole con tal enfasi e gratia che pareva esser sano, e non havesse mal nessuno, che tutti PP e fratelli piangevano amaramente alle sue parole /li pregò che pregassero il Sr p lui acciò si sappia conformare con la sua Santi.ma Voluntà, come anche lui haveria fatto p tutti assenti e presenti/.
181.Disse il Confiteor e poi fece un atto di Contritione, et un altro di fede, chiese perdono a tutti e il P.Castiglia li disse che non si stancasse più e cossì lo comunicò. Restò tutto assorto, chinando humilmente la testa chiese la bened.ne, facendo cenno che si serrasse la porta acciò non li dasse fastidio nessuno se p.ma non chiamava lui med.mo, e stiede quasi un hora rendendo le gratie, e chi lo stava osservando da fuora pareva che parlasse con più persone, mà non si poteva sentir quel che dicesse.
Pensavano i medici, che fusse liberato affatto pche lo trovarono assai vigoroso, e non pareva che havesse più male e pciò dissero esser assicurato, che acquistate le forze fra due giorni si poteva levare, non havendo più cosa nessuna.
182.Lui li rispose, che saria quel che vol Iddio, che loro non havevano mai conosciuto il suo male, hora stò bene pche son contento,(volendo dire pche era congiunto con il suo amato Sig.re), e non haveva più bisogno di medicamenti terreni, mentre che haveva havuto li spirituali.
Tutto il giorno dell’undici d’Agosto stiede bene, la notte riposò comodamente, ma alli 12 li venne un poco di freddo, si fece coprire, vennero i medici e trovatolo alquanto alterato, dissero che non era niente, che speravano con cavarli un poco di sangue saria libero affatto; il che si serbò sino alla giornata delli 14, fratanto non faceva altro, che farsi bagnar la pietra nell’acqua fresca e se la metteva sopra il fegato dicendo che si sentiva abbrugiare, e con quella s’andava rinfrescando, e ne sentiva qualche giovamento.
183.Alli 15 fù visitato dal Sr Giulio Cesare Maestro di Camera del Sr.Cardinal Ginetti da parte del med.mo Cardinale, dove stiedero assiemi discorrendo secretamente e quando si partì li chiese la bened.ne, dicendoli che non si scordasse di pregare Iddio p lui, e p il Sr.Cardinale, che quel che l’haveva promesso d’aiutare la Religione l’haveria fatto con ogni affetto come haveva fatto p il passato.
Li rispose il P che conosceva esser in piede la Religione p la sua pietà e protettione, nelle sue mani la lasciava se Dio faceva altro di lui, che oltre il merito grande, che n’haveria havuto appresso Dio, la Beati.ma Vergine sotto l’auspicii della quale era fondata l’haveria concesse molte gratie, e lui ne l’assicurava, e con questo si licenziò, dicendo a me, che vedessimo tutto quel che bisognava p il P., che mandassimo a pigliare pche il Cardinale cossì haveva dato ordine al suo Mastro di Casa, che li dasse quanto veniva domandato p servitio del P.Gioseppe Generale delle Scuole Pie.
184.La matina delli 15 d’Agosto, giorno dell’Assunta della B.ma Vergine, si volle riconciliare, mà per non dar impedimento alla Comunità, non si comunicò corporalmente, mà lo fece spiritualmente mentre si diceva la Messa delli scolari, che fece dir a chi diceva la Messa che alzasse la voce acciò potesse sentirla bene, mentre che non poteva assistervi in persona, almeno poteva sentir quelle parole, che meditandole le potevano consolar il spirito p ravvivarli l’esalta.ne della Beati.ma Vergine nel Paradiso.
Finita la Messa si fece serrar dentro ordinando al suo Compagno che p un ora non li fusse dato fastidio pche voleva alquanto riposare, mà il suo riposo non era altro che render le gratie p haver recevuto il Sr. spiritualmente.
185.Vennero i medici e lo trovarono assai sollevato. Cominciò di nuovo il Sr.Gio:Maria Castellani a motivare di spuntare un poco la vena e cavarli un poco di sangue, dicendoli se si contentava che la matina seguente p liberarlo affatto li voleva cavar due once di sangue.
Li rispose che lui sempre l’haveva ubidito, che facesse pure quel che li piaceva; ma stimava tutto superfluo, che Dio sapeva molto bene quel che doveva esser di lui, che stava nelle sue mani e nel suo cospetto.
Fù concluso che alli 16 li si cavasse il sangue la matina a buon hora, e fatta questa conclusione l’ordinarono che prendesse il giuleppe (sic: giulebbe) gemmato, e li rispose che non occorreva pche più l’haveria data alteratione nel fegato p esser cosa calida.
186.Fui chiamato pche il P.Castiglia voleva cantar la messa, e mi toccava a far il Diacono, il fratel Agabito era andato fuora p un negotio e cossì restava il P. solo, pche tutti i Padri erano in Coro e tutti l’altri erano applicati in varii esercitii; cominciai a pensare chi poteva assisterli in luogo mio fratanto si cantava la Messa. Era venuto da Palermo un Chierico chiamato Gio: Domenico della Croce Palermitano, questo era venuto a posta p passar in Polonia p andar a trovar il P.Gio:Domenico della Croce che stava alla Città di Podolain tra la Polonia e l’Ungheria, che haveva fatto far una fund.ne nuova dal Prencipe Lubomirski, il quale haveva con li suoi compagni convertiti molti heretici l’odore del quale era corso sino a Palermo, e pche dº P.Gio:Domenico della Croce haveva vestito il dº Chierico Gio: Domenico quando stiede a Palermo, li venne voluntà d’andar a trovar dº P. pche non solo l’haveva dato l’habito della nostra Religione lui, ma l’haveva posto il suo nome e cognome e p quel effetto era partito da Palermo p passar in Polonia .
187.Quando giunse questo Chierico in Roma il P: stava bene et ancora non s’era ammalato, l’interrogò più volte pche cagione era partito da Palermo senza haver scritto quei Padri la sua venuta, mà solo haveva l’ubidienza p Polonia p andar a trovar il P.Gio: Domenico, che doveva haverlo chiamato ivi p andar a studiare p l’affetto che li portava.
Li rispose il P: figliolo voi non andarete in Polonia, ne sarete di far troppo bene pche non fate oratione, e vi raccomandate al Sr., pche in Polonia vi vogliono huomini di spirito, di modesti ed esempio, et humiltà e di queste virtù ne sete molto scarso, che se non cercate acquistarle con l’oratione, non farete bene ne p voi ne p la Religione; siche p.ma di metter questo vostro pensiero in esecutione v’esorto che fate l’esercitii spirituali, cavandone l’humiltà e quel frutto necessario di vero Povero della Mre di Dio fra stimo assai bene, che fratanto si puol scrivere al P.Gio:Domenico a Podolain p sentir i suoi sensi, dicendoli che già sete venuto in Roma, altrimenti non vi riceverà, e farete più presto danno al P.Gio:Domenico che darli consolatione, e sarà poi necessario tornarsene in Italia, che p esser un viaggio cossì lungo haverete molti incommodi, non havendo cosa nessuna di provisione, et il dire che aspetatte dal P.Gio: Domenico le comodità p potervi metter in viaggio, mi par cosa vana. Statevene fratanto qui et aiutate all’instituto, dove impiegarà l’ubidienza, che cossì s’andarà pensando come si puol fare p darvi questa satisfatione.
188.Poco o niente frutto fecero l’avertimenti et esortationi fatte dal P. Fundatore più volte a questo Chierico, anzi si mostrava più dissoluto et imperfetto del che il P. più volte lo chiamò a se e l’esortò a mutar costumi, altrimenti haveria capitato male e li saria succeduta qualche disgratia, questo discorso successe più volte, mà pche non vedeva frutto necessario lo raccomandò al P.Castiglia, che l’andasse avvertendo, e quando lo mandava fuora lo mandasse con qualche compagno, che li dasse buoni avertimenti e raccordi di virtù, acciò si ravedesse e pciò il P.Castiglia l’assegnò a me p compagno, acciò vedesse con bella maniera d’avertirlo di quanto l’haveva detto il P.Fundatore, come più volte feci, mà pche era assai svanito nello spirito e nella modestia non faceva frutto nessuno, e cossì il P. vedendo che non prendeva il conseglio in buona parte non lo chiamava così spesso come prima.
189.Questo quella matina era dissocupato, lo chiamai, che stasse con il P.Fundatore, che bisognandoli qualche cosa lo servisse fratanto si cantava la Messa, che poi saria tornato Io a far quanto bisognava. Restò questo Giovane col Padre, e li domandò s’haveva bisogno di qualche cosa. Il P. li disse, che pigliasse acqua fredda dalla fontana, n’empisse una catinella, e vi mettesse la pietra dentro acciò si rinfrescasse, che se la voleva mettere sopra il fegato, che li dava un gra.mo calore e si sentiva venir meno.
190.Presa l’acqua pigliò la pietra p mettervela dentro, li cadè dalla mano in terra, e ne fece tre pezzi, il che al P. fu di g.mo cordoglio, dicendoli fratello Dio vi perdoni, che m’havete fatto un danno notabile in romper questa Pietra, che sono più di 30 anni che me ne son servito p rinfrescarmi il fegato quando mi vengono questi sintomi cossì Caldi; patienza che Dio mi vuol provare.
Fù tanta la confusione del Chierico che subito chiamò il P.Angelo di S.Domenico, che assisteva in coro dicendoli che lo voleva il Padre. Andò subito il P.Angelo, e visto il P: che stava alquanto riposando, non lo volle svegliare, mà sentendolo chiamare s’accostò al letto, lo domandò s’haveva bisogno di qualche cosa.
191.Li rispose, che prendesse un poco d’acqua fresca, e vedesse bagnar il pezzo più grande della pietra, che haveva rotta il frel Gio: Domenico p rinfrescarsi un poco. Presa la catinella il P.Angelo trovò la pietra rotta dentro, domandò il P. chi l’haveva rotta, li rispose compatendo il Chierico, li disse che disgratiatamente era caduta da mano a quel povero disgratiato del fratel Gio: Domenico, venuto da Sicilia, che p confusione s’era partito senza darli cosa veruna. E rinfrescato un poco si pose con una quiete grande a riposare.
Era questa pietra d’Alabastro negro ovata sottile della grandezza d’un mezzo foglio di carta, che bagnatala all’acqua fresca si manteneva fredda un gran pezzo, le reliquie della quale furono poi rubbate p divotione, mentre erano servite per uso del benedetto Padre, come fù fatto d’altre cose che se non si serrava la stanza non vi saria restato niente.
192.Del mese poi di settembre il Chierico Gio:Domenico non proseguì il viaggio di Polonia, mà se ne tornò in Palermo dove fù fatto Sacerdote, diede in tali eccessi, che uscì dalla Religione e p il suo licenzioso vivere delli costumi corrotti hebbe che dire con una persona di rispetto il quale lo fece mettere prigione; dove viveva dissolutamente; al quale da persone pie li fù rinfacciato, che quello non era vivere da Sacerdote il trattar in quella maniera, e lui li rispondeva che l’haveva predetto il P. Fundatore delle Scuole Pie mentre ch’era in Roma, che se non mutava costumi e vita haveria passate delle disgratie, come chiaramente si vedeva che lui era un disgratiato.
Questo poi hebbe il bando da Palermo, se ne venne qui in Napoli p cercar sua fortuna, fù preso p sottosacrestano d’un Monasterio di Monache, e non portandosi bene fù licenziato, e non sapendo che farsi trattò con il Principe di Monte Sarchio Generale delli Galeoni di Spagna acciò lo prendesse p Cappellano di qualche vascello dove fù ricevuto, et andò in Corso con li vascelli alcuni anni.
193.Passata poi la furia della gioventù si ravveddè e si ridusse alla Patria dove dicono che ancor vive con ritiratezza emendandosi dalli suoi corrotti costumi.
Questo fatto mi raccontò più volte il P.Francesco di Giesù Palermitano mentre era Assistente Generale in Roma, huomo di grand.ma virtù et esempio, come s’è visto in Roma in sei anni del suo Assistentato sotto il Generalato del P.Cosmo di Giesù Maria, il quale da Padri della Casa di Roma da tutti era stimato.
Questo Padre molto s’adoprò meco con buoni consegli acciò tirassi avanti la Causa della Beatificatione del benedetto Padre animandomi massime quando s’ottenne miracolosamente la Comissione della Santa Memoria di Papa Clemente Nono, che p allegrezza quando s’ottenne la gratia non capiva in se come piacendo a Dio si scriverà più a lungo a suo tempo.
194.Quando poi mi fù data l’incumbenza della reintegratione della Religione a tempo ancora della Santa mem. Di Papa Clemente Nono, mi fù un sprone, e propugnacolo acciò ne sortisse l’effetto, che p gratia del S.re e intercessione del Venerabil P. Fundatore al quale spesso mi raccomandavo ne sortì l’efetto meglio, che si poteva desiderare, poiche solo si pretendeva di far levare alcune parole del Breve di Papa Alessandro Settimo che dicevano Presbiteri secolares, le quali parole ci davano grand.mo disturbo e liti a tutta la Religione. Ma la bontà di Dio diede tanto lume a Mons.Pierfra.co di Rossi Promotore della santa Fede, che con la sua diretione procurai che Papa Clemente Nono cometesse a lui questa Causa, alla buona memoria di Mons. de Vecchi che all’hora era Secretario della Cong.ne de Vescovi e Regolari, come anco a Mons.Agostini elemosiniero Secreto del Papa, che non solamente levarono le dette parole di Presbiteri Seculares dal Breve di Papa Alessandro Settimo, ma reintegrarono la Religione nel stato primiero con tutti i privilegii di mendicanti come l’haveva eretta Papa Gregorio XV, come se ne potrebbe far un volume intiero, che p quanto Io posso conoscere il tutto è stato p l’intercessione del nostro benedetto Padre, havendoli cossì promesso la Beati.ma Vergine quando di notte l’apparve come si vedrà appresso. Sicche questo P. Fra.co uscito il Breve p allegrezza non capiva in se stesso.
195.Alle 16 Agosto eravamo tornati con il P.Vincenzo della Concettione dal Sr.Gio:Giacomo medico già di Gregorio XV, che stava nel Palazzo del Prencipe Giustiniani p vedere di far operare con il Sr. Gio: Maria Castellani, che non cavasse sangue al nostro Padre, il quale ci rispose, che non haveria mancato di parlarli, che succedendo l’haveria causata altera.ne tale che saria stata irremediabile, che lui giudicava che solo s’andasse mantenendo con cibarlo spesso di cose liquide, e non darli altri medicamenti.
Tornati a Casa trovassimo che già l’havevano cavato sangue e pareva che li fusse giovato, lo fecero riposare p osservarlo alla p.ma uscita che i Medici facevano da Casa e vedere l’effetto che li caggionava l’emissione del sangue, che il Sr.Gio:Maria teneva p sicuro haverlo liberato affatto dall’infermità, mà il P: disse che s’era rimesso nelle loro mani p far la Volontà di Dio, che loro non consocevano il suo male esser dentro la febre, che si sentiva abrugiare cossì permettendo S.D.M.
196.Riposato che fù un poco li venne un freddo grande, cercò da coprirsi, che tremava in tal maniera come se fusse stato un giovane di 25 anni; passato il freddo li venne una grand.ma febre, che non trovava luogo girandosi per il letto per trovar qualche refrigerio, il che vedendo i Padri subito mandarono a chiamar i medici, acciò quanto pª lo venissero a vedere p trovar qualche rimedio da poterlo refrigerare.
Venne p.ma i Sr.Gio:Maria, et osservatolo, lo trovò con una ardentissima febre, il quale disse che non dubitasse, che l’inimico era scoverto, e li bastava l’animo di cacciarlo via con li medicamenti, che l’haveria dati, che stasse pur allegramente, e non dubitasse che con l’aiuto divino saria sanato.
Li rispose che lui stava più allegro che mai, e s’andava preparando d’andar all’altra vita, che solo pregava Dio li dasse forza di poterlo contemplare, e far quell’atti da vero Christiano, che quanto a medicamenti il tutto era in vano.
Erano di parere i medici di darli qualche cosa solutiva, ma dubitando di debilitarlo stiedero a veder un altro giorno p aspettar se passava la febre, la quale si fece continua.
197.Alli 17 d’Agosto parve che fusse mancata la febre, mà non era netto dissero i medici, che più presto s’era avanzato che perso et il P. rispose che si sentiva abruggiare, e che li dassero licenza di potersi spesso sciacquar la bocca senza bere pur una goccia, li rispose che lo poteva fare ma che non bevesse. Fu cibato la matina con qualche sua satisfatione, e poi mi disse che voleva alquanto riposare, che non se li dasse fastidio. Mentre, che io stavo vigilante all’oratorio acciò non venisse nessuno a svegliarlo, venne il P.Gioseppe della Visita.ne, al presente Generale, con un puttino in braccio di tre in quattro anni chiamato Francesco Piantanidi, figlio di Felice Piantanidi già Notaro di Tor di Nona, e di Vittoria Gracchi, il quale mi domandò, che faceva il Padre. Li risposi, che haveva già pranzato et hora si riposava, e m’haveva detto che nessuno li dasse fastidio, che pciò ero uscito fuori acciò non entri nessuno. Mentre che stavamo discorrendo il P. mi chiamò dimandandomi, chi era, e rispostoli che era il P.Gioseppe, che li voleva parlare.
198.Rispose che entrasse, et entrato li disse P. questo putto è figlio della Sig.ra Vittoria Gracchi e del Sr.Felice Piantanidi, il qle è offeso dal piede dritto, che non puol posare in terra bene, e camina con il piede storto, cioè la parte di sopra del piede la mietà va di sotto, che V.P. lo tocchi un poco e vi dica qualche oratione, che la madre ha questa fede che sanarà.
Il P. mi fece pigliar la tavoletta dove sogliono mangiar l’Infermi e posatala nel letto il P.Gioseppe vi pose a sedere il Putto.
Li domandò come si chiamava, e postali la mano sul piede disse l’oratione pro Infirmo, poi li diede la beneditione, et il P.Gioseppe se n’andò via con il putto in braccio, e lo portò alla Madre che stava aspettando in chiesa.
Posato il Putto in terra, cominciò a caminare con il piede drittamente come se mai havesse havuto offesa nessuna. Visto ciò dalla madre, dal P.Gioseppe, dall’altro figlio più grande, e dalla Donna che l’accompagnava, restarono stupiti dell’allegrezza, che il figliolo caminava che pareva andasse saltando, onde ne fui avisato, scesi subito in chiesa, e trovai, che il tutto era vero, mà all’hora non se ne fece caso.
199.Dopo morto il benedetto Padre, e viste tante meraviglie successero nella chiesa, come fù noto a tutta Roma, la sudetta Sig.ra Vittoria Gracchi mi diede la scarpa del figliolo, che p.ma portava, la quale era storta e la mietà della parte di sopra si vedeva chiaramente che posava in terra.
Di questo fatto fù esaminata detta Vittoria da Mons. Patricio Donati Vescovo Minoricense nel Processo fatto via ordinaria, non solo di questa gratia, ma d’altre cose come chiaramente si vede fabricato in Roma l’anno 1649 e 1650 come si dirà appresso con altra occasione.
200.Alli 18 d’Agosto si vedeva chiaramente, che il P. andava declinando delle sue forze e la febre mai li cessava, mà più presto andava augmentando, pareva che si riposasse, e cominciò a dire tra se stesso, e dove sono l’altri Padri, che non li vedo. Li rispose il P.Vincenzo della Concettione P sono alle scuole, altri stanno in chiesa, e noi stiamo qui se li bisogna qualche cosa.
Io non dico di questi , ma di quelli, che sono morti, che ve ne manca uno, e non passò ad altre parole, e pensando noi che le facesse parlar la febre, come se vaneggiasse, disse a me che andassi a S.Carlo de Catenari, e dicessi al P.Constantino Palamolla, che li facesse gratia quando le fuse comodo che venisse da lui, che li voleva parlare d’un suo negotio particolare, e conferirli un suo scrupolo, che haveva mà che fusse quanto p.ma poteva.
Andai a S.Carlo parlai al P.D.Constantino, il quale subito venne a S.Pantaleo, entrato che fù nella stanza del P. disse che n’uscissimo tutti fuora, che voleva discorrer con il P.D. Costantino, dove stiedero assiemi circa due ore senza potersi mai penetrare quel che discorressero, e licenziandosi il P.Costantino, li disse il P. che lo ringratiava perche l’haveva appieno consolato, che p.ma di morire lo voleva veder un altra volta. Li rispose il P.D.Costantino, che stasse pur allegram.te che il male non era tanto grave, e sperava, che il Sig.re l’haveria restituita la salute e godersi nel Sig.re qualche anno.

[201-250]

201.Li replicò se Dio mi farà gratia p sua infinita misericordia ci goderemo in Paradiso, preghi fratanto per me acciò mi dia forze di poter far quell’atti come devo, e ringratiarlo de beneficii ricevuti, che del resto non penso ad altro.
Licenziato il P.D Costantino l’accompagnamo con il P.Castiglia et il P.Vincenzo sino alla portaria. Domandò il P.Vincenzo che cosa era successa al P., che pareva che vaneggiasse pche haveva domandato dove erano l’altri Padri, che ve ne mancava uno, e che lui l’haveva risposto, che alcuni erano alle Scuole, altri in chiesa, et altri p altre facende, e non l’haveva risposto altro, che lui pensava, che vaneggiasse p la febre.
Rispose il P.D. Costantino, che altrimente non vaneggia, mà discorre sensatamente, e di quel che haveva detto non era ancor tempo da dirsi pche l’haveva parlato in confidenza et a suo tempo haveriano saputo il tutto, e con questo si licenziò.
202.Morto che fù il Padre disse in publico il P.D.Costantino, che quel che il P.Fundatore l’haveva lungamente discorso alli 18 del corrente mese d’Agosto era stato, che haveva havuta la visione del Paradiso dove haveva visto molti nostri Padri, alcuni stavano a sedere, altri in piedi, et altri caminavano, e non n’haveva veduto il P.Abbe Glicerio Landriani, che voleva saper da lui l’esplicatione di questo fatto, e l’haveva descritto il Paradiso in maniera tale, che haveva veduto tanti nostri Padri, che restava molto turbato non havervi visto detto P. Abbe, il quale l’haveva conosciuto il più pfetto di tutti.
E che il P.D.Costantino l’havesse risposto che il P.Abbe haveva molti gradi di gloria più dell’altri essendo già introdotta la sua Causa della Beatificatione nella Cong.ne de Sacri Riti, e pciò non l’haveva veduto, et a questa risposta restò il P. molto consolato e poi si mostrò cossì allegro e quieto, che mai più parlò di questa facenda et al med.mo P.D.Costantino haveva prohibito che non palesasse quanto l’haveva conferito, che p ciò non l’haveva publicato all’ora, e lui teneva p cosa sicura che il P.Fundatore era nella gloria dei Beati, havendolo conosciuto internamente p spatio di quaranta e più Anni.
203.Era questo D. Costantino Nonagenario, il quale era stato Amico e confidente del nostro Venerabil P p esser Religioso di g.ma pfettione, che p sue rare virtù, haveva gran credito nella Corte Romana, et era stato esaminatore non solo sinodale p le Confessioni, mà anco esaminatore de Vescovi e di molte Congregationi, che si servivano della sua Consulta molti Cardinali e Prelati.
204.Questo si fece Religioso da Giovanetto della Religione de Padri Barnabiti, che in Roma chiamano S.Carlo de Catenari, et in riguardo suo Papa Urbano ottavo fece Secretario del Cardinal Vicario delle cose spirituali p la morte del Sr.Odoardo Tibaldessi, il Sr.D.Gioseppe Palamolla suo nipote, che ancor vive, il quale per amor del zio è molto nostro partiale. Anzi questo Sr.D.Gioseppe Palamolla fece stipolare in nome suo come e capo Notaro del Cardinal Vicario da Francesco Neula, quando fù fatta la recognitione del Corpo del ntro Padre, e poi fu destinato Notario delli due Processi fatti auctoritate ordinaria, il pmo sopra non cultu e l’altro super vita, moribus, miraculis et sanctitate, il quale p non poter assister lui medesimo sustituì il dº Notaro Francesco Meula, siche fatti i Processi l’ordinò che ne desse le copie semplici gratis et amore senza pigliar quanto fusse un quadrino, solo si pagarono le fatighe di chi li copiò, e questo è successo due volte a me medesimo, che p esser Io procuratore della Causa della Beatificatione li chiesi questa Carità e come ho detto due volte me l’ha fatto dare una da Francesco Meula l’anno 1659, e l’altra da Innocentio Meula suo figlio, che fù dell’Anno 1670, quale copie una restò in mano del P.Gioseppe della Visitatione Generale della nostra Religione, che la diedi con l’altre scritture concernenti alla Causa della Beatificatione e l’altra al P.Alesio della Concettione Assistente al Generale pche doveva scrivere la Vita del P.Fundatore, siche le due Copie fatte far da me restarono tutte due in Roma come sè visto.
205.Alli 19 d’Agosto andava più mancando di forze il nostro Padre, e da quando in quando si sentiva parlar solo come se parlasse con qualche persona, onde il P:Vincenzo lo dimandò s’haveva bisogno di qualche cosa, o se voleva un poco d’acqua fresca p sciacquarsi (come diceva lui a canaletto), li rispose, che si sentiva arso dalla sete, che pigliasse un poco d’acqua dalla fontana e portatali l’acqua se la faceva metter sulla lingua e cadeva dentro la catinella p non mandarne abasso una goccia p far l’ubidienza de medici che l’havevano comandato che non bevesse.
206.Sciacquato che si fù, il P.Vincenzo li cominciò a dire P. V.P. ci lascia in questi guai, e se n’andarà in Paradiso, almeno prega Dio p noi, e p la Religione, acciò ci levi da tanti travagli nelli quali ci troviamo venendo lettere da fuora che l’Ordinarii strapazzano i nostri Padri in tutte le maniere. Li rispose, Io non son degno d’andar in Paradiso, ma spero al Sangue di Giesù Christo sparso per me se me ne farà degno, lo farò, lo farò, lo farò, et in quanto a voi et alla Religione siate tutti d’accordo, che la Madonna Santissima nostra Madre m’ha promesso questa notte che ci aiutarà, siatene devoti, e scrivete a tutti da mia parte, che siano divoti della Madonna, e dicano il Rosario, che Lei vi liberarà del tutto.
207.Vennero poi il P.Francesco della Purifica.ne che stava al Novitiato in Borgo, suo 2º Assistente, et il P.Camillo di S.Geronimo Rettore del Collegio Nazareno, il P.Castiglia, il P.Angelo di S.Domenico, et Io, e ci raccontò come la notte passata l’era apparsa la Madonna de Monti, la quale sempre era stata sua Avocata, e l’haveva promesso d’aiutare i suoi figlioli, siatene pure devoti, non dubitate, che Lei sarà nostra Madre e Protettrice, che quello che non fanno l’huomini l’impetra Lei dal suo unigenito Figliolo, e voi pregate per me acciò il Sre mi dia spirito e forza acciò facci quell’atti che devo come fedel Christiano, e mi sappi conformare con la Volontà Divina p scomputo de miei Peccati.
208.Venne di nuovo il P.Costantino Palamolla, si serrò dentro dal P dove stiede un pezzo e li raccontò l’apparitione della Beati.ma Vergine, dicendoli che l’haveva promesso d’aiutar i suoi figlioli, mà che stassero d’accordo, et in sta Carità, questo fatto si disse publicamente, e nel dº Processo via ordinaria consta p Testimonii haverlo sentito dalla sua propria bocca, e da qui nacque il motivo che il fratel Luca di S.Gioseppe da Fiesoli Cercante della Casa di S.Pantaleo lo fece dipingere la prima volta in un quadro in genocchio al naturale con l’apparitione della Madonna, e p questo esempio fui pregato dal P.Michele di S.Maria Ministro delle Scuole Pie di Nicolspurgh in Boemia di Germania, che ne li facesse far una Copia simile a quello, che stà a S.Pantaleo con l’apparitione della Madonna dal medesimo Pittore Gio:Barbarino, e glielo mandasse in Germania senza guardar a qualsivoglia spesa, li feci far un quadro di dodici palmi conforme l’originale e lo mandai sino ad Ancona, d’Ancona a Venetia p mare e poi in Germania p terra, che fù preso con g.ma devotione, e con questa occasione ne furono fatte molte copie, e mandate in diverse parti et Io p mia devotione me ne feci far uno di mezza figura con l’apparitione della Madonna con questa inscrittione, che escono dalla bocca del P. queste parole “eia Mater” ed alla bocca della Madonna escono queste parole: “Confide in me fili”.
209.Il simile a questo fù quello che portò il P.Pier Francesco della Madre di Dio in Sardegna, che poi capitò in mano di Turchi, fù portato a Tunisi a D.Filippo d’Austria, che lo donò al P.Gio: Battista di S.Andrea, e lo pose dentro alla moschea come lungamente ho detto, mentre che era schiavo. Sentendo io ciò dal P la matina delli 20 dissi al P che mi dasse la bened.ne, che volevo andar a guadagnar l’indulgenza p lui alla Madonna de Monti e pregarla p la sua salute, mi rispose che andassi pure e facesse le mie devotioni, che l’haveva a caro, che ne sia devoto pche lui n’haveva ricevute molte gratie, e quanto alla sua salute rimettiamoci alla Divina Voluntà, alla quale dobbiamo star sempre pronti e preparati a quel che vole.
210.Il mio Compagno fù il fratel Giuseppe della Purificatione Guarda Robba della Casa di S.Pantaleo, il quale quando uscimmo da Casa mi disse, che lui voleva andar scalzo e senza le scarpe p cercar gratia alla Beati.ma Vergine acciò impetri dal suo benedetto Figliolo, che restituisca la sanità al nostro Padre, che morendo in questi travagli sariamo del tutto rovinati e pciò Io ancora mi levai le scarpe et andassimo p strada dicendo il Rosario applicandolo conforme l’intentione del nostro benedetto Padre, e giunsimo alla Madonna de Monti quando si faceva giorno e p la strada diede il piede del frel Gioseppe in un sasso e li fece alquanto male al ditto.
Tornati a Casa trovammo il P che riposava e pareva esser alqto sollevato e sentendomi che parlavo con il P.Vincenzo mi domandò s’ero stato alla Madonna de Monti; li risposi di sì, che ero andato con il fratel Gioseppe Guarda Robba, eravamo andati scalzi, e detto il Rosario p strada, et applicatolo secondo le sua intentione.
Sentendo questo ne sentì grand.ma allegrezza benedicendoci ci disse che andassimo a riposare.
211.Venne a visitar il nostro Padre il Sr.Cosmo Vannucci elemosiniero di Papa Innocentio Decimo suo intimo Amico come s’è detto con il quale tenne un lungo discorso et al licenziar che si fece p tenerezza prorruppe in pianto dicendoli Padre lei si muore e lascia a me qui, fatemi gratia, che quando siate in paradiso pregate il Sr. p me acciò venga con voi, e non si scordi p l’antica Amicitia, che habbiamo havuto assiemi da tanti Anni, che pur son vecchio e vorrei riposarmi, e venirmene con voi.
Li rispose il P se Dio p sua infinita misericordia me ne farà la gratia lo farò, lo farò, lo farò più che voluntieri. Come successe e si vedrà più sotto.
212.Mentre che il Corpo del P stava nel Cataletto all’oratorio venne Cosmo Contini (Vannucci) lo pianse, vi fece oratione domandandomi della Morte, che haveva fatto, e delle robbe che da suoi Devoti erano state prese p loro devotione, che lui voleva una lucerna grande d’ottone che l’haveva comprata lui p servitio del Padre e la voleva tenere p memoria e sua devotione, che sempre l’haveria tenuta con veneratione.
Li risposi che era vero che molte cose erano state prese p devotione, ma accortosi il P.Castiglia v’haveva posto rimedio con farmeli serrare e poi vi haveva posta la scomunica, che nessuno pigliasse cosa benche fusse minima, o la dasse ad altri; che parlasse al P.Castiglia pche Io non potevo dar niente senza sua licenza.
In quel mentre capitò il P.Castiglia e li fece instanza che aprisse la Camera del P.Generale che p sua devotione voleva bagiar il letto dove era morto.
Entrati nella stanza cominciò a piangere bagiando il letto dove era morto, si raccomandava a lui, che l’osservasse quanto l’haveva promesso, e vista la lucerna che stava sopra la credenza pregò il P.Castiglia che gliela volesse dare havendola comprata lui p uso del P. che la voleva tenere per sua devotione havendola adoperata tanti Anni il P.Generale.
213.Li rispose il P.Castiglia che p hora non li poteva dar la lucerna pche se n’era fatto inventario et era consignata al P.Gio:Carlo, che poi aggiuntate la cose haveria havuta ogni satisfatione, come si doveva a tanta Carità che haveva usata verso il Padre, che tutti ne restavano obligati.
Sentendo ciò il Sig.Cosmo cominciò ad andar in collera dicendo che i Padri non erano Padroni di metter nell’inventario la robba sua.
Sicche p quietarlo dissi al P.Castiglia, che mentre voleva la lucerna p divotione e memoria del P.Generale, li potevamo dar qualche altra cosa sua fratanto s’aggiustassero le cose, che poi se la poteva pigliare, che essendo stata consignata a me, Io assolutamente non la potevo dare.
214.Mi rispose che mi raccordassi quando uscì il fiume l’anno passato, l’aviso che ci diede, che passava pericolo morirci di fame come anco p la prudenza del P.Generale fece provedere di legna, come benissimo sapete, et hora non mi volete dar questa satisfattione p mia divotione e consolatione.
Il P. Castiglia lo prese con buone parole dicendoli che p allora l’haveria dato un berrettino, che soleva portar il Padre mentre era vivo, che prendesse quello, che appresso haveria havuto quanto desiderava.
Si contentò il Sr.Cosmo di questa offerta, li diede un berrettino di lana scotta negro, e cossì se n’andò tutto contento et allegro, ma sotto la parola di darli a suo tempo la lucerna.
Si volle trovar presente il Sig.Cosmo quando il P. fù sepellito, il quale con g.mo affetto li volle bagiar il volto, le mani et i piedi, dicendoli come se fusse vivo, che l’osservasse la parola, che l’haveva data e piangendo se ne partì via.
E vedendo il numeroso populo un vecchio cossì venerando come era il Sr.Cosmo, conosciuto da tutta Roma, che faceva quelli atti di tanta devotione, più s’accendeva alla devot.ne del Padre nostro Fundatore.
215.All’ottavo giorno mentre che Io ero in Sacrestia venne un Gentilhuomo e mi disse che era morto Cosmo Contini (Vannucci) et il suo Corpo stava esposto alla Chiesa di S.Geronimo della Carità a Piazza Farnese, e che lui medesimo l’haveva visto, e di già li cominciavano a far i funerali. Non credevo che fusse vero la morte del Sr.Cosmo pche non havevamo saputo cosa nessuna della sua Infermità, subito chiamai il P.Vincenzo et il P.Castiglia, e li disse la morte del Sr.Cosmo, del che restarono molto stupiti, e non credendo esser vera la morte andai Io medesimo a S.Geronimo della Carità e trovai che stava esposto, e li cantavano la messa. Tornato a Casa il P.Castiglia li celebrò la Messa e tutti ci raccordassimo della parola datali dal P.Fund.re che l’haveria portato seco in Paradiso.
216.Del che si puol comprendere quanto s’amavano quelli due Servi di Dio. Volle esser sepellito a S.Geronimo della Carità p esser stato elemosiniero dal tempo di Papa Paulo quinto sino all’Anno 1648 nel Pontificato di Papa Innocentio Decimo. Fù pianto questo elemosiniero da tutti i Poveri di Roma et in particolare le povere Donne vergognose, pche a chi provedeva di vesti, a chi di scarpe, a chi di calzette, a chi di tela da farsi le camisce, a chi di danaro, e diceva, che molte haveriano perduta la messa, se lui non l’havesse aiutate con la borsa di S.Pietro.
Quanto alla propositione che fece il Sr.Cosmo Contini d’haverci sovvenuto quando uscì il fiume dal suo letto dell’anno 1647 fù in questa maniera. Alli 10 di dicembre del dº Anno venne tant’acqua dal Cielo che pareva che fusse venuto il Diluvio universale. Alli 9 di Dicembre la sera il P:Fundatore fece chiamar il P.Castiglia Superiore, e li disse, che vedesse di far saglire dalla Cantina una Botte di vino, et una quantità di legna, pche uscendo il fiume haveria qualche provisione almeno la più necessaria, che non perdesse tempo e lo facesse far quanto pª .
217.Il P.Castiglia li rispose che l’haveria fatto la matina seguente pche l’hora era tardi, e li fratelli erano venuti stanchi dalle Cerche.
Non, li rispose il P., fatelo far adesso pche forsi non haverete tempo di farlo, che empiendosi la cantina d’acqua non potrete far cosa buona col pericolo di non haver vino.
Subito il P.Castiglia chiamò i fratelli, fece portar una botte di vino di sopra et una quantità di legna come haveva ordinato il Padre Fundatore.
Levato il vino e la legna cominciò a piovere in tal maniera tutta la notte, che quando ci levammo all’oratione si vidde dalle finestre del nostro dormitorio tutta Piazza Navona allagata.
Finita l’oratione mentale tornassimo di sopra e si vedevano tutti i Palazzi allagati, e con barchette andavano le genti a veder il danno, che haveva fatto l’acqua alle boteghe dei mercanti p salvar le robbe come meglio si poteva.
218.Andò il Cantiniero p veder la Cantina e trovò le botti che andavano notando, che p esser la Chiavica maggiore attacata ai fondamenti della nostra Casa erano i sfiatatori nella med.ma Cantina sbottò l’acqua di sotto, e l’inondò subito.
Fù fatto un ingegno di tavole al meglio che si poteva, et impaciò le botti acciò non si guastasse il vino; pche si temeva che non venisse la corrente dalle ferrate di sopra la cantina dalla banda del Palazzo del Marchese Torres et rempisse il tutto senza poi potersi rimediare.
Fù avisato di ciò il P.Fundatore, il quale disse, che dassimo tutti all’oratione acciò Dio ci proveda del necessario, pche in Casa non havevamo pane p quella matina, et eravamo di famiglia da cinquanta e più persone.
Finita l’oratione cominciamo a pensare come havessimo da fare a provedere di pane acciò i Padri potessero mangiare, ognuno diceva il suo parere, ma nessuno sapeva trovar il remedio.
219.Haveva venti giorni prima mandata una elemosina di quattro scudi il Cardinal Lanti p il Sig. Francesco Barenfabri suo mastro di Casa, et il P.Castiglia mi disse che tenesse quei quattro scudi, e non dicesse niente a nesssuno, acciò venendo qualche bisogno ci potessimo aiutare. Altro danaro non era in Casa, che p esser la famiglia cossì grossa non bastavano un giorno. Non si raccordava più il P.Castiglia, che havevo quel danaro, stava tutto mesto e melinconico discorrendo con il P.Fundatore per prendere il suo conseglio come haveva da fare p rimediare in quella estrema necessità. Entrai Io dal P e li dissi che havevo li quattro scudi mandati dal Cardinal Lanti li giorni passati, che ci potevamo servir di quelli, e vedere di far proveder di pane e di qualche altra cosa p quel giorno, sin tanto che Dio provedeva p altra provisione.
220.Quando il P.Fundatore intese ciò, disse al P.Castiglia, ecco che Dio ha provisto, e voi vi perdete dentro un bicchiere d’acqua, che vi la passate con un Ja, Ja, et una gratta di braccia. Vedete far proveder di pane p.ma che l’acque crescano più, che poi non si potrà uscir di Casa. Il P.Castiglia fece chiamar tutti i Cercanti, e li domandò a chi bastava l’animo d’andar a comprar pane, che già era trovato il danaro, ogno si stringeva le spalle, che non sapevano come fare pche correva voce haver preso tutto il pane de forni il Cardinal Panfilio Astalli e Mons. Lumellini Tesoriero Generale con altri Prelati deputati acciò lo potessero dispensare ai poveri più bisognosi, che stavano assediati dall’Acque, massime quelli del Corso, Ripetta, Borgo e la Lungara, altri havevano distribuiti p le Campagne vicine.
221.Rispose il fratel Carlo di S.Vito da Campie, che bastava l’animo a lui d’andar a trovar pane, et Io m’offersi d’andar p Compagno, e pche la Chiesa nostra era il passaggio p non esser tanto cresciute l’acque, siche tutti quelli che venivano da Pasquino, e da Monte Giordano p esser luogo più alto passavano dalla nostra Chiesa, e però Io mi inanimai a seguirlo; quando fussimo al sboccar la strada di S.Andrea della (Valle) era tanto cresciuta l’acqua dalla bocca della Chiavica maggiore, che entrato il fratel Carlo dentro l’acqua li veniva sino al genocchio, siche Io spaventato lo feci tornar a dietro, passassimo p il Palazzo di Mons. Grimaldi, e dindi al Palazzo del Sig.Pietro della Valle dove habitava l’imbasciator di Savoia, passammo a Sudario e p la Cavallerizza del Duca Cesarini penetrassimo a S.Carlo de Catenari, che poca acqua ci bagnava solo i piedi.
222.Giunsimo a Piazza di Branco dove habita il Cardinal S.Croce, ivi è un forno ricchi.mo, et havevano a scuola due figlioli del fornaro, che il fratel Carlo s’appoggiava al favore di quelli, et accostati al forno vi era una guardia, che non faceva dar pane a nessuno, havendo havuto ordine, che conforme si coceva il pane si ponesse sopra i carri, e si portasse ai deputati acciò lo distribuissero ai più bisognosi. Cominciò a gridar tanto il fratel Carlo con le Guardie che sentì il Marchese Valerio Santa Croce, che scese abasso e comandò alle guardie, che ci dasse il pane, che ci bisognava mentre che lo pagavano, che i Padri n’havevano bisogno più dell’altri non havendo nessuna provisione, essendo Poverelli più dell’altri Religiosi.
Aderiva anco il fornaro a darci il pane, ma le guardie dicevano, che se loro dassero il pane a chi si sia, sariano subito andati in Galera, che cossì haveva ordinato Mons. Bonvisi Prefetto dell’Annona, mà che si trovasse altro ripiego, acciò non paresse che loro havessero acconsentito a dar il Pane.
Il fornaro fece cenno, che andasse dall’altra porta secreta del forno p amor del Sr.Marchese l’haveria dato quanto pane voleva.
Entrato dentro il fratel Carlo empì un paro di saccoccie di pane in tal maniera, che p esser un giovane gagliardo e robusto con difficultà li poteva portare, s’avviammo p i medesimi Palazzi e nessuno ci diede fastidio, ancor ognuno procurava un pane.
223.Giunti al Palazzo del Sr. Pietro della Valle dove sta l’Ambasciatore di Savoia ci venirono inanzi quattro Palafrinieri dell’Imbasciadore, fermarono il fratel Carlo, lo sforzavano a lasciar il Pane, andasse di nuovo a provedersene, che l’haveriano dato il danaro pche la famiglia dell’Imbasciadore non haveva pane e non ne poteva trovare. Si che cominciarono a scontrare e vedendo che la violenza lo forzava saglii sopra dall’Imbasciadore dandoli parte dell’insulto che facevano i suoi servidori al nostro fratello.
Calò subito un Gentilhuomo da sopra, cominciò a dir a quei Palafrinieri, che lasciassero andar i Padri ne toccassero quel Pane, che se sapesse ciò l’Imbasciadore non l’haveriano passata senza castigo, che del tutto sariano proveduti, ne toccassero cosa a nessuno pche il Prencipe non vol che si faccino insolenze a chi si sia, massime alli Religiosi, e cossì passassimo la borrasca, et allegramente ce n’andassimo a Casa.
224.Portassimo il pane acciò lo vedesse il P.Generale al quale dissi quant’era passato, il quale mi rispose che si meravigliava che l’Imbasciadore di Savoia tenga questa sorta di gente, che faccino insolenze p esser lui persona tanto pia.
Passato un poco venne Mons. Lumellino a cavallo, mi fece chiamare e mi dimandò, se havevamo bisogno di qualche cosa e quanti eravamo pche ci haveria dato soccorso d’un poco di pane.
Li dissi che eravamo sopra cinquanta, e facesse la carità di quel che li piaceva. Fece un bollettino al p.mo Carro, che passava che ci dasse cento pagnotte, che poi saria venuto la matina seguente. Venne il carro, habbimo il Pane, e di già havevamo la provisione di pane p due giorni, et il P. ordinò che se ne dasse p Carità, e si provedesse Ventura Sarafellino, si provedessero quei poveri vicini, giàche Dio abbondantemente haveva provisto noi. E si bene ad alcuni li pareva, che si levasse la provisione ai Padri che stavano renitenti a voler dar pane fuor di Casa in questa necessità, non di meno fù posto ad esecutione quanto haveva ordinato il P.Fundatore pche tutte le sue speranze haveva poste alla Divina Providenza.
225.Non passò poco che venne un Servidore di Cosmo Contini (Vannucci) con due facchini carichi di pane, legumi et erbaggi, che stassimo tutti ammirati della Providenza Divina, che come diceva il P: che confidassimo in lui, che ci haveria proveduti abondantemente, se noi havevamo compassione a chi non haveva.
Venne la corrente dell’acqua da Piazza Navona, alla quale sboccava dalla piazza dell’Apolinare, che soprabondava dall’Orso e da Ripetta, che dalle ferrate della nostra Cantina s’empi in tal maniera, che usciva dalle ferrate che stavano al cortile. Si puol considerare come stavano le Case all’Orso dove usciva il fiume, et anco a Ripetta, che le barche del vino che stavano dentro al fiume, fù tanta l’abondanza dell’acque che le portò sopra le scale di S.Gerolamo de Schiavoni e p Roma non si vedevano altro che Barchette, che andavano dando sussidio ai poveri assediati.
226.Si vedevano venir p il fiume letti e pagliare intieri dove stavano i Poveri Contadini, botti pieni di vino, legnami, legnami di ogni sorte, huomini e donne chi morti e chi spaventati dall’acque, pareva che fusse venuto il Diluvio universale, che tutto questo p la curisosità del P.Angelo di S.Domenico lucchese mi menò una matina alla Trinità de Monti, luogo più alto della Città a veder le palude, che parevano un mare formato, e scendevano canali d’acqua dalla Croce di Monte Mario precipitavano alla Vigna di Madama e s’adunavano con le acque del fiume che era cosa mirabile a vedersi. Nel tornare che facevamo in Casa quando fussimo alla piazza dell’Imbasciador di Spagna cominciò a piovere cossì gagliardamente, che non sapevamo che fare, alla fine concludessimo partir con tutta l’acqua passando per i muriccioli, giunti che fusimo al Corso non potessimo passare p andar a S.Lorenzo in Lucina, fù necessario tornar a dietro e passar per la Fontana di Treveri (sic) luogo più alto, e da indi a Monte Cavallo, scessimo p la Colonna Traiana passando p il Palazzo di S.Marco, venimo alla piazza del Giesù, che ci parve haver fatto assai esser arrivati a quel termine.
227.Cominciammo a travesar p i Palazzi e riposassimo un pezzo in quello del Cardinal Lanti, alla fine non pioveva tanto, passassimo p dentro la Sapienza, e nel uscir dal portone veniva una corrente d’acqua da Piazza Navona, che pareva un fiume, quale precipitava in una Cantina di S.Giacomo delli Spagnoli p le ferrate, e con il precipito dell’acqua mandava fuora dalle medesime ferrate tante merangoli de quali era piena la Cantina, che pareva che fussero tante girandole /e lumincelle/, il che faceva una bellissima vista.
Si vedeva scendere dell’acque una Cuna con dentro una Creatura nelle fascie /che faceva cenni con le mani come se volesse cercar la zinna/ la quale quando arrivò sotto ponte S.Angelo con uncino fù tirata fuora la Cuna e si trovò esser una bambina di circa quattro mesi, quale fù data ad una Nutrice acciò l’allevasse a spese della Camera Apostolica, e dicevano, che mai si seppe trovare chi fusse il Padre ne la Madre, che si considerava esser figlia di qualche Contandina morta dell’acqua, et Iddio haveva preservata quella Innocente. Li danni che fecero l’acque in campagna furono grandi, spiantò Case, ruppe alberi e legnami, siche come dissi si vedevano i letti intieri che andavano notando anco con corpi morti, che ispirava una pietà.
228.Dentro la Città rovinarono molti mercanti d’oglio, siche quelli che havevano le cisterne piene d’oglio tutto andò a male, come anco nelle Cantine quelli che havevano le vettine piene d’oglio non ne poterono salvare nemeno una goccia.
In questo caso si possono considerar molte cose che ridondano alla bontà del nostro Padre Fundatore, che pareva havesse il spirito di Profetia, poi(che) sollecitò il P.Castiglia che facesse saglir legna e vino, che facesse quanto p.ma, che forsi non saria più a tempo, che poteva inundar la Cantina la notte seguente come successe, e con questa prospositione anco si salvò l’altro vino, che era restato in Cantina, che nessuno pensava d’otturar le botti et insediarle come lui med.mo l’haveva avertito. La 2ª volle che del pane comprato si facesse la Carità, e si provedesse Ventura Sarafellino con l’altri Poveri vicini, havendo grande speranza alla Providenza Divina, come il tutto successe abbondantemente.
229.Pensò ancora che si levasse il somarello, che faceva la Cerca della legna dalla stalla, acciò venendo l’abondanza dell’acqua non patisse, il quale fu saglito di sopra alla stanza della recreatione de pieno, dove stiede tre giorni e tre notti senza che mai ragliasse come era solito, che quando stava alla stalla tanto di notte quanto di giorno spesso ragliava, et inquietava alle volte i Padri, e l’interrompeva il sonno, et ivi mai si mosse ne gridò, et il P. lo raccomandò al Cercante acciò lo governasse, e non lo facesse patire, havendo servita la Casa più di venti anni, siche n’haveva misericordia sino al somarello della casa, nonche ai Padri e fratelli.
230.Alli 20 d’Agosto volle il P.Fundatore comunicarsi p viatico cercandolo lui medesimo in gratia del P.Castiglia, dicendoli che si voleva riconciliare e poi li portasse il S.mo Sacramento, lo voleva prendere p viatico p unirsi più con S.D.M., acciò li desse fortezza e si preparasse a quel che Dio voleva da lui, che si sentiva vieppiù debilitare.
Li rispose il P.Castiglia: P. stà assai meglio e non siamo a questo pericolo di comunicarsi p viatico.
Hora, rispose, hora è tempo che Dio mi concede tutti i sensi et ho qualche forza di far qualche atto di virtù, datemi questa consolatione acciò mi possi unire con il mio bene.
Si riconciliò e fù sonata la campanella comune acciò venissero tutti i Padri e fratelli, e radunati tutti assiemi in Sacrestia andarono p ordine in Chiesa, e preso dal P.Castiglia il Santissimo Sacramento ordinò che quelli che portavano le torcie non entrassero nella stanza del Padre acciò non dessero tanto caldo, ma solo quelli che havevano le candele che pciò le presero quattro Chierici con la cotta.
Entrati p ordine nella stanza del P. quando vidde il Smo.Sacramento l’adorò dicendo: Ecco l’autor della Verità, et il fautor de tutte le cose, facendo che entrassero tutti pche voleva discorrere, cercarli perdono, e poi benedirli come è Padre.
231.Cominciò un discorso il P sopra le grandezze et eccellenze del Smo Sagramento, e sopra la soprastante sua morte che l’era vicina. Fece poi una esortatione a tutti i Padri.che fussero osservanti delle loro Costitutioni, che osservassero i tre voti essenziali delli quali voluntariamente s’erano legati, et in particolare dell’ubidienza che dovevano fare alla Cieca, non havendo mai riguardo alla persona a chi obedivano, mà solo la persona di chi rappresentava, Christo Sig. Nostro, poiche lui med.mo si soggettò ad esser ingiustamente condotto a tre Giudici iniqui da uno vilipeso e stimato pazzo con farlo vestire di bianco, schiaffeggiato, e sputtacchiato, fatto flagellare alla colonna, coronato di spine, mostrato ignudo a tutto il Popolo p scherno con una canna in mano dandoli la burla trattandolo da re de Giudei, e finalmente mai aprì la bocca p difensarsi dire le sue ragioni.
232.Venne il tempo d’esser condannato a morte e come mansueto agnello abracciò la sentenza, bagiò la Santa Croce, la quale imposero sopra quel santissimo dorso acciò lui medesimo si portasse il patibolo al Monte Calvario e con tutto, che con urtoni, calci e sputi lo sforzavano a caminare vero il Monte Calvario dove haveva da seguirsi la sentenza di morte di Croce contro l’innocente Agnello, mai aprì la bocca p dir le sue ragioni a quei ministri crudeli, che cossì fieramente lo tormentavano, solo p far l’ubidienza di quei giudici crudeli, che accortamente l’havevano condannato, cossì permesso dal Padre p la salvezza del Genere humano. Siche figlioli miei dilettissimi non mancate mai di far l’hubidienza di chi vi comanda e proponete fra voi medesimi che sagliate il monte con la Croce di Christo accortamente mandatavi da Dio p nostro profitto e perfettione p la vita eterna.
233.Questo esempio v’ho dato in tanti travagli passati e persecutioni, è vero che potevo defensarmi e far conoscer la verità alli miei Superiori datimi da Dio, come più volte m’è stato esortato da miei diletti.mi figlioli, non mi parve tempo opportuno a fugire questa Croce mandatami da Dio, l’ho abbracciata voluntieri pche cossì mi pareva espediente p mio profitto et anco p la Religione, rimettendo il tutto al Divino volere, e lasciamo far a lui pche haverà cura di voi benchè Io vi lasci, al quale ho fede grande che se sarete osservanti e farete bene l’Instituto p levar via i peccati del Mondo p il quale è fondato l’Instituto con imbever a poveri fanciulli i Dogmi della Santa Fede, non dubitate, non dubitate, che Dio mai vi abbandonerà.
Siate poi devoti della Madre di Dio nostra Madre sotto la prot.ne della quale Io presi quest’habito il giorno della sua Annunciatione, permessomi dalla Santa Sede Apostolica, alla quale consecrai me stesso, e voi ancora acciò sempre ci assista con la sua protettione, alla quale ho posto tutte le mie e vostre speranze, che p esser Madre pietosa l’abbracciò voluntieri e lo protesse, come s’è visto dilatato in tanti con frutto grande nella Santa Chiesa.
234.Solo mi resta dirvi, che vi amiate l’un l’altro con affetto d’amor fraterno, e state uniti assiemi, non mancate dell’orationi quotidiane, et osservate quel che havete promesso alla B.ma Vergine nostra Madre, che vi prometto che Lei vi aiuterà in le vostre dimande. Vorrei haver il Spirito di S.Bernardo per imprimere ne vostri Cuori questa verità, mà spero con l’aiuto Divino, che havrete buona e retta intentione acciò mettiate in esecutione quanto vi ho detto, che delli esempii passati potete ben conoscere chi non ha retta intentione ancor che Dio aspetta l’emend.ne alla fine li dà il premio delle sue opera.ni o buone o male dando a ciascheduno secondo le opere che ha fatto in questa vita. Solo vi prego, che preghiate per me come Io spero far per voi, che mi dia forze che possi far quegli atti da vero Christiano, e cerchi perdono de miei peccati, e mi sappi conformare con la Divina Voluntà, et offerire me stesso in olocausto acciò la anima mia sia la vittima di poterlo amare.
235.Vi ho dati molti raccordi e pche vedo che meco piangete vorrei che queste mie lagrime e le vostre fussero unite assiemi e far un fiume d’atti di contritione cercar perdono a Dio delle offese, che l’habiamo fatto.
Alzò la mano il Padre piangendo disse: Vi benedico figlioli tutti da parte di questo Dio che stà qui presente, e non solo voi che state qui meco, mà tutti gli altri absenti, che sono anco alle altre Case li benedico tutti nel Sig.re acciò vi dia la beneditione che diede Giacobbe ai suoi figlioli, et alzata la mano fece profondi.ma riverenza al S.mo Sacramento, fece tre volte il segno della Croce a tutti piangendo.
Giunse le mani e disse il Confiteor con g.ma devotione, che li grondavano lacrime dall’occhii in grand.ma copia. Finito il Confiteor, chiese perdono a tutti se havesse offeso in qualsivoglia alcuno, e se l’havesse mortificati l’haveva fatto come è Padre, e ne le chiedeva perdono.
Disse Domine non sum dignus tre volte, e poi proruppe in queste parole. Vieni Sig. deh vieni, fede e speranza mia, Pane dell’angeli, desiderato tesoro dell’Anima mia. Qui tacque, aprì la bocca e prese il Santi.mo Sacramento con grand.ma devotione.
Comunicato che fù restò come assorto, e dandoli la beneditione piangendo il P.Castiglia con il S.mo Sacramento li fece una profond.ma riverenza, e fece cenno, che tutti uscissero, e nessuno li dasse fastidio, come fù fatto.
236.Stiede da un ora, poi chiamò il fratel Agabito suo Compagno dicendoli che chiamasse il P.Castiglia. Quasi tutti i Padri stavano all’oratorio, tutti malinconici p haver perse le speranze della vita del nostro Padre, e chi diceva una cosa, e chi un’altra, che pensavamo, che con la morte sua si saria affatto destrutta la Religione, et ognuno stava pensando a casi suoi.
Entrato il P.Castiglia si serrarono assiemi, e vi stiede da un hora discorrendo senza mai potersi penetrar quel che si dicessero.
Vennero i medici, e dissero che l’havevano trovato assai sollevato, che vedesse a mangiar qualche cosa che li piacesse, che loro si contentavano.
Rispose il P. che lui s’abruggiava di dentro più che mai, che stava alle mani di Dio, e si rimetteva alla sua Sant.ma Voluntà. Già ho havuto il Viatico e non occorre che si prendano altro fastidio, che già sono disposto a quel che vuol S.D.M.
237.Fù cibato e si riposò un poco e tutto quel giorno stiede con una febre tanto grande, che alle volte mi diceva che vedessi quanto era caldo, che pareva si rinfrescassi le mani ogni volta che prendeva le mie, et Io p consolarlo spesso l’andavo a pigliar l’acqua fresca della fontana acciò sciaquasse come diceva lui medesimo a canaletto, che con una Carafina li buttavo l’acqua su la lingua, e la faceva cascare dentro una Catinella di terra, e cossì si rinfrescava.
Il giorno lo venne a visitare D.Gio:Battista Pallotta fratello del Cardinale Pallotta, huomo di gran spirito, che tutta la vita sua fece all’ospedale di S.Spirito in Sassia a governare l’Ammalati. Questo cominciò a discorrere lungamente con il P. di molte cose spirituali della Gloria del Paradiso, e doppo lungo ragionamento s’accostò al letto p bagiar la mano al P. e chierderli la bened.ne raccomandando se et il Cardinal Pallotta suo fratello, destramente li levò dal capo un berrettino di tela bianca, che teneva il P. in capo, bagiatali la mano lo bendisse, e si partì via, e portò via il berrettino p sua devotione. L’accompagnai sino a basso e mi disse haverli discorso delle gerarchie del Paradiso con tanto spirito, che li pareva che il Padre vi fusse stato e visto ogni cosa.
238.Tornato Io di sopra vedevo, che il P. andava tastando p il letto, e cercava il berrettino, che ancora non m’ero accorto che non l’haveva; subito il frel Agabito ne prese un altro me lo diede, e li dissi che era cascato in terra, e cossì si quietò.
Stava questo Gio:Battista Pallotta a dozina alla Casa di Geronimo Scaglia, che li pagava tanto il mese, la sera cominciò a discorrere con la Socera e la moglie di Scaglia, et un’altra sua sorella, li nomi delle quali non mi li raccordo, mà sono scritti in un altro libro fatto da me delle cose notabili delle gratie e miracoli successi alla morte del Venerabil P Fundatore, che lasciai due anni sono al P.Gioseppe della Visitatione Generale, quando partii da Roma. Raccontò questo buon Prete a quelle Donne come era stato a visitar il P.Gioseppe Fundatore delle Scuole Pie e l’haveva detto tante belle cose del Paradiso, che lui teneva p cosa sicura quando moriria questo Padre, che doveva far miracoli e p devotione l’haveva levato il berrettino da capo senza che se n’accorgesse, quale voleva tenere p Reliquia p sua devotione.
239.Sentendo questo la Socera di Geronimo Scaglia li rispose che se questo Servo di Dio morisse si saria raccomandata a lui acciò sanasse del suo male giache non haveva potuto trovar rimedio humano in terra, s’haveria raccomandata a lui acciò l’impetrasse dal Sig.re la salute.
Pativa questa donna dolori friggidi nelle braccia in tal maniera che la moglie di Scaglia sua figlia l’aiutava a vestire e pranzare. Li medici l’ordinarono che si facesse fare un paro di maniche di scarlatto forrate di pelle di volpe, acciò si mantenesse i bracci caldi, che cossì saria stata meglio, doppo molti altri rimedii, mà più presto andava peggiorando. La matina delli 26 d’Agosto 1648 tornò a Casa Gio:Battista Pallotta, e raccontò alle dette Donne, che già era morto il P.Fundatore delle Scuole Pie et era esposto nella Chiesa di S.Pantaleo, vi era una moltitudine di Popolo, faceva miracoli, e non vi haveva potuto entrare, e la voce correva p Roma che faceva miracoli p tutti correvano alla Chiesa di S.Pantaleo.
240.Sentendo ciò la donna inferma cioè la socera di Geronimo Scaglia dise alle due sue figlie, che voleva andare a S.Pantaleo a chiedere gratia a quel P acciò l’impetri p li suoi meriti dal Sig.re la sanità havendo certa fede e speranza che gliela haveria impetrata; la dissuadevano le figlie a non andarvi all’hora acciò tra la moltitudine delle genti non cascasse, e non si potesse aiutare.
Non fù possibile poterla persuadere, si fece mettere due testoni in saccoccia dalla figlia magiore, moglie di Giacomo Scaglia p darli p elemosina alli Padri di S.Pantaleo e giunta con un’altra donna a S.Pantaleo, si mise dentro quella moltitudine di gente e a poco a poco penetrò al Cataletto dove stava esposto il Corpo del P.Giuseppe, cominciò a fare oratione, e bagnando i piedi con lagrime gieli bagiò cercandoli la sanità, et in un subito si sentì sana delle braccia, come se mai havesse havuta infermità nessuna, li bagiò le mani e con allegrezza se n’andò a far oratione al Sant.mo Sacramento, stava osservando di parlar a qualche Padre e darli l’elemosina /e raccontarli il fatto/ , mà pche erano tutti sottosopra, non potè mai haver nessuno et inspirata da Dio uscì fuora dalla Porta maggiore della Chiesa e disse a quella Donna che l’accompagnava che se n’andasse a Piazza Navona o vero a Piazza Madama e comprasse due testoni di fiori di qualsivoglia sorte, e gliele portasse, che facesse presto che la stava attendendo fuora della Porta della Chiesa.
241.Andò la Donna e comprò una quantità di fiori come Gelsomini e Rose, et altri fiori in tanta quantità che se ne empì il zinale, tornata trovò la Donna, che l’aspettava, e presi i fiori dentro il suo zinale con allegrezza grande pian piano entrò di nuovo dove stava il Cataletto, e buttò quei fiori sul corpo in tanta quantità, che coperse tutto, e poi senza far altro se n’uscì fuor della Chiesa, e sana e libera allegramente se ne tornò a Casa raccontando a chi trovava sua conoscente la gratia che haveva ricevuta p l’intercessione del P.Gioseppe. Cagionò tal confusione nella Chiesa il buttar di quei fiori sopra il Corpo, che ognuno ne prendeva p sua devotione, e li portava via, e si teneva beato, che n’haveva potuto prender p haver toccato il Corpo del P.Gioseppe.
242.Fù fatta diligenza chi fusse stata quella Donna che haveva butato i fiori, e mai si potè sapere pche nessuno la conosceva, e di già era partita. Tra l’altre Sig.re che stavano vicino al Corpo del P furono la Sig.ra D.Maria Spinola Marchesa Raggi Genovese e la Sig.ra Violante Raimondi della Rovere di Savona, Dame veramente di grand.ma pietà e bontà di vita, le quali erano Penitenti del P.Castiglia, che non vollero partir della Chiesa sino che venne un accidente, che furono serrate le porte dalli sbirri come si dirà altrove.
Queste due Sig.re viddero buttar i fiori da una Donna di tempo, mà che uscì con tanta prestezza dal Circolo, che non fù vista mai più e queste due Sig.re testificavano non esser stata cosa humana mà miracolosa, perche i fiori furono in tanta quantità, ch’era cosa incredibile potersi trovare, tanto più che qlla Donna, che li buttò parve invisibile, ne mai se ne potè trovar nessuna nuova che fusse stata con haver fatte esquisite diligenze.
243.Poi dell’Anno credo che fusse 1665 che non mi raccordo bene, mà è scritta la giornata, il mese e l’anno nel libro che restò in Roma, accidentalmente andai a trovar la moglie di Girolamo Scaglia per farli fare un esquisito Ritratto del nostro V.P. Fundatore, essendo Pittrice eccellente p mandarlo in Spagna. Questa donna mi raccontò il successo della madre, e che lei fù quella che buttò i fiori sopra al P., siche Iddio, che ha detto nell’evangelio, che nihil occultum quod non reveletur, lo volle palesare alli diciasette anni in circa, che mai s’era potuto sapere.
Quello che operassero questi fiori, le meraviglie e gratie grandi sono scritte in un altro libro fatto da me, che dell’anno 1660 lasciai a Chieti delli miracoli e gratie fatte dal P., qual libro m’è venuto qui oggi /oggi che siamo alli 4 di maggio 1673/ da Chieti, mandatomi dal P.Angelo di S.Domenico Rettore di quella Casa, dal quale si puol vedere, quanto hanno operato che spero metterne qualche d’uno a suo luogo.
244.La notte delli 20 d’Agosto toccò a me star in Compagnia del P p. aiutarlo e servirlo a quel che bisognava, cominciò a discorrer meco di varie cose di spirito, che non si lasciasse mai l’oratione mentale pche dalle primitie della matina che s’offeriscono a Dio nascono tutte le buone operationi del giorno, et un Religioso senza oratione è giusto come un soldato che (va) alla guerra senza l’armi difensive.
Ma non basta solo ad andar all’oratione, vi vuole prima l’humiltà ch’è il principio dell’oratione conoscendo il suo niente, e che ivi star per volontaria ubbidienza come un giomento legato alla stalla aspettando dal Padrone un poco di refettione di paglia, et allora influisce lo Spirito Santo i buoni et ottimi pensieri p cavar frutto dalla meditatione, del che si sono visti fratelli cercanti con queste propositioni far tanto frutto nello spirito, e modestia che ancor che andassero assorti nelli loro esercitii di proveder la Casa portavano assai più di quello che pensavo p contentamento delli Padri, et far la Carità a poverelli.
245.Uno di questi fù il fratel Lodovico fornaro che non sapendo ne leggere ne scrivere al punto della morte sfidò tutti i Demonii dell’Inferno a venir a disputar con lui de Angelis, et de Trinitate, che faceva stupir tutti che furon presenti, e tutto l’haveva imparato dalla continua meditatione et oratione, e Io tengo p cosa sicura esser andato a goder la Gloria di Beati in Paradiso, che piaccia a S.D.M. che Io vada nel luogo dove sta questo fratello cossì semplice, che con la sua semplicità al Novitiato di Monte Cavallo successe, che una matina p.ma di sonare l’oratione haveva impastato il pane, pose fuoco al forno, et in questo mentre sonò l’oratione; lasciò ogni cosa come stava e corse all’oratorio all’oratione, passavano l’altri Novitii davanti la Cucina dove era il forno, che pensavano, che s’abruggiasse la Cucina, sentirono, che vi erano alcuni che parlavano, e pciò non dissero cosa alcuna al P.Pietro della Natività della Vergine, acciò mandasse a vedere p non andar a fuoco tutta la Casa, fratanto si fece l’oratione, il fratel Lodovico non partì mai dall’oratorio se non doppo finita l’oratione.
246.Tornato in Cucina trovò il pane benissimo cotto, che stava dentro il forno senza saper chi l’havesse infornato il pane ne chi havesse purgato il forno. Stupito di ciò conferì il tutto al P.Pietro Maestro de Novitii, il quale lo cominciò a mortificare dicendoli, che ne dica la sua colpa in publico Refettorio, perche era un superbo, e balordo pche era stato pericolo d’andar a fuoco tutto il Novitiato. Andati in Refettorio il fratel Lodovico andò in mezzo ingenocchioni e disse la sua colpa d’haver lasciato il forno acceso, che s’era scordato p esser andato all’oratione con pericolo grande, che non s’attaccasse il fuoco a tutta la Casa, che lui era un smemorato, che ne li dasse la penitenza.
247.Domandò il P.Pietro se nessuno dei Novitii nel passare dalla Cucina havessero visto acceso il fuoco, si levarono in piedi alcuni e dissero haver vista tutta la Cucina piena di fuoco, mà che vi sentirono parlar alcuni p non romper il silenzio non havevano detto altro pche anche pensavano che quelli che parlavano in Cucina fussero andati a smorzar il fuoco, et interrogato il fratel Lodovico se sapeva chi era stato in Cucina mentre si faceva l’oratione, con semplicità grande li rispose che lui non sapeva altro, che essendo stato chiamato dalla Campanella p andar all’oratione, era corso all’oratione raccomandando il tutto al suo Angelo Custode fratanto ritornava doppo letta la meditatione p andar a purgar il forno, et infornar il pane, se n’era scordato e nel ritorno in Cucina trovò il pane dentro al forno, che già era benissimo cotto, e non sapeva, chi l’havesse fatta quella Carità, ne haveva data la cura ad altri.
Sentendo ciò il P.Pietro lo cominciò a mortificare dicendoli fratellino voi non fate altro che danno in Casa, sete superbo, non fate le cose con l’ubidienza, andate pure dal P.Generale, che ve ne dia lui la penitenza, che Io non mi curo più di voi, che con le vostre ipocrisie scandalizzate tutti questi figlioli, che restano ammirati.
248.Diceva questo il P.Pietro per tenerlo basso e mortificato, mà come che lui haveva fatto profitto nelle virtù accettò con grand.ma humiltà la mortificatione dicendo che haveva raggione, e non sapeva far altro che danno.
Venne poi fratel Lodovico a S.Pantaleo a cercar la sua mortificatione della trascuragine usata, et interrogatolo del tutto con la sua solita santa semplicità, raccontò il tutto; li feci una solenne ripassata, e lo mandai via carico d’ingiuriose parole, che andasse alla buon hora, facesse la disciplina in Refettorio e bagiasse i piedi a tutti, cercandoli perdono del scandalo, che l’haveva dato, che p la trascuragine sua e poco cervello haveva posto in pericolo d’abrugiar tutta la Casa. Il tutto eseguì prontamente con ogni puntualità.
249.Quanto poi all’ubidienza et osservanza puntualmente delle Costitutioni habiamo havuti huomini di grand.mo Spirito, e si puol dir con le lettere la santità, il p.mo il P.Abbe, il 2º il P.Viviano; 3º P.Giacomo di S.Paulo, 4º P.Paulo Ottonelli; 5º Ottavio di S.Zaccaria, 6º P.Bartolomeo di S.Fra.co Egidio, P.Pietro della Natività dalla Vergine, P.Pellegrino, che nella patienza si puol annoverar con Giobbe massime nella sua ultima Infermità, e molti altri Padri e Fratelli, che tengo di certo che siano in Paradiso, mentre che erano dati tutti all’oratione, osservanza delle Costitutioni, e grand.mi zelanti dell’Instituto.
Mi parve che era stanco nel discorrere, e li domandai se voleva un poco d’acqua fresca p sciaquarsi e rinfrescar la bocca.
Mi rispose che se li facevo la Carità a prenderne un poco dalla fontana fresca, che si sentiva arder il palato.
Subito calai abasso nel cortile presi una brochetta d’acqua e tornai dal P e pche era un caldo grande andai scalzo, tornai pian piano acciò non li dasse fastidio, siche quando senza far nessun rumore, mi domandò s’havevo le scarpe o vero le pianelle, e rispostoli che p il caldo ero andato scalzo mi cominciò soavemente a dire. Figliolo non fate più questo, mettetevi le scarpe acciò non vi ammalate, essendo l’umidità dannosa del cortile, massime la notte p esser aria colata e non è bene che nessuno patisca p me, che con tutto che son vostro Padre ho sempre preteso esser servo di tutti.
250.Sciaquato che si fù a canaletto come ho detto di sopra, mi ringratiò della carità usatali, che mi mettese a riposar un poco, che havevo patito p lui tante notti in aiutarlo e farli la Carità.
Mi posi appogiato al tavolino, mà non dormivo, si quietò un poco e poi cominciò a discorrere come se parlasse con qualche persona, ma non potei mai sentir bene quel che si dicesse ne chi li rispondeva, ma lo si batteva il petto e da quando in quando faceva atti d’humiltà dicendo ch’era da poco, e da niente, e non meritava altro p i suoi peccati che l’Inferno, che p la sua infinita Misericordia et intercessione sperava il perdono, durò questo discorso più d’un ora, ma sentendo Io che molto s’affligeva p l’arsura della febre mi levai in piedi e li domandai se voleva rinfrescarsi con un poco d’acqua fresca.
Mi rispose che se li voleva far la Carità l’haveria havuto a caro, mà non andate scalzo che potresti dar di piede a qualche cosa e farvi qualche male, come mi feci Io l’ultima volta, che uscì di casa quando andai a visitar il S.mo Salvatore.

[251-300]

251.Quindici giorni prima che s’ammalasse volle andare a visitare e pigliar l’indulgenza del Santi.mo Salvatore tra la piazza Madama e S.Luigi de Francesi, dove sono tutte l’Indulgenze, che sono in tutta Roma, fù questo li 21 hora, accaso passò il P.Angelo di S.Domenico lucchese che andava abasso, lo chiamò e li disse se voleva andar seco a pigliar l’indulgenze al Salvatore pche il fratel Agabito suo Compagno l’haveva mandato fuora a far non so che e voleva lui acciò andassero pian piano pche non vedeva p la strada p non urtare in qualche cantone.
Subito il P.Angelo si prese il Cappello e mantello, calò abasso e li disse che poteva portar un bastoncino acciò si potesse appogiare, o vero si metesse l’occhiali acciò vi potesse veder meglio. Li rispose che mai haveva usato bastone, e l’occhiali non li servivano, che andassero che non si curava d’altro.
252.Usciti di Casa dissero l’oratione solita dell’itinerario raccomandandosi al suo Angelo Custode, s’avviarono p la strada della Sapienza non volendo passar p Piazza Navona, giunsero nella Chiesa del Salvatore, dove il P. stiede un pezzo ingenocchioni, e fece molte devotioni come se si volesse licenziare, che fusse l’ultima volta che l’andava a visitare come spesso haveva fatto in tanti Anni ch’era vissuto in Roma.
Finita la sua oratione fece una profondissima riverenza alla Santa Immagine, e poi andò a bagiar la Colonna de Martiri ch’è di molta devotione.
Usciti dalla Chiesa s’incaminarono p tornar a Casa e quando furono vicini a S.Giacomo delli Spagnoli alla porta dell’ospedale urtò ad un sasso, e si fece male al dito grosso del piede dritto, che mancò poco che non li saltasse l’ugna da posto , n’uscì una quantità di sangue, et il P.Angelo al meglio che potè vi legò un straccio, e tutto mortificato chiese perdono al P. che non haveva avertito et era stato suo mancamento con tali parole che piangeva.
253.Il P sentendo ciò lo cominciò a consolare dicendoli, che non era niente a quel che meritava che cossì permetteva Dio p i suoi peccati, e che il fratel Paulo n’havrebbe rimediato.
Giunti a Casa si sparse subito la voce, che il P. era caduto e s’haveva fatto male al piede e discessimo tutti dabasso p vedere il successo, trovamo il P. assentato alla sua sedia, e domandatoli del caso rispose a me che non era altrimenti cascato, ma urtato ad una pietra, che s’era fatto un poco di male, non era cosa di consideratione et il povero P. Angelo stava mortificato come una gallina bagnata pche chi li diceva una cosa, e chi un altra; sichè il P cominciò a prender le sue parti, dicendo che cossì haveva pmesso Dio, non era niente, che si chiamasse il fratel Paulo, che con i suoi medicamenti haveria dato rimedio a tutto, che andassimo alla buon hora a far i nostri esercitii alli scolari e li faccessimo bene.
Fù chiamato il fratel Paulo di S.Gio:Battista Genovese spetiale, e vista la ferita li disse che non era cosa grave, mà ch’era bene che stasse a ripos o acciò non concorresse la materia nel piede.
254.Li rispose che non si voleva metter al letto p quella cosa, che mentre Dio l’haveva dato quel merito, era bene a cavarne fruto, come fece S.Carlo Borromeo, che mentra andava in una processione p Milano p placar l’ira Divina della pestilenza, diede di piede ad una ferrata, si fece tanto male che p la strada non fece altro, che scorrer sangue, non per questo lasciò di proseguir il suo viaggio della sua devotione ne meno si legge nella sua vita che vi concorresse materia alcuna che a paragone di quella questa non è nulla.
Lo medicò due giorni, e poi fù del tutto libero, ne mai andò zoppo, ne lasciò mai le sue soliti esercitii spirituali, e dir la messa.
Questo fù l’accidente, che esortò me ad andar a prender l’acqua che vada abasso con le scarpe, come dissi di sopra, ho voluto stendermi in questo p far vedere la gran Carità del P. ancor che in quel stato accossì male.
Li portai l’acqua, e sciaquatosi la bocca, mi fece metter l’acqua nella catinella, e vi pose le mani p rinfrescarle p il che tutto restò consolato, e dissemi, che vedesse dormir un poco, che voleva veder di prender un poco di sonno, che se ne sentiva di bisogno.
255.Mi mise di nuovo al tavolino, e fingendo di dormire, lui ancora mi parve che stasse quieto, mà non passò un poco che disse il Confiteor e fece un atto di contritione, cercando perdono a Dio de suoi peccati, si raccomandò alla Beati.ma Vergine dicendo, che l’haveva servito tanti anni, che l’aiutasse come haveva fatto in tanti suoi gravi bisogni.
Disse poi il salmo Nunc dimittis servum tuum Domine secundum verbum tuum in pace quia viderunt oculi miei, e finito il salmo stiede un pezzo discorrendo, mà non potei sentir quel che si dicesse, che pareva che discorresse con un’altra persona, m’adormentai et dormii sino all’alba, et anco lui mi parve che dormisse. Non li volli dar fastidio sinche si levò il fratel Agabito, che fece rumore, all’ora mi chiamò dicendomi che prendessi un poco d’acqua fresca che si voleva rinfrescare; rinfrescato che fù lo dimandai come si sentisse, mi rispose, che si sentiva bene, che solo li dava fastidio l’arsura della febre, che haveva riposato un poco, et al meglio l’haveva svegliato il fratel Agabito.
256.Pareva che tutto stasse contento et allegro senza sapersi la ragione. Vennero il P.Vincenzo della Concettione et il P.Angelo di S.Domenico, e vistolo cossì allegro e domandatolo s’haveva bisogno di qualche cosa, li rispose che non haveva bisogno di cosa nessuna, che solo facessero oratione p lui, acciò si sappia conformar con la Voluntà Divina della cui mano dipende il tutto, che facessero chiamar il P.D.Constantino Palamolla, che li voleva conferire un suo pensiero.
Fratanto vennero il P.Francesco della Purificatione già suo Assistente dal Novitiato di Borgo, et il P.Camillo di S.Gerolamo Rettore del Collegio Nazareno, i quali vedendolo cossì allegro e sollevato cominciarono a discorrer seco di varie cose e lui sempre rispondeva, che facessero oratione p lui.
Venne il P.D. Constantino, si serrarono assiemi senza sapersi di che cosa discorrevano, ma poi si seppe il tutto da lui med.mo pche venne il P.Castiglia suo Confessore, lo cominciò a dimandar come si sentisse, li rispose che stava bene e contento; il P.D.Costantino li cominciò a dire, che stassero allegramente, che il P. stava allegro, e stava meglio assai di quel ch’era stato due giorni sono.
257.Il P.Francesco della Purificatione disse: Padre, ci dica qualche cosa acciò chiamandoli Dio in Paradiso prega il Sig.re p la Religione, che sa in che stato la lascia.
Rispose il P. liberamente che quel che doveva dirli era, che stassero uniti assiemi pche la Madonna dei Monti nostra Madre, questa notte l’haveva detto che l’haveria aiutati, e facendoli gratia il Sr. che vada in Paradiso, non si scordava di loro.
Questo discorso fù in presenza del P.D.Constantino Palamolla, P.Francesco della Purificatione, P. Gio: di Giesù Maria detto il P.Castiglia, P. Vincenzo della Concettione, P.Camillo di S.Gerolamo, P. Angelo di S.Domenico, P.Gio:Carlo di S.Barbara e fratel Agabito della Nuntiata .
Del che poi dichiarò il tutto il P.D.Constantino Palamolla haverli conferito lungamente che haveva ferma speranza, che passariano le persecutioni, mentre che la Madonna de Monti s’era apparsa e dettoli che haveria aiutati suoi Figlioli..
258.Ripigliò poi il P. Vincenzo dicendo, che haveva detto a lui, che siano tutti devoti della Madonna, e lo scrivesse a tutti da sua parte, che siano devoti delal Beatis.ma Vergine e che dicessero il Rosario, e precipue i Cinque Misterii dolorosi che la Madonna l’haveria aiutati come l’haveva promesso, del che tutti restassimo ammirati della fede grande, che haveva il P. Fundatore, che stando tutti d’accordo e facendo l’Instituto come si deve la Beati.ma Vergine l’haveria aiutati, questo fù alli 21 d’Agosto 1648.
Per comprobare queste promesse dette a bocca della speranza, si trova anco scritta una lettera originale nell’Archivio della Casa di Chieti di sua mano, la qual lettera la fece copiare il P.Angelo dal suo proprio originale con l’altre, che sono in tutto numero settanta otto di tutte ne fece far copie e mi li mandò havendonele fatto instanza più volte p agiungerle al mio libro dell’altre lettere raccolte, e vennero in Napoli a di 4 di maggio 1672, e questa è la 72 di quelle venute da Chieti come si puol vedere dal med.mo libro autenticato di mano del medesimo P.Angelo di S.Domenico Rettore di quella Casa.
259.Dice la lettera in questa maniera: Alli R.P.i e fratelli delle Scuole Pie, p. Aquila p Chieti. Dentro dice: Pax xpi. Essendo questa sera publicato il Breve di Nostro Sig.re, il contenuto del quale potranno vedere nell’incluso viglietto, se ne dà parte alle Reverenzie Vostre acciò sappiano come passano le cose della Religione. Non però manchino di seguitare allegramente l’Instituto, e di star uniti in pace, sperando che Dio rimediarà ad ogni cosa che è quanto m’occorre. Roma 17 di marzo 1646. Servo nel Sr. Giuseppe della Mre di Dio. Della quale lettera si vede chiaramente che più di due Anni prima di morire haveva ferma speranza, che le cose della Religione non dovevano star in quella maniera, che stando uniti il Sr. l’haveria aiutati, e che seguitassero a tirar avanti allegramente l’Instituto, e non dubitassero come poi fù comprobato con l’apparitione della B.ma Vergine, come il med.mo P disse chiaramente alli sudetti Padri, che ne restarono con qualche speranza.
260.Si sparse questa voce per la casa, e p conseguenza ancora fuor di Casa, mà non da tutti era creduta, massime da quelli che havevano il stomaco et il palato guasto perche dicevano che il P. era assai vecchio, e la febre li dava in testa pche era il desiderio delle pene che l’erano restate delle fatiche fatte p haver fundata la Religione; ma quelli che havevano amore alla sua Madre credevano ad ogni parola che diceva il P perche sapevano che haveva il Spirito di Dio, e più si confermavano nelli buoni proponimenti, che pª volevano morire che lasciar l’habito, et abbandonar la Religione, come l’altri pensavano di fare, che volevano veder prima destrutta affatto la Religione e poi andarsene via.
261.Fù assai il concorso delle persone che lo vennero a vedere non solo quelli che lo conoscevano, mà anco molte persone pie, e particolarmente Religiosi, et in specie il P.D.Tomaso del Bene Teatino, suo antico Amico, che venne con il P: Pasqualigo suo Compagno, la bontà della vita di questi due PP. Teatini è nota a tutto il mondo. Con il quale si trattennero longamente discorrendo sempre di cose di spirito, et alla fine si licenziarono con pregarlo che li benedicesse e pregasse Dio p loro in Paradiso, che loro haveriano fatto il medesimo con tutti i loro Padri Teatini di S.Andrea della Valle acciò il Sig.re l’aiuta, e li dia fortezza nell’angustie, che si trovava tormentato dall’ardentissima febre.
Il P. li rispose pregate il Sr. per me che mi conceda forze di poter far quelli atti di vero Christiano, e mi sappi conformar con la Divina Voluntà, et il medesimo ci benedica tutti, acciò possiamo caminar avanti la Perfettione Religiosa. Alzò la mano e li bendisse, che per tenerezza di quei buoni Padri li grondavano le lagrime dall’occhii, che perdevano uno che tanti Anni havevano conosciuto.
262.Non fù minore la visita fatta al nostro V.P. Fundatore dal P. Fra Luca Gundingo Hibernese, Minor osservate di S.Francesco, che p tutta Roma era tenuto p un gran Servo di Dio, e per sopra nome lo chiamavano il P.Luca di S.Isidoro, pche haveva fundato un Convento della sua Religione p mettervi il studio dell’Hibernesi da fondamenti con grandissima meraviglia di tutta Roma senza haver un minimo quadrino con il suo esempio e bonta della vita fece una fabrica come si vede et un studio delli frati della sua natione Hibernese, che sono specchio del Christanesimo in Hibernia. E p esser questo Padre in molte Congregationi, non li mancavano quasi mai Cardinali, che andassero a discorrere con lui e prender i suoi pareri e consegli. Questo P ha mandato in luce molte opere, a mè me ne diede un corpo p carità con tanta affabilità et amore, che se fusse stato il nostro med.mo Padre p l’affetto che haveva al nostro V.P. quando era vivo, che sempre vi andava a visitarlo, e non si satiava mai di dir bene delle virtù e patienza del nostro P massime delli Travagli passati nel tempo delle persecutioni fatteli dal P.Mario di S.Fra.co, che p esser lui Consultor del S.Ufficio, mai haveva sentito che s’havesse giustificato con tutto, che havesse havuti tanti aggravii, dal che lui conosceva le virtù e perfettione del nostro P e di ciò più volte n’ha discorso a lungo meco.
263.Di questo gran Servo di Dio fra Luca il dirne assai è sempre poco pche alla sua morte diede quel saggio a tutta Roma come publicamente si vedde: che è meglio a passarne Io con silenzio, che parlarne, mà parlano le sue opere p tutti i secoli, ho posto queste quattro parole solo p far vedere con chi haveva famigliarità il nostro Padre.
Quando il nostro P. Fundatore vidde il P. fra Luca hebbe tanta allegrezza, che pareva non capisse in se; cominciò il P. Luca a dimandarli dell’infermità, come si sentiva, e che cosa pareva a lui che stasse.
264.Li raccontò come Iddio quando li medici l’havevano visitato che Dio haveva permesso che non conoscessero la sua infermità, che lui si sentiva assai sollevato e maggiormente adesso che haveva visto lui e da qui prese motivo, che sarà il goder p una eternità il Paradiso se p un momento ci rallegriamo di veder un Amico in questa vita, del che il P.Luca attaccò un discorso della gloria del Paradiso e del eternità et il nostro Padre tutto gioiva p sentir questi sensi, che stiedero un pezzo discorrendo di queste materie con scambievole satisfatione, onde il P. Luca intese che veniva il P. Candido Maestro del Sacro Palazzo a visitar il P si licenziò con raccomandarsi alle sue orationi et (in) ogni maniera li volle bagiar la mano e li dasse la sua beneditione, e che si raccordasse di lui quando era in Paradiso.
Il P rispose che facesse oratione p lui con i suoi frati acciò si sappi conformar con la volontà Divina, che lui non era meritevole del Paradiso, mà sperava nella misericordia di Dio, et al sangue sparso da Giesù Christo p lui, di goder quell’eternità, che l’haveva lungamente discorso, che voluntieri si saria raccordato.
265.Uscito il P.Luca s’incontrò con il P.Maestro del Sacro Palazzo Candido all’oratorio nostro, che stava avanti la stanza del nostro V. Padre e cominciarono a discorrere della patienza et bontà del P et il P. Luca sogiunse che p li discorsi che havevano fatti con il P.Gioseppe haveva compreso esser divenuto nel stato dell’Innocenza pche in tanti Anni, che l’haveva praticato mai l’haveva sentito discorrere con tanta semplicità come se fusse un Bambino.
Avertito di ciò il P.Maestro Candido entrò dal P con grand.ma allegrezza et il P lo prese p la mano dicendoli che favori son questi, che l’era venuto a vedere non meritando tanto honore, e si bene la loro Amicitia era stata tanto antica, non era solito, che il Maestro del Sacro Palazzo del Papa vada a visitar un povero miserabile come era lui.
Li rispose il P.Maestro Candido, che l’antica amicitia che havevano havuto assiemi di quaranta e più Anni era cosa giusta di venirlo a vedere, mentre che stava male, come lui era obligato, p il che li due buoni vecchi cominciarono a far una mano d’atti d’humiltà, chi più si poteva disprezzare.
266.Cominciarono a discorrere di varie cose dell’accidenti del mondo, et in particolare del P.Rodolfo già Generale de Padri Domenicani, della sua patienza ne travagli, che essendo stato Generale d’una Religione cossì cospicua n’era stato privato senza sua colpa p dar gusto ad alcuni, et haveva accettata quella mortificatione, come se l’havesse ricevuto dalla mano di Dio con tanto suo merito, senza mai difendersi. Tutto questo discorso nacque pche il P. nostro Fundatore domandò il P.Maestro Candido come stava il P.Rodolfo, onde il P.Candido cominciò a dire che piacesse a Dio, che non fusse successa quella persecutione al P.Rodolfo poiche le guerre civili son quelle che destrussero la Republica Romana, et inducono non solo disturbi nelle Religioni ma cose licenziose con detrimento delle Religioni, massime quando vi sono fattioni che ognuno s’attacca alla via larga, massime di quelli che hanno pretensioni, che non guardano al publico per aderire alle proprie passioni e con questo soprastano a quelli che vogliono il bene della Religione, et i megliori sono mortificati p mezzo di favori come era successo al P.Rodolfo che con tutto che haveva quasi tutta la Religione in suo favore, per la potenza della parte contraria del P.Mazzarini, n’era stato mortificato il P.Rodolfo sotto varii pretesti con disturbo di tutta la Religione; ma lui con modestia e patienza haveva supportato il tutto sintanto che Iddio ha provisto con la sua Santa gratia.
267.Tale è stata la persecutione di V.P., che essendo stata mortificata cossì Lei come tutta la Religione non ha mai voluto difensarsi ne dire una minima parola al meno per difendere la sua Religione. Li rispose il P. che lui meritava assai peggio p i suoi peccati, mà che tutta era stata permissione Divina acciò conosciamo noi stessi, si bene Dio sà cavare da ogni male il bene, e con tutto che lui s’era adoprato come Instrumento a far bene a Poverelli d’insegnarli le cose necessarie della fede con allettarli con le lettere haveva ferma speranza all’innocenza di quei poveri bambini, della quale il Sr. si diletta, che haveria aiutata l’opera protetta sempre da S.D.M. e dalla Beati.ma Vergine Protettrice dell’Instituto, alla quale sempre era ricorso nelle passate tribulationi da quando fu fondata la p.ma Congregatione a tempo di Clemente ottavo e Paolo quinto, come del tutto la Paternitrà Vostra Rev.ma è informato.
268.Ricorrendo all’orationi delli scolari picccolini innocenti del tutto Iddio ha cavato la gloria sua p beneficio dell’Instituto, anzi a tempo di Paulo quinto quando mi venne una rigorosa e secreta Visita di Cardinali, tanto p le Scuole quanto per me e tutti i Padri, senza che potessimo sapere il fine del Papa, fù conosciuto essere stata instigatione del Demonio ad alcuni pochi amorevoli, fù conosciuta la verità evangelica con che maggiormente fù stabilito l’Instituto con haver guadagnati molti ottimi sogetti, p il che il medesimo Pontefice stabilì maggiormente la Congregatione dandoli forma e volendo che si chiamasse Paolina del suo nome. Siche Io non ho mai parlato p che son sicuro, che se l’opera nostra è buona lui la defenderà come ho speranza certa, e sebene vi sono stati molti fiacchi che hanno lasciato il nostro habito con molte tentationi a quelli che son perseverati con tutto ciò ancora non è stata lasciata nessuna Casa, che Dio miracolosamente l’ha mantenute p sua misericordia.
269.Fù lungo questo discorso che tutto ridondava a gloria di Dio, e da tutto sapeva cavar bene, e quando le cose più parevano disperate, allora si stabilivano e rilucevano più che mai, come chiaramente si vede che a noi è successo, poiche da tanti travagli e guai havuti dalla Religione alla fine fù maggiormente stabilita a tempo d’Alessandro Settimo che li restituì il Generale, Assistenti e Provinciali, mà poi Reintegrata miraculosamente da Papa Clemente Nono a tempo che haveva destrutte tre altre Religioni, e confermata da Papa Clemente Decimo con occasione d’un altro disturbo doppo la reintegratione cossì permesso da Dio p beneficio della Religione.
270.Entrò poi il P.Candido in altri discorsi di spirito et humiltà, che lui era stato tanti anni alla Religione, et haveva havute tante cariche, e non haveva mai saputo cavar frutto e profitto per l’Anima sua essendo già vecchio e decrepito l’è necessario a portar un peso cossì grande dell’ufficio del Mastro di Sacro Palazzo, lo vorrei renuntiare perche veramente mi sento inhabile a poterlo più sostenere e se bene ho i miei compagni habili ad aiutarmi con tutto ciò ho qualche scrupolo di non poter far quelle fatighe che facevo p.ma, ho in particolare il P.Maestro Raimondo Capozucchi, che fatica voluntieri e mi riesce assai diligente e studioso, che spero con il suo aiuto tirar avanti un altro poco, e poi rinunciar l’ufficio in mano del Papa pche queste sono fatiche da giovani, e non da vecchi decrepiti come son Io, del che vorrei sapere il suo parere.
271. Li replicò il Padre Fundatore, che il suo parere era che non lo rinunciasse, et era vero che erano fatiche sopra le sue forze ma mentre haveva compagni habili ad aiutarlo, e se ne poteva fidare, che basta ad haver l’occhi in qualche cosa pche era gran servitio di Dio, et il lasciarlo non si sapeva in che mani poteva cadere, che mentre Dio haveva eletto lui, che tirasse pur avanti, che lui conosceva benissimo il P. Capozucchi, da quando era figliolo, che spesso veniva dal P.Pietro della Natività della Vergine suo Compagno e primo suo Assistente, che sempre li diceva, che il Capozucchi doveva far una gran riuscita p esser di grand’ingegno sollevato, quando morì il P.Pietro fù fatta intanza al P. Capozucchi, da un de nostri Padri, che voleva far intagliare un certo Breve che soleva far lui con la penna, andò p la licenza dal P. Capozucchi di poterlo far intagliare in un Rame, e non solo li diede la licenza mà li diede il titolo di Venerabile, ricordandosi chi era il P.Pietro, che a me fù di grand.ma consolatione e si bene questo P è giovane con il suo aiuto haveria fatto assai e con il tempo li poteva succedere all’ufficio, che oltre all’esser di grande Ingegno, era ancora di famiglia Nobile Romana, e tutti i suoi son stati di gran bontà di vita.
272.Restò molto consolato il P.Maestro Candido a questa consulta del P.Gioseppe, e li rispose che haveria seguitato il suo parere, mentre che conosceva esser quella la Voluntà Divina; lo pregò che lo tenesse raccomandato alle sue orationi et arrivederci a Dio piacendo in Paradiso.
Dio ce ne facci degni, li rispose il P., p sua infinita misericordia et abbraciandosi caramente si licenziò p esser l’ora tardi e doveva andar a piedi alla sua stanza di Monte Cavallo. Tutto questo discorso fù in presenza mia p esser Io all’assistenza del languente nostro Padre infermo, questo fù alli 21 d’Agosto.
Non voglio lasciar di dire gli effetti di questo discorso, poiche essendo morto il nostro P.Fundatore fù fatta un Oratione funerale in sua lode, che contiene quasi un compendio della sua Vita dal P.Camillo di S.Gerolamo Rettore del Collegio Nazareno con meraviglioso artificio et eloquenza, che p non perdersene la memoria parve bene ai Padri, che fusse stampata. Onde il P.Camillo diede a me l’incumbenza come che conoscevo il P.Maestro Candido et il P. Capozucchi, che la portassi a rivedere p haverne la licenza acciò fusse stampata.
273.Andai a Monte Cavallo, et trovai, che il P.Candido era andato alla Madonna degli Angeli alle Terme Convento de Padri Certosini, et il P. Capozucchi non era in Casa.
M’avviai verso la Madonna degli Angioli forse lo trovavamo per la strada p parlarli, e giunto nel Convento domandai il Portinaro de Padri Certosini, se ivi era il P.Candido Maestro del Sacro Palazzo.
Mi fù risposto, che passeggiava solo nel chiostro grande di dentro, dove era solito di trattenersi sino al tardi, che se li voleva parlare m’haveria accompagnato.
Accettai l’offerta del Religioso Portinaro, et entrati dentro il Chiostro vidi che il P.Candido spasseggiava lentamente come se fusse assorto, per il che il portinaro et il mio Compagno mi disse, che non li pareva bene darli fastidio e trattarli in quel luogo di negotii, pche andava ivi p fare le sue devotioni senza disturbo, che potevamo poi altra volta andar a trovarlo alle sue stanze.
274.Mi parve conveniente la proposta, e cossì ritornassimo alle stanze del P.Maestro per vedere se fusse tornato il P. Capozucchi e lui medesimo venne ad aprir la porta e domandatomi che cosa volevo, li esposi che un nostro P haveva fatta un oratione funerale p la morte del P. Fundatore, che la volevamo stampare, e l’havevo portata acciò ci facesse gratia rivederla quando li fusse comodo e darci la licenza.
Mi rispose che voluntieri l’haveria vista e letta con il P.Maestro e con l’altri Compagni, che fussi andato fra due giorni a pigliarla pche il P.Fundatore meritava non solo quell’honore, mà altri maggiori essendo note le sue virtù a tutto il mondo, pche già sappiamo quanto è successo, et Iddio ha permesso scoprir le sue virtù e castigare chi l’haveva perseguitato.
Passati li due giorni tornai dal P. Capozucchi p haver la risposta, s’haveva vista l’oratione, e mi rispose che la medesima sera con grandissimo gusto l’haveva letta al P.Candido et all’altri due suoi Compagni; la quale era bellissima, e si poteva stampare, prese la penna e vi fece Imprimatur.
La portai al P.Camillo, acciò la facesse stampare, il quale la diede a rivedere al P.Gio: Battista di S.Tecla Romano huomo eruditissimo, massime nella Rettorica e poesia.
275.Queso P giunse due righe al frontespitio dell’oratione con grand.ma semplicità doppo che fù fatto dal P Capozucchi l’imprimatur, quali dicevano in questa maniera: Qui in Ecclesia Sancti Pantaleonis in Ara maxima tumulatus jacet, senza far riflessione a quel che poteva succedere. Fu data a stampare a Francesco Cavalli, e vi fù portata dal medesimo P.Camillo a S.Pantaleo acciò ne procurassi il publicetur, e credo che fusse il p.mo di Novembre dell’anno 1648. Andai la mattina a buonissima hora p.ma che il P.Candido andasse alla Cappella Pontificia per parlare al P. Maestro Capozucchi, che m’haveva dato l’imprimatur, e per mala mia fortuna trovai alla porta un altro Padre Compagno che con grand.ma allegrezza mi domandò s’era stampata l’oratione funerale del P.Gioseppe vostro Fundatore.
276.Li risposi che già era stampata, e che ero andato a pigliar il publicetur e chiestamela per vederla, lesse il frontespitio, e vidde agiunte le due righe d’altra mano. Incominciò a gridare in tal maniera, et a mortificarmi, che havevo fatto agiungere all’originale quelle parole doppo haver havuto l’imprimatur, che questo era ingannare il P.Maestro del S.Palazzo e loro suoi Compagni, che non solo non meritava il publicetur, (ma) che fusse abrugiata, che non si veda mai.
Gridò tanto questo benedetto, che alle voci corse il P. Capozucchi p vedere che cosa era e visto me domandò quel P. suo compagno che cosa era successo.
Cominciò quel P ad esagerare, che li volevo ingannare havendo giunto all’originale due versi d’altra mano, che quando la lessero assiemi non vi erano, e non era degna d’haver il Publicetur e che queste cose non si devono ne possono permettere in modo alcuno.
Mi raccomandavo al P. Capozucchi p amor di Dio, che Io non sapevo niente, che l’havevo dato all’Autore acciò la facesse stampare, e tampoco quella non era mano del medesimo Autore, che si prendesse un mezzo termine e far stampar di nuovo tutto il frontespitio, che l’altri l’haverei fatti abrugiare, o vero l’haveria portati a loro.
277.Parve conveniente al P. Capozucchi dirne una parola al P.Candido per vedere quel che si poteva far p dar gusto a noi e satisfatione al suo Compagno. Entrò dentro stiede un poco, e venne fuora con il P.Candido, e domandatomi come era passata la cosa, li risposi che non sapevo come era stato, p amor di Dio, che trovasse qualche rimedio e prendesse un mezzo termine acciò non fusse abrugiata, che si poteva abrugiar il frontespitio e stamparlo di nuovo. Prese in mano il P.Candido l’originale e le stampe, e visto che quel P haveva detta la verità, che già era fatto l’errore et Iddio l’haveva permesso, et il P.Gioseppe meritava altro di quello, che non era niente, et ordinò al P. Capozucchi che vi facesse il Publicetur come stava pche conosceva quella esser stata semplicità, e non malitia, e con questo finì la mia mortificatione.
278.Per la morte del P. Turco Generale della Religione fù eletto il P. fra Gio: Battista Marino in luogo suo, il quale era Secretario della lCong.ne dell’Indici et a questo ufficio li successe il P. Capozucchi p esser stato tanto tempo sotto la disciplina del P. Candido, che haveva preso gran nome si nella dottrina come nella bontà della vita.
Morto poi il P.Candido con quella opinione di Santità come si vidde p tutta Roma, e pensando Papa Innocentio Decimo di proveder quell’officio di Maestro di Sacro Palazzo a persona degna di tal carica, fatta la diligenza chi meglio la poteva sostenere li fù proposto il P. Maestro Capozucchi Secretario dell’Indici havendosi sempre portato bene nelle Congregationi avanti i Cardinali, e p esser prattico nell’ufficio essendo stato tanti anni Compagno del P. Candido, solo l’ostava esser giovane, ma havendo Compagni costumati saria riuscito meglio che si pensava.
279.Era questo sugesto non solo dal P.Marini Generale e dal P.Comissario del S.Ufficio, mà anco dal Cardinal Colonna suo Parente, et il Cardinal Ginetti, che più volte ne parlò al Papa acciò quando si facessero le Concorrenze de Dignità e beneficiis havesse un huomo, che se ne potesse fidare, e cossì Papa Innocenzio lo dichiarò Maestro del Sacro Palazzo con satisfatione non solo della sua Religione, ma anco della Congregatione del S.Ufficio, che entra sempre nelle Congregationi che si fanno avanti al Papa, con il Generale, et il Comissario, et anco entra nella Cong.ne de Sacri Riti, nelle quali si portava tanto bene, che d’alcuni invidiosi veniva tacciato di troppa ardenza e zelante.
Morto il Papa Innocentio Decimo li successe Papa Alessandro Settimo, il quale faceva gran stima del suo Maestro del Sacro Palazzo, e le cose spettanti alla rivisione de libri, che venivano da fuori sempre li comunicava con il Papa, che come persona dotta e curiosa in ogni materia non mancarono inventioni del Demonio per disturbar questo suggetto dal suo ufficio, e quiete. Fu stampato un libro in Francia da un P. Gesuita contro i Padri Domenicani dove li tacciava di molte cose enigmatiche et in particolare il P. Capozucchi Maestro del Sacro Palazzo che lo chiamava Cucurbita.
280.Capitò questo libro in mano del P. Capozucchi, e lo portò a leggere al Papa, il quale lo sentì molto male p haver tacciata una Religione della quale la Sede Apostolica si serviva nelle cose più importanti della Chiesa, come di Comissario Generale della Sant.ma Inquisitione, di Maestro di Sacro Palazzo, di Secretario dell’Indice ed altri ufficii spettanti alla fede. Disse il Papa al P. Capozucchi che non solo era degno il libro d’esser prohibito, ma anco di rispondere alle propositioni e taccia che dava all’altri.
Con questa risposta del Papa il P. Capozucchi prese la sua penna e rispose al libro, e lo fece stampare con la data di lione e capitato in mano dell’adversario, lo mandò a Roma, acciò fusse portato al Papa, e li facesse vedere che il suo Maestro del Sacro Palazzo haveva fatto stampar un libro senza farlo rivedere da nessuno, che era degno di castigo p havervi data la data di lione, et era stampato in Roma.
Non mancarono politiche macchiaveliste et invenzioni diaboliche p far mortificare il P. Capozucchi sopra questo fatto rappresentando che era un superbo, che tampoco portava rispetto al Papa, che haveva stampato quel libro senza farlo vedere, che come lui vede le cose dell’altri, cossì si devono rivedere le cose sue, che era necessario castigarlo e privarlo dell’ufficio, che non mancavano nella Religione de Domenicani persone dotte, che potessero subentrare in luogo suo.
281.In fine tanto seppero dire alli Parenti del Papa, che ne li parlarono di tal maniera, che fù chiamato il P. Capozucchi dal Papa, e li dimandò se quel libro della risposta al Gesuita francese era stampato in Roma e se p.ma di stamparlo l’haveva fatto rivedere e pigliar licenza di nessuno, che si lamentano esser assai appassionato, e non bisogna far le cose sue da per se stesso.
Li rispose il P. Capozucchi, che il Maestro del Sacro Palazzo non era soggetto a nessuno fuorche a Sua Santità come ne li dava la facultà il Breve di Papa Innocentio Decimo, et il libro non era stampato in Roma, ma in Francia, e che stava sotto la corretione solo di Sua Santità né d’altri, che haveva fatta la risposta conforme Sua Beatitudine l’haveva detto, che era degno non solo di prohibirlo, ma della risposta, si è risposto con ogni modestia, non l’ho detto a V.Stà p non darli fastidio.
282.Il Papa lo licenziò con poca satisfatione, e lui si ritirò alla Minerva aspettando la resolutione.
Fù ordinato al Vicegerente che lo castigasse; il quale una sera lo mandò a pigliare p portarlo prigione al Convento del Populo. Sentendo ciò il P.Marino Generale disse alli messi, che lui l’haveria condotto seco al Populo, e non occorrevano tante diligenze e mandati, lo consegnassero a lui che senza altro l’haveria condotto, e postosi in Carozza il P.Generale con il P. Capozucchi lo condusse al Popolo, lo consegnò al Priore, facendoli ogni sicurtà sintanto, che haveria parlato al Papa.
Fratanto gli emuli procurarono che fusse eletto un altro p Maestro del Sacro Palazzo, che fusse aderente loro e fù eletto il P. Maestro Libelli Senese e privato il P. Capozucchi.
Molto sentirono questa mortificatione i Signori Colonnesi avisati dal Cavalier Capozucchi, onde il Cardinal Colonna ne fece le doglianze con Mons. Ottaviano Caraffa Vicegerente per esser stato cossì volenteroso a mandar il P. Capozucchi prigione al Populo, che bastava tenerlo alla Minerva fratanto si scopriva la verità, che p esser suo parente era obligato ad aiutarlo, e lo voleva difensare quanto poteva.
283.Li promise il Vicegerente che si lasciasse sfogar un poco che p esser speciale ordine del Papa non poteva far niente, mà alla p.ma Audienza l’haveria portata in maniera tale, che l’haveria indolcita e fattolo tornar alla Minerva acciò havesse qualche satisfattione, e restarono con questo appuntamento.
Il P. Capozucchi fra tanto mandò a chiamarsi il Sig.D.Carlo Orilia Avocato primario nel Criminale nella Corte di Roma, che pigliasse il suo Patrocinio, che si voleva difendere all’aggravio fattoli dal Vicegerente senza esser stato sentito, che li bastava, che comparisse come suo Avocato, che le scritture l’haveria fatte lui med.mo.
284.Carlo Aurilia come persona accorta li rispose, che havesse patienza che non era Causa da difensare, essendo stato motivo del Papa, che comparendo a farli testa più saria aggravata la Causa, che lui haveria parlato al Vicegerente, che per esser Napolitano suo Amico e paesano l’haveria dato il suo arbitrio a quel che spettava a lui, e con questo appuntamento sogiunsero che fusse andato il P. Marino Generale all’udienza del Papa acciò li facesse gratia farlo consegnar a lui, che come stava al Popolo poteva star alla Minerva.
Con questo il P. Capozucchi si quietò, e rimesse il tutto alle mani di Dio. Fù supplicato il Papa, rimesse il memoriale al Vicegerente e nella p.ma Audienza fece la relatione, che se li poteva concedere che stasse al suo Convento sintanto si vedesse quel che si doveva fare, et havutane la speditione, andò il P.Marino medesimo, andato a supplicare.
Fù dato ordine che stasse alla Minerva e sottomano li fù offerto il Vescovato d’Ancona, al che non diede risposta alcuna, ma voleva che si vedesse la sua Causa pche tutto era stato operato contro di lui p artificio de suoi emuli.
285.Conferì questo il P. Capozucchi al fratello et al Cardinal Colonna i quali li dissero, che in nessuna maniera accettasse Vescovato alcuno pche (con) quant’haveva di Patrimonio non solo poteva stare da P.Maestro, ma anco da Prelato, e che non cedesse il suo luogo nelle funzioni che facevano nella Corte e in pubblico pche levato il Generale doveva precedere a tutti gli altri come è Maestro del Sacro Palazzo pche ha il Cappello da Prelato nelle pubbliche cavalcate del Papa, del che ne parlò al P.Marino Generale, il quale li disse, che andasse alla Salve Regina, et alle process.ni che haveria havuto il pmo luogo appresso a lui, e qto al Vescovato, che mai l’accettasse pche era segno, che le parti havevano paura che tornasse all’ufficio. Cossì continuo al p.mo luogo a mano manca del Generale et Io l’ho visto più volte alle processioni del Rosario le p.me Domeniche del mese, che vi andavo apposta a vederlo p esser mio Amico come ho detto di sopra.
286.Li fù più volte proposto svelatamente che N.Sre Papa Alessandro Settimo lo voleva provedere del Vescovato d’Ancona pche non era bene che un sogetto come lui essendo stato Maestro del Sacro Palazzo stasse da frate privato, e che haveria havuto tutte quelle agevolezze e prerogative che meritava la sua persona, che se ne faceva stima da tutti.
Sempre rispose che ringratiava N.S.re, che lui era fatto frate p morir nella Religione, e non p esser Vescovo, che haveva a caro starsene in un cantone del suo Convento, e non li mancava niente tanto p lui come p i suoi Compagni e mai volse accettar Vescovato non solo quello d’Ancona mà altri megliori che li furono offerti.
Morto Papa Alessandro Settimo, li successe nel Pontificato Papa Clemente Nono, e tutti stavano a vedere se il P. Capozucchi havesse fatto instanza d’esser reintegrato pche il P.Libelli non dava molta satisfattione ai stampatori et haveva riformate molte cose massime nell’instruttorie che sogliono compier i Ciechi, che tutti si lamentavano perche perdevano i loro guadagni.
Mà il P. Capozucchi mai volse dir nulla ne far instanza alcuna.
287.Questo P. Libelli Maestro del Sacro Palazzo era facile ad intromettersi nelle faccende altrui, come successe un giorno al P.Cosmo di Giesù Maria nostro Generale l’anno 1666 come si vedrà. Il giorno di S.Pietro del dº Anno il P.Camillo di S.Geronimo già Generale che stava p Rettore al Collegio Nazareno invitò il P.Cosmo Generale che se andasse a vedere la funtione del Papa a S.Pietro, li facesse gratia d’andar a pranzo quella matina al Collegio per esser più vicino, e non passasse Ponte Sant Angelo a quell’ora cossì calda; questa imbasciata senza saper niente il P.Camillo Rettore la portò un Padre che faceva la scuola p.ma di Rettorica al Collegio Nazareno, chiamato il P.Gio: Francesco di Giesù Maria da Corigliano nel Regno di Napoli, il quale era assai Amico del P: Libelli pche l’haveva dedicate alcune compositioni. Questo con la sua Rettorica seppe tanto orpellare questa imbasciata da parte del P.Camillo Rettore, che non sapeva niente pche stava a letto ammalato con la podagra, che indusse il Pre Generale, che saria a S.Pietro a veder la funtione, e forsi saria andato a servir il P.Camillo Rettore.
288.Tornato il P.Gio:Francesco al Collegio, disse al P.Camillo, che il P.Generale la matina saria andato a pranzo al Collegio con l’occasione della festa di S.Pietro.
Li rispose il P.Camillo sia il benvenuto, et ordinò al fratel Fra.co Maria di S.Maria Madalena Cuoco Fananese, che facesse qualche cosa di più, che saria venuto a pranzo il P.Generale.
Finita la funtione del Papa il P.Gio.Francesco disse al P.Cosmo Generale, che il P.Camillo Rettore lo stava aspettando, che non facesse di meno d’andarvi, che già lui l’haveva detto che haveva accettato l’invito. Tanto li seppe dire che lo condusse seco al Collegio.
Mentre che il P.Generale stava discorrendo con il P.Camillo Rettore che stava al letto, entrò il P.Gio:Fra.co di Giesù Mª, che veniva il P.Maestro del Sacro Palazzo, il quale p esser lontano da Monte Cavallo, l’ora era assai calda, e veniva a riposarsi al Collegio p quel giorno p poi deve andar a accompagnar il Papa a Monte Cavallo, che a S.Pietro non haveva le sue stanze apparecchiate.
289.Restò molto confuso tanto il P.Generale quanto il P.Rettore p l’ora era tardi, non haveva provisione a proposito p un personaggio come il Maestro del Sacro Palazzo, tanto piú che il Colleggio è molto lontano dalle Piazze per far cossì presto la provisione, il Rettore in letto et il Cuoco infastidito pche vi era il Generale con tutto ciò uscì fuora dicendo al P.Generale, che lo trattenesse pche haveria veduto di proveder al meglio che poteva.
Giunto il P. Libelli al Collegio uscì il P.Generale a riceverlo, e fatte loro cerimonie, il P.Generale li disse, che scusasse il P.Rettore che stava al letto, se non li faceva quei carezzi che meritava, con tutto ciò accettasse la buona voluntà pche se fusse stato avisato prima, che lo voleva favorire haveria fatto proveder da paro suo.
Inteso ciò il P.Libelli rispose: son venuto pche sono stato invitato sono più giorni. Al che il P.Generale restò confuso, e mutando il discorso andarono a trattenersi alla libraria sintanto che era all’ordine da mangiare.
290.Cominciò il P. Libelli a discorrere del nostro Instituto, che li pareva assai pche insegnavamo a Poverelli, che una cosa sola li dispiaceva et era che far il pitocco et il pedante dietro a quei Baroncelli i Sacerdoti disdiceva che vadino accompagnar quei figlioli alle case loro, che poteva il Generale levar l’accompagnare li scolari o levar tante fatiche che facevano li Maestri nelle Scuole, che in cambio d’haver riposo doppo la fatica della scuola tornavano di nuovo ad un altra fatica d’andar accompagnar d’ogni tempo, fosi caldo o freddo. Essagerò tanto questo fatto il P.Libelli, che parve al nostro P. Generale di risponderli in poche parole.

P Rev.mo l’Instituto di S.Domenico quel è proprio?

Li rispose è il Predicare et il Coro con leggere le scienze a chi si sia.

E il nostro, replicò il P.Generale, di far le scuole, insegnar il timor di Dio, et accompagnar li scolari per quanto è possibile, acciò non si sviino, et in cambio d’allevarli bene non accompagnandoli, più presto perdiriano quel che habiano imparato, che guadagnano nelle virtù pche cossì l’ha instituito il Fundatore, e l’ha confirmato Papa Alessandro dell’anno 1669, ne Io posso innovar questa facenda, perche non voglio far torto al mio Fondatore, e mentre tocca a me mai s’innovarà cosa alcuna di quello che stà nelle nostre Costitutioni.
291.Si piccò il P. Libelli a questa risposta, e parse che fusse stato mortificato, mà accortosi il Generale, che tutto era stato data opera da parte solo del P.Gio: Francesco, che haveva invitato lui da parte del P.Rettore et il Maestro del Sacro Palazzo cominciò con buona maniera a darli buone parole, e cossì andarono a tavola a pranzo con qualche dissimulatione da una parte e dall’altra.
Riposatosi un poco il P. Libelli si licenziò p andar al Palazzo di S.Pietro, acciò non fusse chiamato dal Papa, e si vidde, che se n’andò mortificato, e con poca satisfatione.
292.Chiarito il P.Generale dal P.Camillo Rettore, che non era vero, che havesse invitato veramente il P.Libelli, chiamò il P.Gio: Francesco, scoverse essere stata sua inventione per più cattivarsi la benevolenza sua, e li fece confessare che lui l’haveva detto, che l’accompagnar li scolari li pareva superfluo e non dicente alli sacerdoti, che facessero tal ministerio, e con queste sue inventioni haveva posta una discordia tra il Maestro di Sacro Palazzo Libelli con il P. Cosmo Generale, che mai più s’incontrarono, e parve il P. Libelli restasse offeso, all’assuntione del Pontificato di Papa Clemente Nono andai Io con il P. Carlo di S.Antonio di Padova p far passare alcune compositioni fatte dal P.Carlo in honore del nuovo Pontefice, e non solo non le volle passare, mà ci mortificò malamente dicendo, che in honor del Papa non si stampano fogli volanti.
293.Questo P.Gio: Francesco era di grand’ingegno elevato, e nel comporre assai veloce, che in pochi giorni compose un libro d’elogii cavato dall’oratione funerale fatta dal P.Camillo di S.Gerolamo, dove mostrò la nascita, vita e virtù del nostro Venerabil P. Gioseppe Fundatore, dedicata al Papa Alessandro Settimo, che lo portò il P.Libelli suo Maestro del Sacro Palazzo, il quale lo ricevè voluntieri, e con grande applauso, mà pche questo P s’era molto inoltrato sotto la protettione del P.Libelli e p la sua mala natura venne esoso al P.Camillo, et alli Padri del Collegio Nazareno per la sua superbia, fù levato da Roma dal P.Generale, e mandato in Napoli dove faceva una buona e compiuta scuola di Rettorica, et ogni mese Accademie, e vi concorrevano molti virtuosi, mà pche il suo cervello era instabile, e faceva delle sue il P.Tomaso di S. Agostino allora Provinciale della Provincia di Napoli p li molti richiami lo mandò a Campie, dove stiede da due anni che con g.mo applauso fece una fioriti.ma scuola .
294. Venne il caso, che Papa Clemente Decimo fece un Breve p quietar alcuni che volevano uscire dalla Religione come Preti Secolari, che p tale effetto furono dati diciasette memoriali alla Penitenziaria Secreta, la quale già haveva fatto un Decreto che potevano uscire; mà pche Io allora ero Procuratore, mi opposi e feci commettere questa Causa a tre Prelati cioè Mons. De Vecchi Secretario della Congregatione de Vescovi e Regolari, Mons.de Rossi Promotore della fede, e Mons. Agostini Elemosiniero Maggiore e secreto del Papa, i quali doppo matura deliberatione fecero un Decreto, che quelli che non havevano fatti i voti sollenni li dava quattro mesi di tempo all’oltramontani, et in Italia due mesi, ne fù spedito il Breve, et il P.Gio:Francesco si volle servir di questo Privileggio et uscire dalla Religione, mà perche non haveva Patrimonio passò con un altro chierico chiamato fratel Cherubino di S.Giuseppe di Turi, alla Religione de Padri Minimi di S.Francesco di Paula, e fù preso p Maestro di Rettorica, acciò insegnasse alli giovani della Provincia di Lecce, e fatta la sua Professione Solenne divenne tanto insolente, che la prese con li principali Padri della Provincia, lo cominciarono a mortificare malamente (che forsi pensava haver trovato i Padri delle Scuole Pie, che caminano con ogni schiettezza e semplicità) fù levato dal studio di Lecce, e mandato in altro Convento sotto un Correttore rigoroso, e trovandolo inosservante della loro Regola fù mandato a Taranto dove p l’intemperanza del mangiare finì la vita l’anno 1671. Quest’è il fine di quei Religiosi che non si portano bene, e sono osservanti di loro Instituti, morì di età di 28 Anni in circa, che fù nel fiore della sua Gioventù./ Questo poverello più volte si pentì esser uscito dalle Scuole Pie, e piangeva quando stava p morire, che haveva lasciata la sua p.ma voca.ne e p capricci e sup.bia era passato ai Padri Minimi et ivi le sue passioni erano castigate con tante mortificationi e persecutioni, et alla fine si riduceva alla morte. Anzi alcuni Gentilhuomini dissero più volte al P. Gio: delle Piaghe da Campie, che mentre il P:Gio: Francesco stava di stanzia in Oria, che lui era delle Scuole Pie dove haveva fatti i p.mi voti, e non di S.Fra.co di Paula. Questi furono i Sig.ri D.Lucretio e Domenico Milidia l’uno Archidiacono e l’altro Cantore di quella Città e Gentilhuomini principali./
295.Per far la chiusa del P. Capizzucchi e del P.Libelli, ambidue Maestri del Sacro Palazzo al Pontificato di Papa Clemente Decimo p la morte di Mons. Ariosto, Arcivescovo d’Avignone l’anno 1673 il Papa lo fece Arcivescovo di qlla Città, e rimesse nel suo luogo di Maestro del Sacro Palazzo il P. Capizzucchi con applauso e gusto grande di tutti e s’è verificato quanto si disse di sopra di quel che ho scritto del P.Candido Maestro del Sacro Palazzo di cui fù allievo il P. Capizzucchi.
Alli 23 d’Agosto 1648 vedendosi il P che quanto più andava mancando di forze, e non mancavano delli Religiosi, che lo venivano a vedere et altri Prelati Amici suoi p haver da lui la sua beneditione, come anco molti personaggi che i Cardinali mandavano i loro Mastri di Camera, come fù la buona mem.del Cardinal Lanti, Ginetti, Pallotta, Franciotti, Cecchini, e Colonna, come anco il Contestabile Colonna, che tutti si raccomandavano alle sue orationi, e si raccordasse di loro in Paradiso, e lui con la sua solita humiltà li rispondeva che lui non era meritevole p li suoi peccati del Paradiso, ma se la misericordia di Dio ne le faceva la gratia l’haveria fatto voluntieri, e prostrati quelli li bagiavano la mano, li dava con g.ma semplicità la beneditione, e cossì partivano contenti e satisfatti.
296.Quanto fusse grande l’humiltà del P: Fundatore in queste materie se ne potrebbono far libri intieri che sempre voleva, che non si sapessero le sue cose, massime la nobiltà di sua Casa, che p questo raccontava il P.Glicerio della Natività da Frascati, che un giorno mentre che stava discorrendo con il V.P. teneva in mano li suoi Privileggi di Dottorato, et altre scritture in carta pecora, i quali haveva raso il suo nome, cognome e famiglia, e vedendo il P:Glicerio quastava quelle carte le disse, che non li pareva bene che andassero male, che si dovevano conservare, acciò s’habbi memoria chi era, e saria anco giovato alla Religione acciò a suo tempo se ne potesse servire.
Rispose il P. che queste memorie era meglio haverli in Paradiso, che tenerle scritte in quelle cartoccie, che non si curava di tale memorie e quelle Carte erano buone da fare staffili per castigare li scolari, e pciò fini di radere quant’era e poi li tagliò in striscie, e li fece mettere dentro l’acqua della fontana dal meddesimo P. Glicerio, dove li fece star tutto il giorno sotto una pietra acciò si bagnassero bene, ne si vedesse mai quel che vi era scritto.
297.La sera poi se li fece portare in Camera, e vi fece tanti staffili che li diede alli maestri acciò ne castigassero i scuolari quando facevano qualche errore notabile, e l’insegnava come l’havevano da castigare, che con quelle ne dessero spalmate, che pizzicavano e non si guastavano così presto, e quando facevano i cavalli, che li dassero con i staffili ma non passassero più di cinque botte, e che si guardassero di dar mai schiaffi con le mani, e questo lo prohibiva espressamente.
Raccontava anco dº P.Glicerio, che non fù minor humiltà quella che succese al tempo di Papa Paolo Quinto quando lo voleva far Cardinale, che questa voce si sparse p tutta Roma e lo sapevano sino alli scuolari, et un giorno andando il P a visitar le scuole, entrò a quella dell’Abbaco, cominciò ad esaminar un scolare grande delle cose della Confessione, il quale per anco non era ancora molto bene instrutto, lo mortificò, et il Giovane disse ad un altro che li pareva mill’anni levarselo dinanzi, che haveva saputo dal suo Padrone, che era Prelato di Palazzo che il Papa quanto p.ma faceva Cardinale il P.Gioseppe Prefetto delle Scuole Pie, che tutto il giorno li tormenta con tante esortationi, e prediche, e cossì ce lo levaremo davanti; quest’era che mormorava del P il scolaro, e cossì se n’empì tutta la scuola dell’Abbaco, che la magior parte erano huomini d’ogni sorte.
298.Penetrò ciò il P.Gioseppe Prefetto, fece chiamar il giovine che haveva sparsa quella voce, e fattolo andare al Camerino li fece levar i calzoni, e mettersi un paro di calzonetti fatti apposta, che si solevano tenere p far le mule alli scolari quando facevano qualche eccesso notabile, li fece una sollennissima mula, e l’ordinò che mai più parlasse di tal materia, che l’haveria fatto licenziare dalla scuola; e cossì si smorzò quella voce, che come diceva dº P. Glicerio fù vera, mà che il P.Giuseppe pregasse instantemente il Cardinal e Prencipe Borghese che l’impetrassero dal Papa, che non li dasse nessuna dignità pche non haveria potuto attendere all’Instituto, che al sicuro saria andato male, et il Cardinal Borghese s’adoprò con il Papa, che facesse Cardinale in luogo suo Mons.Pignatelli, come li successe.
Quel che trattava con il Papa questo negotio oltre il credito che l’haveva il Pontefice, era il Cardinal Tonti suo datario e privato di Papa Paulo, che non faceva nulla senza la sua consulta, tutto ciò raccontava il P.Glicerio della Natività.
299.Lo stesso giorno delli 23 d’Agosto verso li 20 hore mi disse il P.Fundatore che chiamassi il P.Castiglia, che li voleva parlare. Feci chiamare il P.Castiglia, il quale venne con il P.Vincenzo della Concettione e P.Angelo di S.Domenico, s’accostò al letto e li domandò che cosa voleva. Li disse che prendesse le chiavi del suo credenzino e della Cassa dove stavano le biancherie, che haveva p uso suo, che vi erano quattro faccioletti, che durre in Sacrestia e l’altre cose li consegnava a lui come è suo Superiore, che lui era Povero, e non haveva niente di proprio né voleva che cosa alcuna per se, che tutto quanto era in quella stanza lo dispensasse come voleva che l’ora sua era arrivata, né voleva haver scrupolo di star attaccato a cosa nessuna. Prese le chiavi il P.Castiglia, e li disse che già haveva ogni cosa nelle mani e chi stava seco n’haveria havuto cura, che nesuno haveria preso niente. No, disse il P., aprite il credenzino, prendete i faccioletti e dateli adesso al Sacrestano, che li voglio veder Io, e poi vedete l’altre cose. Fatto venir il Sacrestano, che allora era il P.Bonaventura di S.Maria Madalena, già suo Assistente, et anco Procuratore della Casa, pche il sacrestano era ammalato. Li fece dar i faccioletti, i quali li disse che quelli potevano servir p le messe e che non haveva altro che darli, che n’havesse cura e poi li consegnasse al Sacrestano con l’altre Robbe.
300.Aprì il Credenzino il P.Castiglia, vi trovò alcune cucchiarelle di legno, due tazze, un coltello con una forchetta, alcune figure in cartapecora e medaglie delle quali soleva dar per divotione a li benefattori, o vero premii alli scolari, una carrafina d’oglio di cento anni, et altre bagatelle di poco rilievo, un cilicio, la catinella di ferro, la disciplina et un ferro da cingersi con le punte come gratta cascio, questo fù preso e mai si potè trovare.
Fece aprir l’altra credenzina, dove erano molte scritture e lettere, le quali disse, che n’havesse cura acciò a suo tempo si potessero mettere all’Archivio quelle che servivano, e l’altre le facesse abruggiare. Fece aprir la Cassetta dove erano altre scritture concernenti la validità de voti fatte da molti Teologi primieri della Corte, e da molti Religiosi, quelle che li tenesse conservate pche un giorno potevano servire, quando Iddio hauria bene disposto.

[301-350]

301.Questa sua povertà sempre li fù a cuore, come chiaramente si vede da una risposta che fece al P.Gio:Battista del Carmine, Ministro delle Scuole Pie di Cività di Chieti. Poiche questo P. li scrisse una lettera p parte della Sig.ra Claudia Faustina e della Sig.ra Vittora Faustina, la p.ma delle quali fù moglie del Sig.Gio: Francesco Vastavigna nostro fundatore in quella Città, le quali fecero scrivere al Padre Fundatore che vedese di quello che haveva di bisogno che lo volevano provedere di quanto voleva et haveva di bisogno, e questo pche era uscito il Breve della destruttione della Religione, e consideravano, che non haveria havute quelle comodità necessarie p il suo sostenimento, pciò che in Roma i Padri havevano nome di esser stati destrutti et erano mancate l’elemosine, come in effetto era la verità, che nei principii i poveri Cercanti erano da quasi tutti i Benefattori mortificati.
302.E vi fù un Prelato, che disse al fratel Luca di S.Gioseppe fiorentino, come haveva faccia d’andarli a cercar elemosina havendoli il Papa destrutti, e non potevano più andar cercando come p.ma e la causa era stata p haver noi medesimi perseguitato il P.Gioseppe Fundatore, il quale haveva fundata una Religione di tanta pietà, che p l’ambire d’alcuni havevano destrutta la Religione, e l’havevano ridotta in stato tale che havevano perso il Credito p la Corte di Roma, che andasse in pace, che non li voleva far più limosina alcuna e che non ritornasse più, pche sapeva quel che havevano fatto al P.Gioseppe, il quale è specchio di tutte le Relig.ni, che sono tanti anni che lo conosco, e poi vederlo cossì malamente strapazzato da voi altri, che non meritate elemosina alcuna, che p.ma vi veniva qui un altro vostro Cercante, che non lo vedo più, et hora sete venuto voi come se non vi conoscesse.
303.Il fratel Luca, che non era cossì facile a perdersi p le mortificationi, li rispose in maniera tale, che lo convinse con queste parole. Monsignore, Io sono stato chiamato da Fiorenza dal nostro Pre Generale apposta p aiutar la Casa di S.Pantaleo, mai habiamo strapazzato il nostro Padre tutta la Religione e ben sa V.S.Rma chi è stato il danno della Religione, che Dio ha castigato visibilmente, che lo castigò di lebra e fuoco di S.Antonio, un altro ha patite altre disgratie, che fù necesario fugir da Roma et altri lasciato l’habito con poco loro gusto e riputatione, siche noi non habbiamo colpa alli mancamenti e difetti dell’altri, e se V.S.Illma non ci farà più elemosine, non per questo noi moriremo di fame, siamo poveri e Dio ci provederà per altra banda, che ho fede all’orationi del nostro Padre Generale che ci provederà il S.re abbondantemente, mi scusi se l’ho tediato, né verrò più qui a darli fastidio, perche Iddio non vol parte delle sue Ricchezze per far bene a chi n’ha più di bisogno.
304.Furono di tant’efficacia queste risposte del fratel Luca, che il Prelato restò mortificato, e li rispose, che prendesse quel scudo d’elemosina, e che vi andasse una volta il mese, che l’haveria fatta assignare dal suo Mastro di Casa tanto pane, e che dicesse al P.Generale, che pregasse Dio per lui nelle sue orationi, e quando li bisognasse qualsivoglia cosa p la sua persona, che mandasse liberamente che l’haveria fatto dare quanto bisognava, e con questo restarono Amici, e mentre visse detto Prelato sempre continuo a farli la Carità. Questo si chiamava Mons. Lanuccio, huomo di gran lettere, bontà di vita e spirito.
Tornato a Casa il fratel Luca raccontò il tutto al nostro Padre, il quale li rispose, che haverebbe havuto molte di queste mortificationi, che le prendesse dalla mano di Dio, che n’haverebbe havuto il merito se le sapeva sopportare con patienza, e tornate da Mons.Lanuccio, ringratiatelo da parte mia, e diteli che farò oratione p lui, acciò il Sig.re li dia salute e contento e sappia cavar merito di quel che manda Dio.
Tornò il fratel Luca da Mons.Lanuccio, li fece l’imbasciata da parte del P., e li rispose che continuasse le sue orationi p un negotio et una gratia, che stava aspettando dal Papa.
305.Per la morte di Mons. Vai Comendatore di S.Spirito Papa Innocenzo Decimo conferì quella Dignità a Mons.Lanuccio, e la tenne non so che anni con g.ma satisfatione, non tanto di quei Padri, che governavano l’azienda di l’ospedale di S.Spirito, ma di tutta qlla Religione, e rimediò a molte cose dell’interessi delle ricchezze di quella Santa Casa, p il che non mancò il Demonio d’inquietarlo e metterlo in disgratia del Papa pche alcuni ministri vedendosi ristretti, che non facessero regali a personaggi, che non potevano con buona coscienza dar le Robbe di S.Spirito senza che lui lo sapesse, e prohibì al Mastro di Casa, che non mandasse più a D. Olimpia non sò che regali quotidiani mangiativi.
Non volendo ubidire il Maestro di Casa li fece l’hubidienza che andasse in Calabria acciò havesse pensiero d’una Comanda che l’entrade andavano male. Questo non volle ubidire, e si ritirò a S.Pietro, e seppe tanto operare, che il Papa providde d’altro sogetto in suo luogo, e fece chiamar dal Governo della Madonna di Loreto Mons. Carlo Dondini e lo fece Comendatore di S.Spirito, e povero Mons.Lanuccio restò senza la Croce, si ritirò nel suo Palazzo, e spesso mandava a chiamar il fratel Luca, nostro Cercante, con il quale sfogava le sue passioni citandoli molti Testi e Bolle Pontificie, che l’era stata fatta ingiustitia e non lo potevano levare, e la Causa era stata pche haveva havuto zelo che non vada male la robba di S.Spirito, che tutta era acquistata con redentione di peccati, e solo la dovevano godere i Poveri Infermi et i Proietti pche fù fundato quell’ospedale e la Religione de Cavalieri di S.Spirito.
306.Il fratel Luca benchè non sentisse quel che citava tanto nella legge quanto nelle Bolle Pontificie il tutto approvava, dicendoli che haveva raggione da vendere, mà che prendesse tutto dalla mano di Dio come l’haveva mandato a dire il nostro V.P. Fundatore p lui med.mo prima che morisse, che se voleva haver merito prendesse tutto quello che li mandava Dio.
In queste risposte Mons.re restava quieto e consolato poiche era tanta la sua passione, che non sapeva con chi sfogarla se non con questo fratello, al quale haveva questa confidenza; e fra poco tempo se ne morì con grand.ma opinione di gran bontà, e nella sua Infermità i suoi Cortegiani chiusero i passi acciò non havesse più l’ingresso il fratel Luca, pche sapevano esser suo confidente.
307.Per far vedere questa Povertà del Venerabil Padre non solo con parole, ma anco attioni metterò per extensum la risposta che fece al P.Gio:Battista del Carmine come si vede dal libro delle lettere venutomi da Chieti, che sono giunte a detto libro, e la 78 lettera che dice in questa maniera: Al P.Gio:Battista della Madonna del Carmine Ministro delle Scuole Pie p Aquila p Chieti. Pax xpi. Nella lettera di V. R. si conteneva il desiderio che tutti hanno comunemente in cotesta città di far metter nel Martirologio Romano San Giustino, tanto liberale in impetrar gratie comunemente a tutti, e perché questo negotio si deve trattar con la S. Cong.ne de Riti, si è dato l’incumbenza al P. Angelo che s’informi che mezzi si potrebbono proponere per haverne la gratia, et di quello si anderà facendo se ne darà avviso.
Quanto poi alla carità et pio affetto della Sig.ra Claudia e sua sorella, deve sapere che io come povero et d’età gravissima non desidero cose superflue e vorrei morir povero delle cose terrene. Mi contento che coteste Signore preghino Dio per me, che io ogni mattina nella santa messa mi ricorderò di esse e da parte mia le saluterà e gli farà riverenza.
308.Per ultimo da parte mia ancora farà riverenza a Mr. Ill.mo Arcivescovo assicurandolo che io in tutte le mie messe me ne ricordo di raccomandarlo al Signore, acciò li dia tanta abondanza di carità che ne possa dar parte a tutti i suoi sudditi e particolarmente agli ecclesiastici. Saluterà parimente tutti i nostri di casa. Che è quanto per hora m’occorre. Roma adì 24 di gennaro 1647. Servo nel Sr Gioseppe della Madre di Dio.
Da questa soprascritta lettera si puol sanamente comprendere il cumulo di virtù che haveva fatto per prepararsi p far una santa e buona morte.
In questo giorno delli 23 d’Agosto successero molte cose, poiche si vedeva andar pianpiano mancando il P di forze, et il Catarro li dava grand.mo fastidio, che se l’era traversato nella gola, e palato, e l’impediva il parlare. Venne il Sr.Tomaso Cocchetti Cavaliere inglese, e li diede il rimedio del limoncello piccolo con il zuccaro, scatarrò e poi sapendo esser stato rimedio d’Enrico Ottavo Re d’Inghilterra non solo non lo volle più pigliare, ma me lo fece buttar a me dalla fenestra p esser quello heretico, e lui non voleva usar quel rimedio in nessuna maniera, come più diffusamente ho scritto altrove, che p non replicar il med.mo, si puol vedere.
309.Per far vedere quanto fusse ubidiente alla Santa Sede Apostolica et alla fede dirò due cose molto Notabili per esempio de nostri posteri e questo lo so de certa scienzia.
Il doppo pranzo il P. Fundatore mi chiamò dicendomi che li chiamasse il P.Vincenzo della Concettione, che li voleva commettere un negotio di grand.ma importanza. Venne il P.Vincenzo e li disse che chiamasse il P.Gioseppe della Visitatione et andassero assiemi dal Sr.Cardinal Cecchini Datario, che li facesse impetrare da N.S. l’indulgenza in articulo mortis e la bend.ne Pontificia , perché non voleva che partisse di questa vita essendo il tempo breve senza guadagnar un tanto tesoro.
Chiamò il P.Vincenzo il P.Gioseppe, e pche allhora era impedito aspettò un pezzo e tornato il P.Vincenzo dal P lo dimandò s’era stato dal Cardenal Cecchini, li rispose che non era ancora andato p aspettar il P.Gioseppe, il quale era uscito con il fratel Filippo di S.Francesco, e credeva, che vi fussero andati assiemi.
310.Li replicò p amor di Dio datemi questa consolatione e non mi private di tanto bene, che puol essere che il Cardinal esca di casa p le sue occupationi, che son grandi, andate adesso con il P.Gio:Carlo e tornate subito che poi havete da farmi una altra Carità di g.ma importanza. Andassimo con il P. Vincenzo a Monte cavallo al Palazzo del Cardinale, e trovammo che già era uscito, e la guardia ci disse che era andato ad una Congregatione, e vi erano stati due de nostri Padri, che ancora lo cercavano e non l’havevano trovato, che tornassimo sul tardi, che l’haveriamo potuto parlare quanto volevamo.
Tornati a Casa andammo dal P e li dissimo come non havevamo trovato il Cardinale, che già era uscito e che vi era stato anche il P.Gioseppe e non l’haveva trovato, che di nuovo sariamo tornati sul tardi come ci haveva detto quello che stava di guardia al suo Palazzo.
311.Rispose sia lodato Iddio, se fussino andati quando ve lo dissi l’haverestino trovato, conformiamoci con la Volontà Divina, mà di gratia p Carità non mancate di tornarvi a tempo di poterli parlare, acciò mi facci questa gratia, et Io mori contento, diceva queste parole con tanto desiderio, che per tenerezza Io mi posi a piangere perche perdeva in questo mondo il mio Padre Spirituale, che m’haveva regenerato p la strada del Cielo, sapendo quanti buoni et ottimi documenti, che sempre mi dava, con tutto ciò m’andavo consolando con rimettermi alla Voluntà di Dio nelle cui mani stà la vita e la morte.
Andate tutti due a S.Pietro da parte mia, bagiate p.ma il piede alla sua statua, prendete l’Indulgenza p me, e poi andate alla Sua Confessione e fate la professione della fede come se fusse Io med.mo, già che non vi posso più andar Io, fate li sette altari e poi tornate al sepolcro delli Prencipi delli Apostoli dite tre volte il Credo acciò mi confermano nella santa Fede, che loro hanno insegnato e m’assistano nel punto della morte come miei particolari Avocati, che sarà l’ultima volta, che prendo queste Indulgenze; poi andate alla Chiesa di S.Marta e fate il medesimo per me, et habiate patienza se fate questa fatica p me e prendete questo caldo, et al ritorno potrete andar dal Cardinal Cecchini acciò mi impetri da N.S. la Beneditione Pontificia, che so che lo farà voluntieri e dite da mia parte al Sr.Cardinale che mi scusi del fastidio che li dò, e m’obligarà a pregare Dio per lui sapendo quanto l’ho amato pche sempre ha mostrato grand.mio affetto non solo alla mia persona ma anco a tutta la Religione..
312.Andassimo con il P.Vincenzo a S.Pietro, dissimo p.ma l’itinerario e p strada dicemmo le litanie de Santi, et il Rosario con la Corona del Sig.re per lui, e giunti a S.Pietro dissimo p.ª il Confiteor come ci haveva ordinato e fecimo tutte le divotioni puntualmente, e poi ce n’andammo al Palazzo del Cardinal Cecchini e là spettassimo la ritornata.
Subito che il Cardinal ci vidde domandò che cosa volevamo et espostoli l’imbasciata del nostro Padre, che li facesse gratia impetrarli da N.Sre la Bened.ne Pontificia.
313.Rispose che già n’haveva parlato al Papa pche haveva incontrato due altri Padri, che l’havevano fatta l’imbasciata, et il Papa l’haveva concessa, e l’haveva dimandato se stava in pericolo della vita e che voleva saper la sua infermità, e che sempre l’haveva havuto in grand.mo concetto, massime, che ne suoi travagli mai s’era lamentato di cosa nessuna, e che li facesse dire che pregasse Dio per lui.
Sogiunse che haveva mandato il suo Mastro di Camera a visitar il P.Generale da sua parte e darli nuova che N.Sre l’haveva concessa la sua Beneditione dispiacendoli non poter far quest’ufficio di persona per le ocupationi grandi in che si trovava, sempre lui l’haveva havuto in concetto di gran Servo di Dio havendolo pratticato p spatio di quaranta e più anni con haverlo provato in più materie mentre lui era Prelato e vice Protettore della Religione, massime nella persecutione fattali dal P.Mario di S.Francesco, che non solo mai si lamentò di lui anzi l’andava scusando tanto con me quanto con il Cardinal Cesarini Protettore, dando di tutto la colpa più presto al Demonio, che haveva inquietata tutta la Religione con ridurla in quel termine che si trovava, il quale con i suoi Compagni visibilmente Iddio haveva castigati, e lui medesimo l’haveva visti tutti morti. Fatemi gratia raccordarsi di me quando sarà in Paradiso, acciò il Sre mi facci far cose che siano tutte in suo servitio e p salute dell’Anima mia.
314.Licenziati tornammo a S.Pantaleo e trovammo il Mastro di Camera del Cardinal Cecchino che l’haveva portata la nuova della Bened.ne Pontificia del che restò con tanta allegrezza che non capiva in lui.
Li rispose il P che ringratiava Sua Em.za della Carità fattali appresso di N.Sre e che se Dio p sua misericordia l’havesse raccolto in Paradiso si saria raccordato di lui e di tutta la sua Casa, ma che si raccordasse all’occasioni proteggere l’Instituto, come haveva fatto per il passato, che da Dio n’haveria havuto non solo il merito, ma compita retributione, e bagiata la mano al P prese la sua bened.ne e si licenziò.
315.Giunse in quel tempo il Sr.Giulio Cesare Mastro di Camera del Cardinal Ginetti Vicario del Papa, e lo visitò di nuovo da parte del Cardinale pregandolo che pregasse Dio p lui quando saria in Paradiso e che vedesse di che haveva di bisogno che non l’haveria fatto mancar cosa nessuna, come di già n’haveva dato ordine al suo Mastro di Casa. Li rispose che ringratiava sommamente il Sr.Cardinale di quanto l’offriva che lui non haveva bisogno di cosa nessuna temporale pche da suoi figlioli l’era somministrato più di quello che li bisognava, che già i suoi giorni erano alla fine, e se la misericordia divina lo faceva giungere a porto sicuro haveria pregato p la buona salute di Sua Eminenza e di tutta la sua Casa, non tanto p l’obblighi particolari, che l’haveva lui p li molti favori, che l’haveva fatti, quanto che riconosceva esser in piedi l’Instituto delle Scuole Pie senza far altra mutatione dell’habito, ne altro, che Iddio haveva eletto lui per unico Difensore d’un opera cossì pia, che se non fusse stata per la sua Pietà a quest’hora non vi saria più la memoria dell’osservanza.
316.Che lo supplicava a volerla proteggere sintanto che pigliasse porto sicuro del naufragio e le tempeste in che si ritrovava, che con la sua ombra li poteva giovar assai come haveva fatto per il passato, che se non era per lui, quando fù che dovevano uscire le nuove Constitutioni se non le tratteneva Sua Eminenza Dio sà che porto haveria preso la sua Povera Religione, che solo lo supplicava di continuare la sua protettione, acciò non fussero poste in esecutione dette nuove Constitutioni, che n’haveria havuto merito grande da Dio, et era suo servitio fratanto che cessasse la tempesta che sperava per mezzo suo quella povera Navicella combattuta da tante procellose onde di venti contrari; sibene Iddio l’haveva smorzate molte onde contrarie con tagliar la vita a molti di quelli, che la volevano veduto urtar in qualche scoglio p somergerla affatto, il che non hanno veduta cossì promettendo la Divina Clemenza per suoi occulti giuditii.
317.Lui haveva fede, che con la sua protettione haveria quella povera Navicella preso porto sicuro e non saria più Naufragata con tutto che venissero altre onde nuove contrarie, che la battano, sotto la sua protettione saria sempre sicura di qualsivoglia tempesta. Nelle Congregationi poi che si fanno sopra i Religiosi dove in tutte Sua Eminenza entra li raccomando questa povera Navicella scorti, che non mancano buone occasioni di rimetterla insieme, e riunir le tavole, e farne una picciola baarchetta per pura gloria di Dio et aiuto del prossimo, massime i Poveri fanciulli piccolini, che imparano i rudimenti della fede delli quali Iddio si compiace grandemente della loro semplicità, che facendo S.Em.za questa Carità, haveria tanti Angeli appresso a Dio, che l’aiutaranno con le loro orationi, et Io glielo prometto di sicuro da parte loro, come Instrumento, che sin hora s’è servito di me, et hora li lascio a miei figlioli sotto la protettione del Sr.Cardinale. Di questo lo prego con ogni humiltà Sua Eminenza, che ho fede in Dio, che sotto la sua protezzione, che benche Io mora e non la veda lui la solleva.
318.Li rispose il Sr. Giulio Cesare, che haveria detto il tutto al Sr.Cardinale e che sapeva molto bene quanto haveva fatto p il passato in servitio suo e della sua Religione, e non haveria mancato mai d’aiutarla, e quanto alle nuove Constitutioni, non se ne parlarà più, perche il Sr.Cardinale non le volle mai publicare ne darle fuora, e dove l’ha poste non le trovarà mai nessuno, e p tal effetto si disgustò con il Cardinal Roma, le quali le sollecitava, che si publicasse e le facesse mettere in esecutione con farne spedir un breve, procurato e fomentato dal P.Stefano dell’Angioli Cherubini, il quale spesso veniva dal Cardinale da parte del Cardinal Roma et il nostro Cardinale andava dando tempo al tempo, sinche Dio tagliò li passi con la morte del P.Silvestro Pietrasanta, e del dº P.Stefano, che mai più se n’è parlato, ne fatta altra instanza e benche il Cardinal Roma diventasse in questo mentre quasi Inimico del nostro Cardinale, che mai più li parlava; alla fine visti morti questi due, si quietò ne mai più nessuno n’ha parlato e quando viene il Cardinal Roma alle Cong.ni in Casa del Sig.Cardinale se li mostra più affetto che mai senza che si raccordasse più di queste Constitutioni.
319.Anzi parlando un giorno assiemi della morte del P.Pietra santa e del P.Stefano conobbe la verità esser stato castigo di Dio esser morti tutti due giovani, massime di quella maniera di morte, che havevano fatto, e pciò V.P. stia sicuro, che le Constitutioni non si vedranno mai più publicate.
Restò tanto consolato con questa risposta il nostro Padre, che p allegrezza pareva esser sano e non più infermo, e moriente.
Finalmente si licenziò il Sr.Giulio Cesare pregando il Padre che pregasse il Sre p il Sr.Cardinale e p la Casa sua, come anco p lui essendoli stato antico e buon Amico, quando sarà a goder la vita eterna. Li rispose che se la Divina Misericordia l’havesse fatto gratia di riceverlo l’haveria fatto più che voluntieri. Il Sr.Giulio Cesare li bagiò la mano e li chiese la benedizione, che voluntieri li diede, e si licenziò dicendoli a Dio P.Generale, a rivederci, e lui li rispose piacendo a Dio in Paradiso.
320.Partito il Sr Giulio Cesare restò tanto allegro, non cercava più si sciaquare e perche si faceva tardi venne il Sr.Gio:Maria Castellani, medico, lo visitò e lo trovò allegro si mà molto sbattuto e fiacco, et ordinò, che subito se li dasse la Cena, e non facessero entrar tanta gente a discorrer lungamente pche l’acceleravano la morte con tanti lunghi discorsi che li facevano fare, essendo assai mancata la virtù e dubitava, che la matina morisse, che vi stasse sempre qualcheduno di guardia, e da quando in quando li dasse qualche poco di ristoro, di quel che lui voleva.
Mentre stava cenando venne il Bracciero della Sig.ra Marchesa Raggi, volle visitar il P da parte della Sgra Marchesa, raccomandandosi alle sue orationi quando sarà in Paradiso, e li lasciò una canestra di molte cose di zuccaro di Genova, che potevano andar a qualsivoglia Cardinale.
321.Li rispose il P che ringratiava la Sra Marchesa dell’affetto e la pregava a pregar Dio p lui, che li dia felice passaggio, che stasse allegramente, et abbraciasse la Croce, come li mandava Dio, che haveria havuto grand.mo merito, ne habia difficultà pche Iddio ne li darà la sua retributione, e se hora li pare grave il giogo, con la conformità alla Voluntà di Dio non solo lo farà leggiero, ma guadagnarà molto p la via del Cielo, che attenda pur a seguitar quel che ha cominciato pche cossì si guadagnarà il Paradiso, e dica anche alla Sig.ra Violante Raimondi sua Compagna in Christo, che ancor lei habi patienza et abracci la Croce, che Dio l’ha preparata, e si bene la bevanda li par amara beva pur allegramente p amor di Dio, che a suo tempo non solo li sarà dolce, mà anco di consolatione, e poi la retributione da Dio benedetto come in parabole promette a suoi discepoli.
322.Erano queste due Sig.re tanto conformi nello spirito che mai si lasciavano a far le loro cose spirituali, che la matina li parevano mille anni, che fusse giorno acciò se ne venissero alla Chiesa di S.Pantaleo dal loro Confessore, che era il P.Gio: di Giesù Maria alias il P.Castiglia p sentir i suoi Documenti e dolce maniera in che l’incaminava nel spirito, che pareva non se ne potessero partire.
L’una si chiamava Maria Spinola moglie del Marchese Raggi ambidue Genovesi, e non applicava ad altro, che nelle cose spirituali, ne si curava d’andar a festini o vero a visite d’altre Dame, ma solo si contentava di starsene nella nostra Chiesa di S.Pantaleo dalla matina a buon hora, sinche si serrava la Chiesa e stava sempre a far oratione, a sentir messe o vero alle volte faceva dir il Pater noster et l’Ave Maria ad alcune figlioline, che li dava qualche cosetta acciò facessero oratione p lei, non bastandoli questa che faceva p se medesima.
323.Per questa tanta spiritualità il marito la strapazzava e li diceva che non doveva pigliar marito, ma doveva far più presto Monaca già che si voleva far santa p.ma di morire. Lei li rispondeva, che pregava Dio per lui e p li loro cinque figlioli acciò il Sre li dia giuditio a far e siano buoni christiani e che lui era obligato a darli buon esempio e documenti per vivere come la loro nascita, acciò poi quando saranno in età matura non vivano con capricci senza briglia come haveva fatto lui, queste erano le differenze, che haveva la Marchesa con suo Marito, con tutto ciò lui non la strapazzava anzi lodava tutte le comodità che voleva da sua para con il Bracciero, due servidori, e la Carozza che in quindici e più Anni che Io la conobbi nella nostra Chiesa, mai ne veddi comandar nessuno, e quelli havevano una gran patienza a star tutta la matina a sentir messe, sinche si serrava la Chiesa, che però il Marchese marito più volte si lamentò meco: è possibile che finite le messe cossì tardi e mia moglie vien sempre passato mezzodì, e mi bisogna haver patienza, che p non farli disgusto non parlo pche sempre mi rinfaccia che la condusse a Roma contro sua voglia, e vol far ogni giorno le sue devotioni e con questo lascia la mia Casa abandonata non volendo saper d’altro, che far oratione, et ha allettato un figliolo il più piccolo alli suoi costumi, che non vol far altro che quel che li dice la Madre, che non fanno altro che mozzicar corone e star in genocchio, sicche voi altri Padri m’havete fatto due santi contro il genio dell’altri quattro miei figli.
324.La Compagna della Sra Marchesa Raggi Maria Spinola di Genova, si chiamava la Sra Violante Raimondi della Rovere da Savona, Sig.ra veramente non solo che era tanto Ricca che pia, la quale hebbe tante disgratie e persecuzioni che veramente li fù una Croce tanto grave, che non sò come la potè sopportare, se non era l’aiuto speciale divino.
Costei hebbe più figli, due de quali furono Prelati di g.ma dotrrina e bontà, e fù tanta la loro Ricchezza, (che) comprarono non solo un Chiericato di Camera, mà anco molti officii vacabili, morirono tutti due Giovani, i quali fecero molti legati pii, et in particolare, che facesse dalla sua madre una Cappella da suoi pari a S.Pietro Montorio dove stanno sepelliti. La quale la fece fornita di finissimi marmi con le statue di tutti due Prelati, che veramente è cosa di grand.ma spesa, e tutta de migliori scultori che sono in Roma.
325.L’ultimo figlio che li restò si chiama Marcello, il quale è il più brutto gobbo e malfatto, a questo successe il Marchesato, che teneva nel Regno di Napoli, li comprò un stato di quattro terre al Stato Ecclesiastico, che valeva molte centinaia di migliara di scudi, sicche questa Casa era desiderata d’apparentarvi molte persone qualificate, con tutto, che il giovane fusse di quella statura.
Si confessavano in quel tempo nella nostra Chiesa di S.Pantaleo molte Dame e Signore di qualità parte dal P.Castiglia, parte dal P.Pietro Andrea, parte dal V.P. Pietro della Natività della Vergine, e parte dal V.P. Gioseppe della Madre di Dio nostro Fondatore, fra le quali vi erano la Sra.Violante Raimondi, e la Sra Laura Gaetana, la Sra Ortensia Biscia, la Sra.D. Olimpia Panfili con le due sue figlie, la Sra.Marchesa Raggi, la Bonfiglioli, e molte altre che p brevità si lasciano, come le Sre Massimi, Torres e la Boncompagni, le quali erano sempre nella nostra Chiesa, che veramente vivevano con grand.mo spirito e devotione.
326.Un giorno la Sra.D.Olimpia Panfili pregò la Sig.ra Ortensia Biscia, che vedesse destramente saper dalla Sra Violante Raimondi, se haveva pensiero di dar moglie al Marchese Marcello suo figliolo, che voluntieri l’haveria data una delle sue figliole, poiche haveva a caro apparentar seco non tanto p la sua Ricchezza, quanto che l’allevasse con il suo spirito e bontà di vita, che questa era ancora la voluntà del Cardinal Panfilio suo Cognato.
Molto di buona voglia intraprese questa facenda la Sra Ortensia Briscia p esser ancor lei parente di Panfilii.
Una matina mentre che queste Sig.re erano in Chiesa p far le loro devotioni, invitò la Sra Ortensia la Sra Violante, che si contentasse ritirarsi alla Cappella del Presepio, che voleva discorrer seco d’un negotio importante, che si trattenesse sin tanto fussero partite le Sre Panfilie.
327.Di buona voglia la S.ra Violante se n’andò alla Cappella del Presepe come haveva appuntato con la Sra.Ortensia e postosi a discorrere la Sra Ortensia cominciò ad esagerare che la Sra.Olimpia et il Cardinal Panfilio havevano desiderio apparentar con lei, che l’offerivano la filgliola maggiore, che fusse sposa del Sr.Marchese suo figliolo, che non perdesse l’occasione d’apparentare con un Cardinale Papabile, che vedesse darli la risposta acciò si veda quel che si poteva fare.
La Sig.ra Violante come che era di cuor sincero e non pensando a quel che ne poteva succedere, li rispose libera.mte che non li pareva approposito far questo Matrimonio pche poi li figli di suo figlio p parte della Madre non havendo quella Nobiltà, che ha la sua Casa di Raimondi e Riani non potevano esser Cavalieri di Malta, che la scusasse se non li dava altra risposta.
328.Parve alla Sig.ra Ortensia che molto l’offendesse trattar cossì liberamente, e la matina seguente diede la risposta alla Sig.ra D.Olimpia con le medesime parole che l’haveva dette la Sig.ra Violante. Del che D.Olimpia restò molto offesa, comunciò il tutto al Cardinal Panfilio suo cognato, il quale li rispose che si dasse pace, che haveria trattato lui un matrimonio con una persona Nobile quanto era la Sig.ra Violante Raimondi.
Era in Roma il Marchese Giustiniani Messinese, il quale era Cavaliero molto quieto e di presenza, trattò con questo il Cardinal Panfilio e fù fatto il matrimonio con satisfatione e gusto comune.
Per l’altra parte la Sra Violante volle apparentare con persone d’ugual Nobiltà, e fece il matrimonio con una Nepote del Cardinal Grimaldi Genovese con una opulenta dote, e cossì senza altro disturbo furono fatti qsti due matrimoni senza che mai si parlasse più d’altro e fingendo l’un l’altra di non sapere niente tirarono a continuare e frequentar la nostra Chiesa sino alla morte di Papa Urbano Ottavo.
329.Morto Papa Urbano fù assunto al Pontificato il Cardinal Panfilio e si chiamò Innocentio Decimo, e per conseguenza la Sra D.Olimpia come sua cognata haveva gran parte al suo governo, la quale cercò subito apparentarsi con il Prencipe Ludovisio Nipote di Papa Gregorio Decimo quinto come li successe felicissimamente.
Fratanto non mancarono persone forsi p farsi benevoli i Padroni venne imputato il Marchese Marcello Raimondi, che havesse fatto ammazzar un suo vasallo nel stato ecclesiastico; fù fatto il Processo e pche dº Marchese era nel suo Marchesato nel Regno di Napoli li fù fatto sequestrare non solo le sue terre nel Stato Ecclesiastico, ma anco fatto l’inventario di quanto haveva a Casa la Sra. Violante Raimondi in Roma, e consignatali la robba con la sicurtà del Sr.Nicolò Gavotti, il quale era p.ma stato suo Genero.
Restò questa povera Sig.ra spogliata di tutta la sua Ricchezza e senza aiuto perche nessuno s’attentava a parlare p non venir in disgratia di D. Olimpia, che faceva far le cose ad modum belli.
330.E per magior sua mortificatione il suo Maestro di Casa li prese molti parati di Damasco, et arazzi di quelli inventariati, l’impegnò in nome della dª Sig.ra e preso il danaro si rifugiò in Chiesa. Era ridotta dª povera Signora, che se ne veniva nella nostra Chiesa con una Cameriera a piedi, et un figliolo che l’accompagnava, e non potendo far altre elemosine dava i pezzi di pane ai poverelli p amor di Dio, acciò facessero oratione per lui, acciò il Sre l’aiuti, desse patienza per poter sopportare patientemente quella Croce, che li fù annunciata dalla Sig.ra Marchesa Raggi per parte del P.Gioseppe della Mre di Dio, al quale si raccomandava devotamente acciò l’impetrasse dal Sig.re che si sappia conformare con il Divino Volere, acciò possa cavar qualche frutto spirituale per l’Anima sua, giache haveva perso quanto haveva.
Una matina fra l’altre mi fece chiamare da Sacrestia dal chierico della Chiesa, che ero chiamato da una pellegrina in Chiesa, che andassi presto perche era cosa necessaria et haveva prescia.
331.Pensando Io che fusse qualche Poverella che volesse qualche elemosina, risposi al Chierico, che li dicesse, che havesse patienza, che non havevo che darli. Mi rispose, che non pareva che volesse elemosina, che li voleva parlare et uscito fuora mi disse che le facesse la Carità quando veniva la Sig.ra Marchesa Raggi li dicessi, che la Comunione che faceva questa matina l’applicasse per lei e pregasse il S.re, che li dasse fortezza e costanza a sapersi conformare con la Divina voluntà e cavasse frutto da quel che li mandava Dio per beneficio dell’Anima sua, e pregasse il P.Gioseppe della Madre di Dio che l’aiutasse a portar la Croce annunciatali per mezzo suo, perche lei voleva andar a far le sette chiese con la sua fantesca in quella maniera.
332.Non connobbi subito, chi fusse perche haveva un velo avanti gli occhi, et un Cappellaccio grande, li domandai, chi era, si scoverse la faccia, e trovai ch’era la Sig.ra Violante Raimondi, che andava scalza e senza calzette, del che restai attonito, vedendo una Sig.ra cossì grande e vecchia, li dissi Sig.ra come è possibile che facci le sette chiese in quella maniera sola et appiedi in una età cossì matura, che bastava a far altre penitenze uguali al suo stato, et età.
Mi rispose che tutto faceva con il Consenso del Padre Castiglia suo P. Spirituale, e che quella era poco per i suoi peccati; e che pregassi Dio per lei, e che al ritorno (saria) venuta a communicarsi e con questo si partì per il suo viaggio.
Tornata dalle sette Chiese trovò la Sig.ra Marchesa Raggi, fece le sue devotioni con l’abito suo ordinario, dove stiedero sinche fù serrata la Chiesa di S.Pantaleo, dove erano state in genocchio sopra il sepolcro del V.P.Gioseppe della Mre di Dio. Mà non finì qui la sua persecutione, perche il giorno andò il Giudice con il Notaro, Testimoni e sbirri l’andarono a dar l’esecutione in Casa, e levarli sino il letto che teneva per dormire.
333.Casualmente mi trovai a passare dal suo Palazzo, e vedendo le guardie alla porta sagli di sopra, e pregai il Giudice a non procedere che cossì comandava il Cardinal Imperiale Governator di Roma, che m’haveva mandato apposta.
Ubbidì il Giudice et Io andai dal Cardinal, li rappresentai qto succedeva, che lui era obbligato aiutare quella Sig.ra per esser sua Parente, che havesse fatta consegnar le Robbe ad una terza persona acciò non se li facesse quel danno cossì notabile, et il Cardinale storcendosi fece chiamar un suo Gentilhuomo e mandò a dir al Giudice, che lasciasse star il tutto sinche si facesse consegnare il tutto al Sr. Nicolò Gavotti, suo Genero, che l’haveria mandato a chiamare, come il tutto fù eseguito e cossì passò questa Borasca.
Morto poi Papa Innocentio Xº fù assunto al Pontificato Alessandro settimo, fù chiamato in Roma il Marchese Marcello Raimondi Riano, li fece un Breve, l’assolvè di quanto era stato inquisito con farli restituire quant l’era stato sequestrato. Morì poi la Sra Violante dell’Anno 1655 con grandissimo odore della sua bontà. Ho voluto scriver questo fatto p far vedere, che il P.Giosppe moriente annunciò la Croce, che doveva portar questa Sig.ra, specchio delle Dame Genovesi. e questi sopportò il tutto con g.ma patienza.
334.Il giorno delli 24 d’Agosto 1648 venne a visitar il P.Gioseppe languente il Sr.Pietro della Valle, e menò seco i quattro suoi figlioli, cioè Valerio, Erasmo, Francesco e Paolo acciò il P.Gioseppe prima di morire li dasse la sua beneditione, i quali teneramente amava, perche l’haveva insegnato lui medesimo dalle prime lettere e scrivere sino all’introdutione della Grammatica, il quale l’accolse con sviscerato affetto, li benedisse dicendoli che fussero ubidienti a suoi magiori come dovevano. S’ingenocchiò il Sr Pietro con i suoi figlioli, e con tenere lagrime se ne partirono, perche vedevano, che multiplicavano le genti per haver la sua bened.ne.
335.Era questo Sig.r Pietro della Valle persona molto ritirata, che quasi mai usciva, ne pratticava con nessuno, solo quando faceva qualche accademia il P.Carlo di S.Antonio di Padova Maestro de suoi figlioli veniva a S.Pantaleo, per eser persona molto studiosa, che stava componendo i suoi dottissimi libri de suoi viaggi di tanti Anni, che quasi haveva caminato tutto il mondo. Venne un Mercante della Piazza di S.Pantaleo chiamato Sebastiano Previsano, il quale era molto divoto del nro P.Gioseppe, e portò alcune tazze, e le diede al fratel Paolo di S.Gio: Battista Infermiero, acciò quando dava qualche cosa da mangiare o bevere al P li facesse adoprar quelle perche le voleva tenere per sua divotione, come havevano fatto altre persone.
336.Portò il Caso, che conforme l’andava dando da sciacquare e bere qualche cosa, le tazze erano portate via da chi meno si pensava. Venne detto Mercante Sebastiano per haver le sue tazze, il fratel Paulo li disse, che eran state rubbate, che havesse patienza, che ne portasse dell’altre che l’haveria servito; e mentre stavano discorrendo il fratel Paulo haveva in mano una scodella dove era il Pesto, che da quando in quando ne faceva prender un poco al Padre, posò detta scodella sull’ingenocchiatore del P., (prese) Sebastiano destramente detta scodella e cominciò a fuggire per le scale, e la portò via, fù seguitato dal fratel Paulo e dal P.Vincenzo della Concettione, che volesse restituir la scodella con il pesto, perche in Casa non vi era altra gallina cotta per ristorar il P. Non fù mai possibile che la volesse restituire; alla fine s’accordarono, che voltasse il pesto ad un altra scodella, e lui si tenesse quella che haveva adoprata il P e cossì la restituì, e tornò il fratel Paulo a darli il pesto, e con questa occasione si cominciò ad haver più cura delle Robbe della stanza.
337.Mentre si stava tutto sotto sopra per il dolore che sentivamo, che quanto p.ma dovevamo perder il nostro Padre, fù introdotto un pittore Napolitano valenthuomo dal P: Nicolò Maria del Smo Rosario alias Gavotti, che l’haveva chiamato, acciò facesse il ritratto del nostro Padre, e vedendosi questo, che tutti quelli che entravano s’ingenocchiavano, e li chiedevano la beneditione, che a tutti dava, e se n’andavano consolati, il Pittore ancor lui s’ingenocchiò per haverla, al che il P non solo non la diede, ma tampoco lo volle guardare, provò più volte e sempre li riuscì vano; alla fine si levò via in piedi, vennero altri e subito li benedisse; si ritirò il Pittore e fece riflessione, che lui solo non haveva havuta la beneditione per causa che si trovava in peccato mortale, per il che fece un atto di Contritione ed humiltà, et ingenocchiato avanti il P si voltò con allegro viso e lo benedisse, sicche il Pittore dichiarò publicamente quanto l’era successo, che per star in peccato mortale non l’haveva benedetto, ma fatto l’atto di contritione subito lo benedisse.
338.Si mise poi dietro alla finestra della stanza del P. che lo potesse vedere, e lui benissimo lo poteva osservare, lo cominciò a retratare, vi stiede tutta la matina, e mai potè designarlo al naturale et havendo compita l’opera non lo voleva far vedere perche non l’era riuscito come voleva, restò confuso e li diede di pennello e se n’andò via tutto mortificato. Stavano tutti i Padri mesti et ognuno pensava che alle cose della Religione perche mancando lui non vi saria più rimedio d’agiustamento, con tutto ciò ci andavamo consolando per i segni che si vedevano del concorso che mai mancava a prender la beneditione e vederlo che si viveva in speranza di quel che Dio voleva.
339.Venuta la sera delli 24 già si vedeva che andava mancando, domandò il P.Vincenzo che ora era, li disse che erano due ore, li disse che andassero tutti a riposare, e cominciò a far il conto con le dita, due, tre, quattro, e cinque, ma nessuno sapeva quel che si volesse significare. Fù dato ordine dal P.Castiglia Superiore, che l’assitessero due Padri Sacerdoti, e un fratello, che li cominciassero a dir qualche cosa spirituale e farli la raccomandatione dell’anima.
Cominciò il P.Castiglia et il P.Francesco della Nuntiata per la prima ora, e poi toccò al P.Gioseppe della Visitatione et al P.Nicolò Maria, e cossì vicendevolmente fù seguitato alla raccomandatione dell’Anima et il P stava attento e rispondeva a tutte le parole, ma solo disse, che si dicessero un poco più forte acciò potesse sentire meglio le parole. Si legeva il Passio di S.Giovanni, al che stava attento con tutti i sensi sibene il catarro l’impediva, che non poteva proferir bene le parole.
340.Fù fatto il segno che tutti andassero a dormire, che a vicenda sarebbono chiamati, che ognuno li potesse assistere un hora, che veramente pareva che dovesse durare sino alla matina delli 25 d’Agosto. Andati i Padri e fratelli a riposare ne restarono soli quattro, acciò finendo li due la loro hora potessero supplire li due altri, e quelli che havevano finito potessero chiamar a chi toccava.
341.Sonate le quattro hore di notte giudicarono il P.Vincenzo et il P.Angelo di S.Domenico, che pareva si volesse metter in Agonia, fecero sonar il Campanello Comune, e vennero tutti i Padri e fratelli abasso, e postisi tutti in genocchio seguitò il P.Castiglia la raccomandatione dell’Anima, al che il Padre Moriente stava assente con l’occhi aperti verso il Cielo, come quando era sano, che pareva facesse oratione, stiede in quella maniera sin che furono sonati le cinque ore, e poi alzata la mano, come se volesse benedire tutti, si pose in agonia, fratanto i Padri dicevano le letanie dei Santi venne l’attimo della sua morte con pronunciar chiaramente il Santissimo nome di Giesù Maria rese l’anima al suo Creatore, che per tanta sua gloria l’haveva creato, che fù alle cinque hore e mezza della notte venendo il giorno di S.Bartolomé apostolo che fù alli 25 d’Agosto 1648.
Mentre che il Padre stava agonizando tutti i Padri e fratelli piangevano per tenerezza il loro Caro Padre come era di dovere; ma spirato che fù venne allegrezza a tutti universale, che s’abbracciarono l’un l’altro con una allegrezza tanto interna quanto esterna, che pareva che allora non fusse morto, ma risuscitato, che era tanta l’allegrezza, che parevano tutti hebrii d’amor di Dio.
342.Fù dato ordine dal P.Castiglia Superiore tutti andassero a riposare fuor che quelli, che dovevano lavar il corpo, e poi vestirlo alla nostra usanza. Fù dal fratel Paulo di S.Gio:Battista Infermiero e dal fratel Luca di S.Giosppe Cercante fatta l’acqua calda e dal fratel Giuseppe della Purificatione Guardarobba e dal fratel Agabito della Nunziata Compagno del morto Padre preparata la camiscia di lana e l’altre vesti, acciò lavato si potesse vestire.
Venuti quei fratelli con l’acqua e le cose necessarie per lavarlo, fù scoverto il Corpo dalla copertina di bambaccio e dal lenzuolo, ne si trovò per il letto escremento di sorte nessuna, ma il letto odorava di fresche rose come fù osservato da tutti quelli che erano presenti, et Io posso giurar con giuramento haver sentito benissimo l’odore, che tutti ne restammo ammirati, non essendosi in tutta l’infermità di 24 giorni mai mutati i lenzuola, che più presto dovevano puzzar per il sudore, et unzioni che se l’erano fatte dell’oglio sandalino, che fù più volte adoprato, non puzzavano i lenzuoli et i Cuscini, ma come dissi odoravano di fresche e bianche Rose.
343.Furono posti due sgabelli con due tavole sopra acciò si potesse lavar il corpo con più comodita, e levatoli il gipponcino e la Camiscia di tela per lavarlo pareva che fusse vivo perche subito con la mano dritta si coperse le verende, e lavato tutto il corpo vollero lavar il braccio dritto, subito si coprì con la mano manca e non fù mai possibile che la levasse da quelle parti per poterlo vestire se p.ma non fù coperto con le mutande bianche, e con questo stese il braccio, e li fù posta la Camicia sua di lana, cioè di saia scotta, la veste, cordone, e scarpe all’Apostolica che soleva portar lui, e la sua Beretta, fù collocato dentro l’oratorio nel Cataletto acciò poi se li potessero mettere l’Abiti Sacerdotali fatto che fusse giorno per poterlo esporre in Chiesa la medema matina.
344.Fù a quella medesima hora che era spirato datone parte al P.Francesco della Purificatione Superiore del Novitiato di Borgo et al P.Camillo di S.Gerolamo Rettore del Collegio Nazareno, che già il P. era andato in Paradiso, i quali la matina vennero a buon hora a vederlo e farli quel che dovevano come è loro Padre, e lasciarono ordine tanto al Novitiato, quanto al Collegio, che tutti venissero a S.Pantaleo ad ora competente, acciò se li potesse far l’esequie da tutti come si doveva.
345.Mentre che i Padri e fratelli già erano andati a riposare, fù d’alcuni considerato, che p.ma di metterli l’habiti sacerdotali li si dovesse fare l’incavo o gettito di gesso su la faccia per farne fare una maschera al naturale,et a quell hora andai Io medesimo con il P.Benedetto di Giesù Maria Norcino ad un gettatore, chiamato Francesco, in questa professione veramente valenthuomo, che sta di casa all’incontro del Campanile dell’Orologio della Chiesa Nuova tra la strada di Banchi e Monte Giordano, il quale venne subito con li suoi arnesi, fece il gettito su la faccia, il quale li riuscì bell.mo, mà solo vi fù un mancamento, che non s’avertì che il P non haveva denti, e pciò il gesso li tirò un poco il mento, che li restò alquanto snello, mà non era cosa notabile. L’Anno Santo poi dell’Anno 1650 venne in Roma un Gettatore di geso valente huomo, al quale li feci far una Maschera di cera colorita, la quale oggi si conserva dentro una Cassetta colorita di noce, et indorata con avanti un Christallo fino di Venezia che mi diede per carità una Donna moglie d’un vetraio divota del V.P:, che all’hora faceva la sua Bottega a Pasquino, et hora la fa alla piazza della Chiesa di S.Pantaleo; quale cassetta e maschera riuscì si al naturale che pare che sia una testa di huomo vivo, che tiene l’occhi al naturale, come l’haveva lui, fatti di finissimo Cristallo lavorato di smalto, che del tutto possono far fede tutti i Padri, che sono venuti in Roma a due Capitoli Generali, oltre li Padri e fratelli che sono stati e sono in Roma.
346.Li feci far ancor a questo artefice quattro teste di cera piene di gesso, due delle quali furono mandate a Fiorenza ad instanza del P.Pietro della Nuntiata, una ne donò al Gran Duca di Toscana, che dicono la facesse mettere alla sua Galleria, l’altra al Principe Leopoldo hora chiamato il Cardinale Medici, per esser stato nostro Protettore in tutti i nostri Travagli. La terza la donai al P.Gio:Luca della Beata Vergine, quando venne in Roma al Capitolo Generale dell’Anno 1659, quale oggi si conserva nella Casa della Duchesca dentro una Cassetta dentro l’Archivio, questa per esser stata la p.ma non riuscì di quella perfetione dell’altre. La quarta portai meco alla Casa di Chieti, quale si conserva con quel decoro che si deve.
347.Venuti la matina il P.Francesco della Purificatione et il P.Camillo di S.Gerolamo fù tenuta una Congregatione da Padri Sacerdoti il modo che si doveva tenere per esporlo in Chiesa e come dovevamo portare essendo la festa di S.Bartolomeo Apostolo. Fù considerato un punto notabile che per essere ancora la festa di S.Luigi de Francesi dove la medesima matina si doveva far la Cappella del Sacro Collegio de Cardinali alla dª Chiesa della Natione Francese sarebbe di grandissimo disturbo alla nostra Chiesa di S.Pantaleo per esser di passaggio a S.Luiggi, essendo questa Chiesa non molto lungi dalla nostra e però fu stabilito, che si trasportasse sino al giorno delli 26 e fra tanto si tenesse il Corpo privatamente su l’oratorio e non si dasse voce fuora, che sia morto.
348.Che si spedissero tre fratelli a darne parte alli Padri di Frascati, Poli e Moricone, acciò venissero la matina seguente, che la matina seguente alli 12 hore si doveva far la funtione e calare in Chiesa con quella maggior sollennità possibile conforme la nostra Povertà, che non havevamo tampoco le Candele per farli quell’honore che si doveva, del che miracolosamente fù provisto di quanto faceva di bisogno. Si prese l’assunto il P.Francesco della Nuntiata d’invitar alcuni Musici per cantar la Messa sollenne di morti, il quale procurò la maggior parte de Musici della Cappella del Papa, che voluntieri riceverono l’invito per esser quelli stati la maggior parte scolari delle nostre Scuole, che per carità et affetto prepararono la musica come se fusse stato un Cardinale, o vero il maggior Prelato della Corte Romana.
Fù anco stabilito che il P.Castiglia come è superiore dasse parte della morte del P.Generale al Sig.Cardinal Ginetti, Vicario del Papa, e nostroProtettore, e non ad altri per non cagionar disturbo con la multiplicità di gente, che poteva venire.
349.Il P.Castiglia per non lasciar il suo Confessionario comise questo al P.Vincenzo della Concettione, che facesse quest’officio con il Sr.Cardinale, come fece con quella sua natural modestia e li domandò parere come si doveva esporre in Chiesa se con l’habiti sacerdotali, o vero con il suo habito ordinario per differentiarlo dall’altri Sacerdoti, che essendo Fundatore pareva esporlo diversamente dell’altri.
Li rispose il Cardinale con molta pietà che li dispiaceva la morte del P.Gioseppe, ma che haveva speranza haver un Protettore appresso a Dio che pregasse per lui e per la sua Casa, e che sempre l’haveva tenuto in gran concetto di Santità, et hora goderà il merito delle sue fatiche, e della patienza con che haveva supportate tante persecutioni senza mai essersi lamentato di nessuno, anzi andava scusando quelli che lo perseguitavano, con dar la colpa di tutto alla tentatione el Demonio, che si facevano gabbare da suoi inganni.
350.Quanto all’esporre in Chiesa è bene che s’osserva il Rito comune, e si prenda l’esempio del Papa e de Cardinali, poiche quando moiono li vestono dalli habiti sacerdotali, tanto più, che lui ha fondata una Religione di Chierici Regolari, che solo i Monaci e frati fanno questa differenza, e con questo conseglio lo licenziò, che doveva andar in Cappella a S.Luiggi de Francesi.
Fratanto il fratel Paulo di S.Gio:Battista spetiale et Infermiero cominciò a pensare d’invitare il Sig.Gio:Maria Castellani medico, il Sr.Pietro Brignoni fisico et il Sr.Christoforo Chirurgico che pensava di farlo sparare e far vedere da dove fù cagione tanta arsura nelle viscere e Cuore del Padre, poiche il Sr.Gio:Maria non solamente era valenthuomo nella Medicina, mà anco nella Chirurgia e Necropsia che publicamente legeva alla Sapienza di Roma, e della Anatomia principal Professore della quale molte cose ha mandate alle stampe.

[351-400]

351.Questo suo pensiero comunicò il fratel Paulo ad alcuni Padri, e veramente si conobbe esser dispositione divina, perche tutti i Padri concordemente concorsero a questo suo pensiero, trattò con il Sr.Gio:Maria Castellani, e li rispose che lui ancora la notte haveva pensato di sparare il P.Gioseppe non tanto per vedere la cagione del calore, che li cagionava il fegato, quanto per conservar tutti l’interiori con il Cuore, e purificar il tutto con aromati, acciò si conservassero per quel che Dio andava disponendo, e perciò diede ordine al dº fratel Paulo, che provedesse di due vasi di terra rustica capaci di tutte l’interiora, due catinelle grandi di maiolica bianca e quattro piatti spasi similmente di maiolica, due sponghe grosse, et altre cose, quattro zinali bianchi per tutti quattro et alcune pezze di tela per potersi nettar le mani, che poi haveria pensato al resto, e con questo spicciò il fratel Paulo che andasse a far questa provisione che al ritorno che haveria fatto della visita dell’ospedale di S.Spirito haveria presa licenza di non tornarvi il giorno, et haveriano appuntata l’ora acciò venissero a tempo l’altri già invitati.
352.Tornato il Sr.Gio:Maria da S.Spirito cominciò a discorrere con il P.Castiglia che havevano appuntato di sparar il corpo del P.Gioseppe e che si vedesse di prevenire acciò nessuno dichi niente fuora, che lui saria venuto subito sonate 18 hore, che fussero avisati il Sr.Pietro Brignani, il Sr.Lodovico Berlinzani medici, et il Sr.Christoforo Chirurgo, che alle 18 hore si trovano a S.Pantaleo acciò si faccino le cose a suo tempo, e che doppo esser venuti questi fusse serrata la porta a chiave e la tenga il P.Castiglia, né la dia a nessuno ne si dia audienza a chi si sia, perche se si sapesse che si faceva questa funtione, sariano venuti tutti i medici e chirurgici di Cardinali e Ambasciadori, che non haveriano fatta la funtione con quiete, né tampoco essendovi stanza a proposito p far questa funtione.
353.Che de Padri non ve n’entrano più di sei al più otto, e l’altri che habino patienza; a questo il P.Castiglia non molto si poteva accommodare perche tutti volevano vedere, e lui era da donare satisfatione a tutti acciò non si lamentano. Fù determinato che vi entrassero il P.Castiglia, il P.Francesco della Purificatione, il P.Camillo di S.Geronimo, il P.Francesco della Nuntiata, il P.Gioseppe della Purificatione, il P.Vincenzo della Concettione, il P.Angelo di S.Domenico, il P.Gio:Carlo di S.Barbara, il fratel Paulo di S.Gio:Battista et il fratel Gioseppe della Purificatione Guardarobba, e questo che fusse mentre i Padri e fratelli dormivano, che a quell’hora era hora di silenzio e riposo, e cossì fù osservato sin tanto che fù finita la dormitione.
Fù anco determinato che questa funtione si facesse dentro la scuola seconda di grammatica per eser stanza più larga e capace et approposito e meno sogetta all’altre per non essere intesi.
354.Venuta l’ora appuntata vennero tutti tre i medici, cioè Gio:Maria Castellani, Pietro Brignani, e Lodovico Berlinzani et Christoforo Chirurgo, furono posti due cavalletti con sopravi tre tavole in mezzo della stanza acciò potessero girare a torno e postisi i zinali e tovaglie avanti fù portato il corpo del P che stava al Cataletto dal P.Castiglia, dal P.Francesco della Purificatione, dal P.Camillo di S.Girolamo, e dal P.Vincenzo della Concettione per ognuno vi volevano metter le mani, ma per levar le differenze lo presero questi come più anziani.
Fratanto ognuno andava procurando qualche fazzoletto, asciugatoi, pezze e stracci come meglio si poteva per intingerli nel sangue et al corpo del Padre per tenerli p loro devotione. Portato il Corpo accompagnato dall’altri Padri e fratelli che erano presenti con candele accese in mano cantando il salmo Benedictus Dominus Deus Israel, fù collocato al luogo destinato per cominciare la funtione per spararlo.
355.Fu spogliato dentro al Cataletto, lasciandoli solo le mutande e consignata la Camiscia di lana al P.Francesco della Purificatione, che la conservasse e l’altre vesti al fratel Gioseppe Guardarobba, acciò finita la funtione si potesse di nuovo rivestire, fù posto poi il corpo sopra le tavole preparate, et il Sr.Gio:Maria Castellani s’ingenocchiò facendosi il segno della Croce, fece alquanta oratione, /pose il corpo come a sedere acciò li fusse più comodo a poter spararalo/ poi diede di mano ad un coltello fatto a ronchetto, li tagliò la pelle del Cranio della testa e levatoli l’osso del Cranio, disse queste parole questo pezzo d’osso del Cranio tocca a me per mia divotione; il quale sarà ancor vostro perche m’obligo mandarlo al Convento nostro delle Carchere, e farlo collocare in quella Chiesa decentemente in deposito p Reliquia acciò permettendo Dio qualche cosa quel Convento habia la sua parte, al che i Padri acconsentirono, ma tacitamente. Come poi fece il Sr.Gio:Maria, lo mandò alle Carcare p publico Instrumento lo fece mettere alla Chiesa delle Carchere dove oggi si conserva da nostri Padri.
356.Levatoli l’osso del cranio cavò fuora le cervella e le pose dentro una Catinella di maiolica bianca quale consignò in mano del fratel Paulo di S.Gio:Battista con ordine espresso, che non le toccasse dalla sua positura acciò a suo tempo si potessero preparare, stavano tutti attenti e nessuno parlava altro che il Sr.Gio:Maria con i Medici, Chirurgo et il fratel Paolo spetiale. Cagionò una grand.ma divotione a Padri il veder che il Sr.Gio:Maria l’haveva preso l’osso del cranio, che voleva tener per Reliquia e cossì ognuno pensava haver qualche cosa del suo come si dirà appreso per non interrompere il filo della storia. /Li cuscì poi la pelle del capo con ago e filo fatto far apposta, e pose dentro la testa da dove haveva levato il cranio al qto di stoppa di canapo acciò stasse più soda/
357.Collocato il corpo disteso sopra le tavole fece far un taglio al Sig.Christoforo Chirurgo il Sig.Gio:Maria dal petto sino a tutto il ventre, e poi un altro taglio sul ventre che venne ad esser come una croce, cominciarono a levar l’interiora nelle quali fecero molte diligenze per veder se vi fusse offesa parte alcuna, e li trovarono tutte bianche e polite, e quasi senza escrementi, furono poste dentro a due vasi di terra rustica per poi farli pulire come ne fù data la cura al fratel Paulo infermiero e spetiale, vennero al taglio del petto per allargarsi più per veder il fegato, la milza et il cuore, subito si vide il fegato e la milza grossa ma rapecchiata come in un involto, che giudicarono che quelli li dava quel tanto calore per non poter esalare, alle volte era tanto il calore che non lo faceva riposare, che (se) non vi si metteva una pietra d’alabastro bagnata bene nell’acqua fresca pareva che volesse morire.
358.Fecero un taglio alla milza e ne fecero uscir del sangue, nel quale intinsero tutti quattro i loro faccioletti, e con questo tutti quelli ch’erano presenti cercaron di far il simile, et ognuno faceva quel che poteva per intinger più panni, intanto che il frel Giuseppe Guardarobba uscì fuora per andar a trovar altri panni, perche la copia del sangue fù assai et ognuno intinse la sua parte con un silenzio e modestia, mà santa gara, che ognuno haveva rispetto al compagno, che pareva che fussero tutti d’un solo volere. Fù posto il Cuore dentro una bianca catinella e fù osservato esser stato grande più dell’ordinario, la milza et il fegato furono posti in piatti di maiolica bianca spasi acciò più facilmente li potessero voltare, quando l’haveriano da preparare.
359.Veramente fù fatto un errore notabile, che per l’ansia che haveva ognuno d’haver bagnate le sue pezze, che non fù avertito, di raccoglier il sangue in qualche vaso, che poi ce ne pentissimo non haverlo /fatto/, poiche se ne potevano empir della carafe, essendo un sangue bello rosso e brillante come se fusse uscito da un huomo vivo, che recava stupore mirabile non solo ai Padri, ma anco ai Medici e Chirurgo, che come prattici di queste materie, ne restavano maravigliati, come si poteva conservar un sangue d’un morto in quella maniera, che pareva un Rubino formato, e da qui nacque il motivo a me che lavai alcuni panni e pressi quel sangue et acqua, n’empii molte carrafine, piattini, e scodelle di maiolica bianca, che poi distribuii a molte case e persone con haverli sigillate con il mio sigillo /come ho scritto più lungamente altrove/ , et anco ne tengo una ampollina quadra sigillata con cera di Spagna per mia devotione e memoria d’un tanto mio caro Padre.
360.Svegliati che furono i Padri e fratelli andarono all’oratorio per veder il corpo del loro Padre, e non trovandolo ivi, non sapendo il successo vennero alla porta della scuola terza, che facevano forza di romperla, uscì il P.Camillo di S.Gerolamo, che haveva cura della chiave, con buone parole li quietò, dicendoli, che havessero patienza, che s’era sparato il corpo, che già era finito e poco restava, con questo li quietò, se n’andarono alla logia scoverta che rispondeva alle finestre della scuola seconda dove si faceva la funtione, da dove viddero quel che potevano vedere, e con questo si contentarono.
361.Riposti tutti l’interiori ne vasi uno separato dall’altro, furono consignati al fratel Paulo acciò li pulisse, e custodisse sintanto che fussero preparati polveri aromatiche, che doppo li 4 ore si dovevano mettere come si fece, che il tutto fù sigillato e riconosciuto dalli medesimi tre Medici e Chirurgo, e fattone publico instrumento per rogo il Sr.Francesco Meula Notaro e Cancelliere della sacra Visita Apostolica, quali Reliquie furono poste dentro due scatole con l’iscritione nel Inventario che cosa erano. Furono sigillati con più sigilli e consignate al P.Vincenzo della Concettione Procuratore della Casa di S.Pantaleo, il quale poi vi fece far una cassetta di Noce ben lavorata, vi fece far quattro serrature con quattro chiavi, una delle quali tenne Io, sinche fù fatto Generale il P.Castiglia, che poi furono dispensate dette chiavi al P.Generale et Assistenti, et Io solo tenevo la chiave della stanza del V.P. dove fù posta detta Cassetta, et ivi si conserva con il medesimo ordine di prima.
362.Finita la funtione di rassettar l’interiora del V.P. presero calce disfatta e ne diedero una mano dentro al corpo come se si dovesse imbiancar un muro, fù poi ripieno di cime di mortella, fronde di lauro e di merangoli, et altre erbe odorifere, fù cuscita tutta la pelle del corpo, che pareva che non fusse mai stato toccato. Finito d’agiustare si voleva vestire come prima, fù cercata la camiscia di lana della quale era stato spogliato, che fù consignata al P.Francesco della Purificatione, e doveva haverla posta in una sedia, sicche non fù mai più possibile a poterla trovare.
363.Il P.Castiglia venne in tal collera, che come Superiore voleva far la scomunica acciò fusse restituita, e però fù consultato che non la facesse perche chi l’haveva presa non era suo suddito, e di già s’è partito e stava di Casa al Novitiato di Borgo e che havendola quello il P. Francesco li diede parola farla restituire, e cossì si quietò, e però fù detto al fratel Gioseppe della Purificatione Guarda Robba, che prendesse un altra Camicia di lana del Padre acciò si potesse vestire giacchè quella non si potè mai più trovare, della quale ne fù data la colpa al medesimo P.Francesco, che la diede al P. Giorgio di S.Francesco Piemontese, che stava al Collegio Nazareno et il P.Giorgio la diede al fratel Giacomo di S.Donato, che stava di famiglia al Novitiato di Borgo, che la portò via, che per quietar il P.Castiglia ne li fù solo data una manica e l’altra se la spartirono tra li Padri del Novitiato e quelli del Collegio Nazareno.
364.Fù portata l’altra Camiscia, li fù posta e postoli a sopra la veste non si trovò il cordone per Cingerlo, né la sua Beretta, né scarpe all’Apostolica per calzarlo, che pure l’erano destramente state levate, si che fù necessario metterli altre cose, che pure haveva usate lui medesimo, che stava in guardarobba, del che ne furono fatte grand.me doglianze da Padri havendo havuto ardire sin levarli le scarpe dalli piedi, che mai si potè sapere, chi le prendesse, mà poi furono trovate queste scarpe l’anno 1669 che l’haveva un P. Teatino che stava a S.Andrea della Valle, il quale /non/ mi si racorda il nome, ma bensì fù fatto Vescovo di Cremona, rinunciatoli il Vescovato dal Cardinal Vidoni.
365.Quale scarpe stavano dentro una scatola con un faccioletto bagnato dal Sangue del V.P., un dente, un sciugatoio delli capelli del medesimo, et alcuni pezzetti di nervi levati dalla testa quando li fù levato il cranio et il cervello, e l’haveva dati in deposito il Sr.Christoforo Chirurgo p.ma di morire, che come cose del Servo di Dio, non voleva che andassero male, e saputo ciò dal P.Gio: (Carlo) pregò detto P.Teatino, che si volesse contentare farli vedere la scatola che li lasciò la bona memoria del Sr.Christoforo mentre l’haveva lasciata in deposito come me l’haveva detto la moglie di dº Christoforo, che non voleva veder altro, che cosa era in detta scatola, tanto più, che a lui non serviva per niente per non saper la certezza che cosa e di chi erano, che quando l’haveria riconosciute, all’hora si potevano autenticare e farne fede da più testimonii.
Tanto li disse il P.Gio:Carlo che il P.Teatino si contentò, lo menò in camera, apri la scatola con patto però, che solo vedesse quel che vi era, mà non toccasse cosa nessuna.
366.Aperta la scatola vi si trovarono le scarpe, un dente involto in una carta, che diceva haverlo levato il med.mo Christoforo molti anni prima che morisse, un sciugamano, un faccioletto tutto tinto di sangue, una cartuccia con alcuni capelli bianchi, che haveva conservati quando l’haveva fatta la barba, una cartuccia con dentro alcuni pezzetti di pellame o vero nervi et anco una oratione funerale stampata che fù quella che fece il P.Camillo di S.Gerolamo Rettore del Collegio Nazareno; quelle robbe erano separate et ognuna con la sua inscrittione di mano del medesimo Sr.Christoforo, che benissimo furono riconosciute tanto dal P.Gio:Carlo, quanto dal fratello Eleuterio della Mre di Dio suo Compagno, ma parendo che il P.Gio:Carlo facesse poco conto di quelle cose le disse, che era bene farle riconoscere da altre persone per via di Notaro, che un giorno ne haveria menato Francesco Maria Simio Notaro del Vicario con altri Testimonii e poi si sariano spartito il tutto pro uguale portione, ma che solo il dente voleva di più il P.Gio:Carlo, e restati con questo appuntamento passarono più di sei mesi che mai se ne parlò più, per esser il P.Gio:Carlo applicato in altri negotii di maggior premura per le cose publiche della Religione.
367.Mentre un giorno stava discorrendo il P.Gio:Carlo con li PP D.Tomaso del Bene et il P.D. Francesco Biscia al chiostro di S.Andrea della Valle, accaso passò il P.Teatino, che già haveva speranza, che il Cardinal Vidoni li rinunciava il suo Vescovato di Cremona. Disse al P.Gio:Carlo quando voleva quella scatola con quelle Robbe, acciò la facesse autenticare dal Notaro.
Li rispose, che se si compiaceva di darla di presente l’haveria portata a farla riconoscere, et a drittura lo menò in Camera e li diede la scatola con tutta la Robba, che vi era dentro, quale portò a S.Pantaleo e la pose nella sua stanza senza dir niente a nessuno per paura, che non li fussero levate da qualche suo Superiore Maggiore.
368.Passati tre mesi il P.Teatino fù consecrato Vescovo di Cremona, fece le sue visite a tutto il Collegio di Cardinali e Ambasciatori e Prencipi, e prima di partire venne a S.Pantaleo, fece cercar il P.Gio:Carlo, li fù risposto che non era in Casa, e cossì volle parlar al P.Cosmo di Giesù Maria Generale, dicendoli haver consignata una scatola con diverse Reliquie del lor P.Gioseppe Fundatore al P.Gio:Carlo Procuratore, acciò facesse il tutto autenticare, havendoneli promesso una parte, che haveva pensiero di portarla alla Catedrale de Suo Vescovato, che li facesse gratia dir al P.Gio:Carlo, che o l’aspetti o che lo vadi a trovare /con le robbe/ perche fra due giorni voleva partire per la sua residenza di Cremona.
369.Tornato il P.Gio:Carlo in casa li disse il Generale che vi è stato il nuovo Vescovo di Cremona il quale lo cercava, che voleva la parte delle Reliquie del P.Fundatore, e che lo stava aspettando a S.Andrea della Valle, o vero l’aspettasse, che saria venuto lui a pigliarle.
Li rispose il P.Gio:Carlo che s’era consultato con Mons. de Rossi Promotore della Fede, il quale li disse che in nessuna maniera li dasse tali Reliquie autentiche, perche essendo introdotta la Causa della Beatificatione nella Congregatione de Sacri Riti, sapendo la Cong.ne che s’andavano dispensando le Reliquie del P.Gioseppe autentiche potrebbe nascere accidente,che fusse ritardata la Causa, e che lui saria stato il p.mo a far l’ufficio suo come era obligato, si che se tornasse detto Prelato, li dicesse con buone parole, che per l’occupationi del P.Gio:Carlo non s’erano potute autenticare, ma che quando sarà tempo sarà servito e li saranno mandate sino a Cremona con ogni puntualità.
370.Tornò il Vescovo dal P.Generale, il quale li rispose, che quando sarà tempo l’haveria mandate lui medesimo con ogni puntualità, che scusasse il P.Gio:Carlo non haver potuto far autenticare le Reliquie per accidenti di negotii gravi della Religione e con questa buona risposta partì contento.
Tra quattro mesi poi il Vescovo scrisse al P.Generale da Cremona che stava aspettando le Reliquie come l’haveva promesso, al che li rispose che ancora non era tempo per le difficultà che se li presentavano.
371.Fù riposta la scatola con le scarpe dentro la stanza del V.P. con altre cose, mà il dente lo prese il P.Cosmo Generale per donarlo al Prencipe Cardinal Leopoldo de Medici di Firenze, quale accomodò il P.Gio:Carlo dentro un scatolino foderato di taffetà, ma poi non li diede detto dente, che lo tenne lui medesimo per sua devotione, che si portò via a Palermo finito il suo officio di Generale, et al Cardinale li diede un manipolo che haveva adoprato il V.P. quando diceva la messa, autenticato dal medesimo Generale.
Questo regalo che fece il P. Cosmo Generale al Cardinal Leopoldo fù per causa delli favori fatti appresso alla Santa mem: di Papa Clemente Nono, et al Cardinal Ruspigliosi per la reintegratione della Religione, come diffussamente s’è fatta un altra Relatione apparte che conserva il P.Cosmo già Generale, che si portò via in Palermo.
372.Fù di nuovo vestito il P con la sua veste, cinto con il cordone postoli la beretta et altre scarpe, fù rimesso nel Cataletto come p.ma e ritornato all’oratorio con il medesimo ordine de Padri, fù collocato in mezzo all’oratorio con quattro torce accese. /Li fù fatta la barba dal fratel Luca di S.Gioseppe di Fiesole, et ognuno cercava d’haver de capelli e peli della barba, per tenerli per sua devotione, e questo cagionò qualche disturbo che ognuno pretendeva d’haverne/.
Fù poi vestito con un Camisce et amitto di vellutto nuovo con merletti, che era il meglio che fusse in Sacrestia, et una pianeta con stola e manipolo pavonazza di seta fiorata con due Coscini et in mano un Calze con la coppa d’argento, che pareva che fusse vivo lucendoli il viso come se fusse un raggio di sole.
S’andava pensando di trovar qualche cosa di far una Cassa in qualche maniera, mà perche in Casa non vi era nessuno da nero per coprirla, chi diceva che si potevano pigliar tavole da letti per rimidiare, che poi si potrebbono col tempo comprar di nuovo, e chi diceva una cosa e chi un altra, siche eravamo tutti impicciati; ne si sapeva prender resolutione nessuna, pche le tavole de letti erano corte, e non si potevano giungere assiemi per esser vecchie.
373.Rispose il fratel Luca di S.Gioseppe da Fiesoli, che si dassero pace, che lui haveria fatta la diligenza per farne far una di tavole di castagno come va fatta, mà che fratanto facessero oratione, e con questa propositione si quietarono, come il tutto riuscì con magior vantaggio come si vedrà appresso distintamente. La sera doppo cena tutti i Padri e fratelli fecero la solita recreatione all’oratorio avanti il Corpo del nostro V.P. e si discorreva delle sue virtù, et in quel mentre venne il fratel Francesco dell’Angelo Custode /Cuoco della casa di S.Pantaleo/ Genovese, con un grandissimo fervore et ardenza cominciò un discorso dicendo fra l’altre cose queste formali Parole: Padri e Fratelli miei già il P. è morto come qui vedete, e vole e comanda che s’osservano ad unguem le nostre Costitutioni e far l’Instituto come si deve, se vogliono che la Religione vada avanti, e se non credete a me mi basta l’animo di chiamarlo e farlo dir a lui medesimo.
374.Fù tale questa propositione che tutti restarono attoniti, mà la prudenza del P.Castiglia li cominciò a dire che tutti erano pronti ad esser osservanti et haveriano fatto l’Instituto con ogni puntualità, e cossì si quietò il tutto, fù dato il segno delle Letanie de Santi al nostro solito, fatto l’esame di coscienza e data la beneditione dal Superiore, disse, che ognuno s’andasse a riposare, che quanto a guardar quella notte il corpo del P vi voleva stare lui et un altro P acciò poi la matina seguente, che si doveva far la funtione della Chiesa non fussero stanchi dalla veglia, e per quest’ordine andarono a dormire, facendo restar solo seco il P.Gio:Carlo, che quasi tutta la notte non fecero altro che dir orationi vocali.
375.Quelli che vi vennero la sera per vederlo furono Mons. Fco Firentillo, Mons.Oreggio, Mons. de Totis, Mons. Biscia, et un familiare del S.Ufficio, che non li potevamo far uscir di Casa per serrar la porta.
Vi fù anco il Sr.Cosmo Vannucci Elemosioniero secreto di Papa Innocentio Decimo, come lungamente avanti s’è detto, questi vennero come familiari di Casa, che ancora non s’era saputa la morte per Roma, et il giorno erano state serrate le porte.
La matina a buonissima hora vennero i Padri di Frascati, quelli di Poli, e quelli di Moricone, e si pensò di trasportar il Corpo in Chiesa alli dodici ore fratanto fecero la provisione delle candele acciò n’havessero una per uno. Vennero anche i Padri e fratelli del Novitiato come anco quelli del Collegio Nazareno con tutti gli Alunni e Convittori.
376.Fù dato ordine, che si cominciassero a far sonare le Campane, furono date poche tocche, subito il P.Nicolò Maria del Rosario cominciò a dire che stava gravemente amalato il Duca di Bracciano Orsini, che quel sono li dava tedio e melinconia, che già l’haveva mandato a dire dalla sera, e cossì il P.Castiglia diede ordine che non si sonasse, il che cagionò qualche disturbo ai Padri che volevano, che si sonasse per forza acciò se li faccia quell’honore, che se li doveva, mà il P.Castiglia cominciò a dire che ci conformassimo alla voluntà di Dio, che cossì andava disponendo per magior gloria sua, e cossì si quietarono, e non furono più sonate le campane.
377.Venuta l’hora già appuntata, fù posta all’ordine la Processione in questa maniera: andava inanzi un Chierico con l’incensiere, e Navicella dell’incenso, poi la Croce con due altri Chierici, che portavano li candelieri, et appresso seguivano li Collegianti tra Alunni e Convittori del Collegio Nazareno tutti con le loro candele in mano, e dietro loro veniva il P.Giorgio di S.Francesco come loro Prefetto; appresso venivano i Novitii, poi i Frelli secondo la loro Professione; appreso i Chierici, e poi i Sacerdoti con il med.mo ordine di Professione, veniva ultimo il P.Castiglia come è superiore vestito con il camice e pioviale nero, e doppo veniva il Cataletto con (il) Corpo portato dal P.Gioseppe della Visitatione, P.Camillo di S.Girolamo, P.Francesco della Nuntiata e P.Vincenzo della Concettione, uscirono dalla portaria e fecero un giro per la piazzeta avanti il Marchese Torre et il Palazzo de Sigri Massimi, cantando tutti con g.ma devotione il salmo Miserere et De Profundis.
378.Nell’entrar che fece il Cataletto alla porta della Chiesa vi era un putto, che non credo che ancora havesse cinque Anni, chiamato Tomaso Nipote del P.Francesco della Nuntiata, il quale cominciò a gridare con queste precise parole: Ecco il Santo, ecco il Santo, ecco il Santo, e presa questa voce da cosa puerile non furono all’hora considerate queste parole, se non doppo alcuni giorni, che si vedeva quel che andava succedendo. Fù collocato il Cataletto in mezzo della Chiesa con quattro torcie di Cera bianca, e dal P.Castiglia fù ordinato al P.Vincenzo della Concettione et al P. Gio:Carlo di S.Barbara, che havessero pensiero di custodir il Corpo del P.Gioseppe Fundatore, perche i Padri volevano andar a cantar l’ufficio de difunti.
379.Accaso passò una Donna dalla porta grande della Chiesa per uscir dalla porta picola, una Donna chiamata Caterina d’Alessandro, Vedova Romana /habitante in piazza di Sciarra/ la quale s’ingenocchiò davanti al Cataletto, e toccò più e più volte un braccio leso sopra i piedi del P.Gioseppe e dimandata dal P.Vincenzo perche toccava il braccio a quei piedi, li rispose che non lo poteva maneggiare, et era leso, et haveva fede a quel Servo di Dio che per i suoi meriti l’haveria restituito al primiero stato di salute. Hebbe tanta fede questa buona Donna, che in subito li passò il dolore del Braccio, lo cominciò a maneggiare et uscendo fuora dalla porta piccola della Chiesa, cominciò a gridare sinche arrivò in piazza di Sciarra: Miracolo, Miracolo, che a S.Pantaleo delle Scuole Pie é morto il P.Gioseppe Fundatore, e m’ha sanato un braccio, che havevo leso, e lo maneggio benissimo, e p tutta la strada sinche arrivò a casa non fece altro che gridar in questa maniera.
380.Incontrò vicino alla Sapienza Mons.Scannarola che andava dal Cardinal Barbarino huomo cognito p tutto il mondo, entrò in Chiesa, s’accostò al Cataletto li basciò i piedi e le mani et in un subito si vidde cinto da una moltitudine di Popolo in tanta quantità, che non poteva uscire, e questo Prelato portò questa nuova al Cardinal Barbarino, che vi mandò subito il suo Mastro di Camera, il quale s’accosto al P.Vincenzo facendoli instanza da parte del Cardinale, che voleva sapere l’infermità, quanto era stato ammalato, e quando era morto, siche era tanta la calca della gente, che poca satisfatione se li potè dare, mà se n’andò in Coro, fece chiamar il P.Castiglia dal quale volle esser informato minutamente del tutto.
381.Con la voce di Caterina d’Alessandro si tirò con il concorso alla dª Chiesa una altra Donna chiamata Antonia Poli, la quale portava seco un figliolo chiamato Francesco figlio di Pietro Sufisone fornaro a S.Maria in Via, e detto figliolo haveva nella mano manca infantigliola, altri dicevano spina nervosa in tal maniera che li teneva impedito tutto il braccio, l’accostò al meglio che poteva la Donna quel figliolo, il P.Vincenzo li fece fare il segno della croce facendoli dire il Pater et Ave Maria, fece toccar la mano sopra i piedi del P.Gioseppe e subito restò sano del tutto, usciti dalla porta della piazza grande, che va verso Pasquino, a chi trovava quella Donna raccontava, che a S.Pantaleo era morto un P che faceva Miracoli et haveva sanato quel putto dall’infantigliola, che p.ma non poteva maneggiar il braccio et hora è perfettamente sanato, e con questo si vidde venire da verso la piazza di Pasquino e da piazza Navona tanta moltitudine di gente, che non si capiva più per la Chiesa, venivano l’onde di gente, che non si faceva poco a riparare che non butassero per terra il Cataletto, fù preso p espediente di far un steccato di banchi grandi con le spagliere per difendere il corpo dall’onde che venivano, che per la matina si remediò in qualche parte, si faceva entrare a poco a poco qualche persona conoscente con havervi posti alcuni Corsi Soldati nostri scolari acciò non ci fusse qualche disordine, che lasciavano entrar le genti da quattro bande.
382.Vennero la Sra Maria Spinola Marchesa Raggi e la Sra.Violante Raimondi, quali furono introdotte dentro il steccato e non ne vollero uscir mai sino che si finì la funtione della Messa Cantata, queste due Sig.re bagiarono più volte i piedi al P.Gioseppe, e tutte due testificavano sentirvi una fragranza di Rose, il che poi fù osservato da più persone, e questo p.ma che venisse una donna che buttò una quantità di fiori, come diffusamente s’è parlato altrove in altra occasione.
383.Successe un caso che fra l’altri vi entrò un huomo che non solo tagliò un pezzo della veste e del camice del Padre, mà li levò l’ugnia (sic) del dito grosso del piede dritto, del che p la calca non ci accorgemmo, ma bensi s’accorsero la Sra Marchesa Raggi e la Sra.Violante Raimondi, che videro chi fù, che subito levata l’ugnia scappò via, e dal detto dito ne uscì del sangue, e quelle Signore con i faccioletti asciugarono il sangue, e da questo nacque il motivo che li tagliarano quasi tutto il Camisce e la veste, restando solo come in gipponcino tanto della veste quanto del camisce, mà la pianeta non fù toccata, ne il manipolo ne la stola. Fussimo necessitati a levarli il calice per paura che non lo facessero cascare.
384.Quattro volte fù fatta come una faldiglia di panno nero che se li metteva attorno acciò il corpo non restasse nudo, et anco vi fù posto un altro camisce al meglio che si potè, che tutto fù tagliato sino al panno del Cataletto nero, che chi poteva pigliar qualche cosa voluntieri lo faceva; vi fù un altro, che si pose a levarli i peli delle ciglia, per (il) che fù cavato fuora dalli Corsi a botte d’urtoni, per il che si stiede più attenti acciò non pericolasse il corpo.
Furono buttati sopra il Corpo una quantità di fiori di più sorti senza sapersi chi li buttava, il che cagionò un g.mo tumulto perche tutti volevano prender di quei fiori per loro divotione per haver toccato il Corpo del P.Gioseppe, che per non (dir) il tutto di nuovo si puol vedere avanti, che già come dissi è scritto diffusamente.
385.Si sparse per tutta Roma la fama della morte del P.Gioseppe e non si vedeva altro che Prelati, Cavalieri, che p non cadere dall’onde che venivano del Popolo, si raccomandavano ai Corsi, che l’aiutassero ad entrar nel steccato che con difficultà li potevano aiutare.
Finito l’ufficio de defunti uscii la Messa cantata, che con grand.ma difficultà potè passare il Celebrante, che fù il P.Castiglia con li ministri, che anche vi fussero li miglior musici della Cappella del Papa p il tumulto della gente non si potè godere la musica, ne tampoco da quelli che stavano al Coro, poiche in Chiesa non si sentiva altro che gridare, non solo da quelli che venivano per vedere, mà dall’ossessi e speritati, che cagionavano una grand.ma Confusione, non si sentendo altro che strida, urli, e gratie, e miracoli, in qual maniera eravamo tutti storditi, che non si poteva più resistere.
386.Mentre che stavamo in queste angustie venne da me un tal fratel Tomaso Abbruzzese, Cercante de denari che ancor vive, che sta a Frascati, il quale mi disse che l’haveva detto un nostro benefattore, che era stato dato un Memoriale a Mons.Rinaldi Vice Gerente, e non volle dir da chi, e che lettolo il Vice Gerente disse: è pur gran cosa, hanno perseguitato questo P vivo, et è morto, et anco lo perseguitano. Che dº Prelato lasciò il memoriale sul tavolino, se n’entrò al studio, e che quel Gentilhuomo lesse il Memoriale, il contenuto del quale era che era morto il P.Gioseppe della Mre di Dio Fundatore delle Scuole Pie, e che i suoi PP credevano dovesse far gran cose, che dasse ordine che subito fusse sepelito, acciò non succedesse qualche scandalo.
387.Siche questo Gentilhuomo venne ad avisare acciò si rimediasse a quel che poteva succedere per prepararci. Non applicai a queste parole, parte che ero sbalordito non solo dal tumulto ma per le spinte, che del continuo che havevo, che hora ero agitato da una banda, et hora all’altra. Solo risposi sarà quel che permetterà Dio.
Mentre stavamo in questo discorso venne un onda di gente dalla porta grande della Chiesa, che facevano cascar tutte le genti, siche per quietar il rumore i Corsi posero mano alle spade, e fecero peggio perche ruppe il steccato delli banchi in mille pezzi per entrar a bagiar i piedi del P. mà bensì il Cataletto mai fù toccato, ne mosso, che s’accostavano con grand.ma divotione, e bagiatoli i piedi se n’andavano via.
388.Rotti che furono i Banchi del steccato per ovviare a qualche disordine di qualche scandalo, che poteva nascere fù pensato di portar il Cataletto con il Corpo del P. dentro l’altar maggiore dove era la Balaustra di legno di Noce pensando che quella resistisse, e non haveriano fatto tanto rumore, con havervi fatto assistere detti Corsi nostri Scolari.
Fratanto il fratel Luca di S.Gioseppe Cercante se n’andò dalla Sra.Duchessa di Latri, moglie del Duca Farnese, e cognata di Mons.Farnese, che poi fù Cardinale, Signora veramente di gran pietà, che a quel tempo faceva fabricare un nuovo Monasterio alle radici del Monte di S.Pietro Montorio, e li rappresentò, come era morto il P.Gioseppe della Mre di Dio, Fundatore della nra Religione, che li facesse qualche Carità, che li voleva far una Cassa da poterlo far sepellire, che per la loro Povertà non sapevano come dovevano farne non havendo comodità di farli far una semplice cassa.
389.La Duchessa che già haveva sentito dire che vi era un grandissimo concorso et haveva fatto molti miracoli, li cominciò a domandare s’era vero quel che si diceva per Roma, che non si poteva capir per la Chiesa, e che haveva fatti miracoli, e che li dicesse qualche cosa.
Li cominciò a raccontar che quando fù portato in Chiesa tampoco furono sonate le campane per non dar tedio al Duca di Bracciano, che stava male, e che subito apportato in Chiesa il Corpo haveva sanato un braccio leso ad una Donna, e l’infantigliole ad un figliolo, e questi havevano sparso per Roma questa fama, che lui non sapeva altro di ciò; mà che per dove era passato li dimandavano, non sapeva altro che risponderli perche era uscito subito di Casa, mà bensì haveva visto correr molta gente alla volta di S.Pantaleo.
390.La Duchessa lo cominciò ad esaminare della vita, che haveva menata il P.Gioseppe, e le penitenze che haveva fatte, et il fratel Luca, come che era prattico delle cose del P.Fundatore li disse qualche cosa.
Restò tanto affettionata la Duchessa alla devotione del P.Gioseppe, che rispose al fratel Luca di che voleva che si facesse la Cassa per mettervi il Corpo del P.Gioseppe, che vedesse di trovar un falegname, che lei haveria pagato il tutto, e non havrebbe a pigliarsi altro fastidio d’andar acercar altre elemosine.
Li rispose il fratel Luca che per non spender molto si potria fare d’albuccio, che con tre scudi si faria fare.
Li replicò la Duchessa, che l’albuccio è molto fragile, che saria meglio a farla fare di Castagno acciò resista più all’umidità, che veda di trovar un falegname, che habia tavole di Castagno approposito, che non si guarda a spesa, che il tutto haveria pagato puntualmente, portate qui il falegname, che li dico Io come si deve fare dª Cassa.
391.Andò subito il fratel Luca, trovò il falegname, che haveva le tavole di castagno approposito, prese le misure al corpo, e poi andarono assiemi dalla Duchessa, la quale li dimandò quanto voleva della Cassa finita, ma che sia d’una grossezza mediocre acciò possa ressistere all’umidità; fece il conto il falegname, che non poteva spender meno di sette scudi, perche doveva esser longa da dieci palmi, per il corpo assai lungo. Sogiunse la Duchessa: la Cassa desidero che sia di tredici palmi lunga e larga alla sua proportione perche vi voglio far fare anco una cassa di piombo acciò si mantenga per sempre.
392.Stava attento il fratel Luca, e non s’attentava a parlare, ma quando intese la Cassa di Piombo, disse: Sig.ra basta che mi paga la Cassa di Castagno perche a farla di piombo e troppo spesa, et a me non basta l’animo a trovar altre elemosine, il tempo è breve, e quando si puol far una cassa di piombo che a lavorarla solo vi vole al meno quattro giorni.
La Duchessa fece dar al falegname quattro scudi di caparra, ma che la Cassa fusse finita per la sera, e la voleva vedere lei medesima, siche finita la lasciasse stare che sul tardi saria passata dalla Botega a vederla, e con questo lo licenziò.
Disse poi al fratel Luca, andate a portarmi qui un stagnaro, che sia valenthuomo, che vedremo che si puol fare p far fare la Cassa di piombo, e non vi prendete altro fastidio, che Io pagarò tutto, e non voglio che nessuno vi metta quanto fusse un mezzo quadrino, mà è necessario, che il Maestro sia diligente, che faccia presto e bene, acciò venga a tempo.
393.Il povero fratel Luca si trovava impacciato con tutto ciò li disse che alla Piazza delli Pollaroli per andar a Campo di Fiori vi era un tal stagnaro Maestro Francesco Milanese ch’è persona diligente, e quel che non fà questo non credeva che lo potesse far altro, che avertisse Sua Eccellenza che la spesa saria troppa, e non vorria gravarla tanto, che solo bastava la Cassa di Castagno, che come poveri saria stata soverchia. Li replicò la Duchessa: habiate patienza se havete da far quest’altro viaggio, che veramente è lontano, e fa caldo. Andate con questo mio servidore insegnateli il stagnaro, e diteli che venga qui da me, che li voglio parlare, e non vi pigliate altro fastidio, che questa sera sul tardi al fresco sarò Io a S.Pantaleo, che voglio veder il P. e pregarlo che mi impetri dal Signore, che leva l’impedimenti che possi compir l’opera da me incominciata a finir il mio Monasterio, perche mi si trovano tante difficultà da più persone, che non possa haver il mio desiderato fine, poiche non solo m’impediscono gli esterni, ma anco i miei Parenti, che son quelli che mi danno più fastidio e spero ottenere quanto bramo, e con questo licenziò il fratel Luca e lo mandò con il suo Maestro di Casa acciò conducesse da lei il Maestro Francesco stagnaro.
394.Non mancava rettorica al fratel Luca a ringratiar la Sig.ra Duchessa di tanta pietà, mà perche vedeva esser cosa Divina l’animò a proseguir l’opera cominciata, assicurandola che haveria ottenuto da Dio quanto desiderava per impiegar il suo danaro ad un opera di tanta pietà a far un Monasterio di povere zitelle, come già haveva cominciato a servar molte zitelle, alle quali lei medesima dava il latte del Spirito Divino et insegnarle ancora a lavorare in ogni cosa. Partì il fratel Luca con il Mastro di Casa della Duchessa, trovato il Maestro Francesco stagnaro li domandò se li bastava l’animo a far una Cassa di piombo da mettervi il nostro Padre, che vi era una Sig.ra, che voleva far la carità, che non haveria guardata a spesa, mà che la voleva per la sera.
395.Li rispose Maestro Francesco, che lui haveva lavorate alcune lastre di piombo, che sariano approposito a far una Cassa e che era facile a finirla per la sera medesima.
Condusse il Mastro di Casa della Duchessa il stagnaro dalla sua Padrona, furon d’accordo, fecero il patto, li diede la caparra dicendoli che non parlasse con nessuno chi faceva far detta Cassa, né dicesse a nessuno per chi servisse, che la sera lei medesima la saria andata a vedere.
396.Tornò a Casa il fratel Luca e domandando Io che cosa haveva fatta della Cassa, mi rispose, che Dio miracolosamente haveva proveduto più di quello, che lui haveva cercato, poichè non solo si saria fatta la Cassa di Castagno, mà anco sperava haverla di piombo, poiche la Duchessa di Latri haveva mandato a chiamare Mastro Fra.co stagnaro, che ne facesse una di piombo, e lei haveria pagato il tutto, e mentre stavamo discorrendo venne Mastro Francesco prese la misura, e disse esser questa cosa miracolosa poiche la sera avanti haveva tirate alcune lastre di piombo per qualche accidente che potesse succedere, che solo li mancavano li due fundi laterali, che in due ore l’haveria lavorati, che haveva havuto la caparra e fatto il patto, che al sicuro la sera saria finita e sperava che prima che venisse la Duchessa a vederla l’haveria posta all’ordine, che anche l’haveva ordinata una piastra larga approposito da farvi una inscrittione, mà che l’haveva pregato che non dicesse chi la faceva fare ne per chi servisse, perche non voleva che lo sapessero i suoi per molti rispetti..
397.La sera verso 23 hore andò la Duchessa a veder le Casse, furono di sua satisfatione, restò contenta, et ordinò che le portassero a S.Pantaleo con l’istesso ordine, che chiamassero il fratel Luca cercante, che andassero dal Mastro di Casa, che l’haveria data compita satisfatione. Venne poi la Duchessa a S.Pantaleo, mà perche le porte della Chiesa erano serrate per la moltitudine nel populo non potè entrare, fece chiamar il fratel Luca, il quale s’adoperò che la fece entrare dalla Portaria, fece lunga oratione al Corpo, la quale testificò haver una alegrezza interna e sperava compir i suoi desiderii di quel che haveva domandato, che l’impetrasse dal S.re per li suoi meriti. Fra pochi giorni si levarono l’impedimenti, cominciò la fabrica, e seguitò felicemente incorporando la fabrica al suo palazzo, acciò vi potesse entrar et uscire a sua posta.
398.Non si fermò qui l’operatione di questa Cassa, che fu cagione, che succedesse un miracolo evidente approvato da molti personaggi che erano in Chiesa, e fù in questa maniera: verso un hora di notte fù portata la Cassa di piombo da quattro stagnari huomini robusti conforme era il peso del piombo, e giunti alla porta della Chiesa vi era un huomo chiamato Salvatore di Marino d’Anagni stroppiato della banda manca cioè dal Braccio e dalla coscia e gamba, che caminava strascinandosi per terra con il braccio e natica dritta, come diremo appresso la sua infermità, quando passava in questa maniera dalla piazza di S.Pantaleo vidde il rumore della gente avanti la porta della Chiesa domandò che rumore era quello di tanto popolo; li fù risposto che era morto il Fundatore delle Scuole Pie e faceva miracoli, e strascinandosi avanti la porta della Chiesa haveva fede e speranza di ricuperar la salute. Si tirò alla soglia della porta della Chiesa acciò venendo qualche occasione vi potesse entrare. A quel punto vennero li stagnari con la Cassa di piombo, e Mastro Carlo pose il piede sopra il piede del stroppiato al dritto che poteva più manegiare; li fece tal male e li cagionò tal dolore, che gridava con tal voce, che compassionava tutti, e chi diceva guarda, che discrezione non guardar dove mettono (il piede) che havevano fatto stroppiare un povero huomo, e chi diceva esser stata disgratia perche cosi haveva portato il caso.
399.Posata la Cassa in Chiesa uscì fuora Mastro Carlo, chiese perdono a quel Poveretto, non haveva fatto a posta, che p il peso non haveva guardato, che per amor di Dio lo perdonasse.
Salvatore li fece instanza che li facesse la carità portarlo in Chiesa che haveva fede per li meriti di quel Servo di Dio saria sanato.
Lo prese Mastro Carlo di peso, e portatolo in Chiesa lo lasciò vicino al Cataletto. Salvatore li disse, fatemi la Carità e mettetemi sopra il Corpo del Padre, e presolo di nuovo lo pose sopra il Corpo, e lasciatolo cominciò a gridare lasciatemi che sono sano, lasciatemi andare, e lasciatolo saltò giù in terra, cominciò a passegiare per la Chiesa benissimo, dove era l’Imbasciatore di Savoia con la Moglie, il Marchese Rinoccini Ambasciador di Fiorenza con la Moglie, il Duca Strazzi con la moglie et anche la Marchesa Strazzi sua madre, il Colonello e capitano de Corsi con le loro donne, e vi erano anco de Prelati e molti Padri nostri, siche questo fatto fù comprobato da questi personaggi con stupore di tutti, siche più s’accese la gente alla divotione.
400.Fù portato detto Salvatore dentro la scuola dell’Abaco, e serrato pche era tanta la calca della gente che non lo lasciavano vivere, fu fatto reficiare, e la notte stiede a riposar dentro la scuola.
Si sparse questa voce la matina per tutta Roma, dove venivano le genti a vederlo, e massime quei di Campo de Fiori dove era stato elemosinando per più di due mesi, poiche campava con questo; stiede tre giorni a S.Pantaleo, e sempre i Padri li fecero la Carità, poi se n’andò in Anagni suo paese sano e salvo, e per dieci Anni ogni anno veniva a Roma, che andava a mietere, et ogni volta veniva a far oratione al Sepolcro del suo liberatore, il quale mi raccontò più volte da dove fù il principio della sua infermità, e come venne a Roma, che fù in questa maniera.

[401-450]

401.Circa l’Anno 1646 questo Salvatore di Marino di Anagni guardava una mandria di Cavalle nelli stanni e palude di quelle contrade siche per patimenti di quelle umidità li vennero dolori frigidi per tutta la vita in tal maniera, che restò che non si poteva muovere, ma solo si strascinava per terra col braccio e la natica dritta, e perche era poverello con la moglie e figli solo si manteneva con le sue fatighe, stiede in questa maniera per due anni. Haveva speso a medici e medicine quella poco sostanza che haveva, e non potendo più fù consultato dai medici, che se n’andasse a Roma a qualche stufa, che per esser giovane e robusto facilmente si saria risoluto dalli nervi e con questa consulta cominciò a trattare di trovar qualche comodità di farsi condurre a Roma.
402.Furono trovate alcune elemosine da persone devote, e trovato un vettorino fù pagato, che lo conducesse a Roma sopra un basto come meglio poteva. Giunsero al Coliseo, lo calò in terra, e lo lasciò ivi, dicendoli non esser più obligato essendo già in Roma, che s’intendeva entraro la porta di S.Gio:, che l’haveva condotto sino al Coliseo per carità, che ingegnasse a trovar ricovero.
Non giovò ne pianti ne preghiere, che almeno lo conducesse dentro l’habitato, che haveva almeno qualche speranza di non restar quella notte alla Campagna, che non sapendo ne conoscendo nessuno era quasi disperato essendo l’ora tardi e da ivi non passava nessuno.
Si fece animo, si strascinò fuora del Coliseo, s’incontrò con una vecchiarella, che haveva un fascio di legna in capo, e la domandò dove poteva capitare almeno per star al coperto quella notte, perche haveva paura di qualche (danno) vedendosi fuora d’un ricinto disabitato, che non haveva veduto nessuno, l’altra era per l’aria della notte, che li faceva male.
403.Li rispose la buona vecchiarella, che non si scomentasse che la seguisse pian piano come poteva, che l’haveria accompagnato sino ai portici di Campidoglio dove haveria potuto star sicuro al coverto, che ivi non mancavano mai altra gente, che si ricuperavano.
Si cominciò questo poverello a rincorare, e raccomandandosi a Dio havendo trovata una guida, che l’accompagnasse sinche trovasse ricovero; e fattosi più animoso con tutto che si strascinasse in qlla maniera la seguitava con più forza che p.ma e per trattenerla con parole li cominciò a dimandare, come poteva fare per trovar qualche persona pia, che l’aiutasse, farli la carità, che possi entrar in una stufa, che per essere povero, e stroppiato non si poteva aiutare, acciò si potesse guarire da quel male per agiutar la moglie e suoi figlioli.
404.La buona vecchierella lo cominciò a consolare dicendoli datevi pace, che Io vi insegnarò una persona che per far Carità a Poverelli in Roma non ha pari, e v’aiutarà in tutti i vostri bisogni, vi trovarà la stufa, e vi darà il modo di potervi guarire facilmente. Domatina domandate dove è la Chiesa di S.Andrea della Valle, tenete a mente S.Andrea e la Valle; quando sete ivi, domandate dell‘Abbe Sacco, che habita ivi vicino, e non potete fallare, parlate con lui, che sicuramente vi farà questa Carità, e state contento, che l’istessa strada vi condurrà alla detta Chiesa, domandate che subito vi sarà insegnata la sua porta, che per esser da tutti conosciuto vi l’insegano tutti; tenete a mente l’Abbate Sacco che non potete fallare, che se non fusse cossì tardi, e voi sete cossì stanco vi condurrei Io medesima alla sua Casa ancor che sia lontano dalla mia Casa, son vecchia e carica di legna, e poco vedo per esser un hora di notte. Passarono Campo Vaccino e giunti alli portici del Campidoglio, la vecchia prese congedo, e si partì per seguitar il suo viaggio.
405.Salvatore che cossì si chiamava quel meschino la ringratiò non solo della buona compagnia, m`anco per haverli trovato il rimedio a suoi mallori, ne ringratiò anche Dio per haverli dato un Angelo custode, et insegnatoli come doveva fare, e condottolo in luogo di salvamento, mà la Bonta Divina che non abbandona mai nessuno alli magiori travagli lo provide di una buona rifectione per mezzo d’altri Poveri , che eran in quel luogo con li quali cominciò attaccar amicitia; li raccontò quanto l’era successo, e quanto la vecchia l’haveva consultato che facesse.
Uno di quei poverelli li disse, che stasse di buon cuore, che la matina l’haveria lui condotto dall’Abbe Sacco, che vi doveva esser ancor lui per suoi affari essendo questo Abbe Giudice senza appellatione de Poverelli, che faceva la giustizia a chisisia, havendolo deputato il Papa per la maniera che haveva di far giustitia e restar tutti contenti.
Con questo Salvatore restò consolato e li pareva mill’anni che venisse il giorno per haver il suo intento per uscir da questi guai.
406.La matina all’alba chiamò quel povero mendico, dicendoli che era giorno, che lui non poteva caminare, e strascinandosi l’haveria seguitato, che li facesse questa Carità, che Dio l’haveria remunerato.
S’avviarono pian piano, e giunti alla casa dell’Abbe Sacco lo trovarono su la soglia della porta, che allora voleva uscire.
Subito che lo vidde Salvatore s’incominciò a raccomandare narrandoli i suoi bisogni in tal maniera che l’Abbe si compunse e li rispose che stasse di buon cuore, che l’haveria aiutato a tutti i suoi bisogni, che spicciata l’audienza d’altri Poverelli che andavano venendo, l’haveria dato ricapito per quanto haveria potuto.
Spicciati i suoi negotii disse a Salvatore, che andasse seco, che l’haveria trovato Albergo sin tanto l’haveria trovata la stufa, e condottolo all’albergo della Luna chiamò l’Albergatore e lo pregò che dasse ricetto a quel Poverello per qualche giorno fratanto haveria trovato recapito di farlo entrar in una stufa.
Subito li rispose l’Albergatore, che voluntieri l’haveria fatta la carità di tenerlo all’Albergo, mà che s’andasse a progaciar il vitto, che tutti quei Mercanti di Campo de Fiori voluntieri l’haveriano aiutato
407.Accomodato Salvatore all’albergo l’Abbate Sacco se n’andò alla Stufa di Mellina vicino a S.Agnese di Piazza Navona , pregò il Stufarolo che facesse la carità ad un povero stroppiato forastiero, a metterlo alla stufa, e darli ogni comodità, che Dio l’haveria pagato cento per uno, come promette al suo evangelio, essendo opera di gran Carità, che lui in altra occasione l’haveria aiutato spiacendoli non haver danaro che haveria pagato per lui.
Li rispose il stufarolo, che la stufa era piena per tutto il mese di Luglio, e parte del mese d’Agosto, che s’havesse patienza per questo tempo voluntieri l’haveria fatta la Carità con ogni sua satisfatione.
Restò molto appagato l’Abbate del che diede questa speranza a Salvatore, che stasse pur allegramente, che fratanto s’andasse aiutando al meglio che poteva, che non haveva fatto poco ad haver questa offerta, poichè s’havesse da pagare non li bastavano cinquanta scudi, e con questo appuntamento restò contento il Poverello, il quale la matina andava strisciandosi per le Boteghe di Campo de Fiori, e delli Pullatori progaciandosi il vitto, che per carità li veniva dato abbondantemente da suoi benefattori.
408.Alli 20 d’Agosto 1648 il medesimo stufarolo andò a trovar l’Abbe Sacco, e li diede un bolletino che Salvatore stroppiato andasse alla stufa alli 26, che haveria havuto il luogo nella stufa, che già haveria preparato il luogo come l’haveva promesso, ne si prendesse altro fastidio, che tutto haveria fatto con ogni Carità, del che l’Abbe li disse che l’haveva obligato per sempre, e non haveria mancato veram.te di farli rinfrancare quanto spendeva per quel poverello.
Portò l’Abbe il pollizzino a Salvatore e li disse che fusse pur andato allegramente sperando in Dio, che il tutto saria successo bene.
Venuto il giorno delli 26 andò strascinandosi Salvatore alla stufa consignò il Bollettino al Stufarolo da parte del Sr.Abbe Sacco, il quale li rispose, che per quella giornata non poteva entrare nella stufa, stante che il luogo non era anco vacato, che tornasse fra due giorni, che l’haveria fatta voluntieri la Carità.
409.Il Stufarolo quella matina li diede il pranzo e poi lo licenziò dicendoli che tornasse pure, che haveria lasciato qualsivoglia guadagno per far quella Carità.
Posà Iddio quell’impedimento per cavarne la sua magior gloria, et anco glorificar il suo Servo Gioseppe con le sue maraviglie inaspettate dall’huomini per giusto giudicio suo.
Avviatosi Salvatore strascinandosi verso l’albergo della Luna di Campo de Fiori, quando fù alla piazza di S.Pantaleo proprio alla porta del Palazzo del Sr.D.Ursino de Rosis, si fermò ivi per la stanchezza, e vedendo una moltitudine di gente inanzi la porta della Chiesa di S.Pantaleo dimandò che rumore era quello; li fù risposto dal Cappellaro che era morto il P.Gioseppe della Mre di Dio, e che faceva molti miracoli e gratie a chi divotamente se li raccomandava, e lui medesimo haveva visto molte cose.
Havendo inteso ciò Salvatore con fede grande li disse vi voglio andar ancor Io, che ho fede, che ancor a mi impetrarà la sanità, questo fù verso mezzora di notte.
410.Si strascinò alla soglia della porta della Chiesa e pregò più persone che entravano et uscivano dalla Chiesa che lo volessero introdurre, lui non potendo entrare perche subito era serrata la porta della Chiesa. Sonata un hora di notte, vennero i quattro stagnari, che portavano la Cassa di piombo, e successe il miracolo como s’è detto diffusamente di sopra.
La matina sparsasi la voce per Roma venne l’Abbe Sacco, l’albergatore della Luna, e il Stufarolo con il Cappellaro a veder Salvatore, con quanti l’havevano fatta la Carità per spatio di quei due mesi, e lo trovarono sano affatto, e senza nessuna lesione, del che lodarono il dator delle gratie,che per li meriti del suo servo Gioseppe, che come è Padre de poveri haveva liberato quel Poverello in tanto suo bisogno.
Di quanto ho scritto di sopra cioè le circostanze il medesimo Salvatore mi raccontò il tutto oltre quello, che veddi Io medesimo, ho voluto descrivere questo fatto diffusamente, come Iddio m’ha inspirato doppo venticinque anni di quel successo a gloria di S.D.M.
411.La matina delli 26 d’Agosto venne la Marchesa Rinoccini Moglie del Marchese Rinoccini in quel tempo Ambasciatore del Gran Duca di Toscana con un suo figliolo a venerar il Corpo del P.Giuseppe, e vedendo le meraviglie, che succedevano fù introdotta nel steccato de banchi dove stava la Marchesa Raggi e la Sig.ra Violante Raimondi. Questa Sig.ra fece chiamar il P.Nicolò Maria del Rosario, al quale chiese qualche cosa del P.Gioseppe per sua divotione perche non conosceva nessuno de Padri. Il P.Nicolò Maria li rispose, che se voleva una cosa singolare facesse chiamar il P.Castiglia, con bella maniera li levasse la corona che haveva al suo cordone, che era quella che haveva adoprata per molti anni il P.Generale, mà che l’havesse preso in parola che altrimenti non l’haveria data. Fece quella Sig.ra chiamar il P.Castiglia, li cominciò a discorrere di molte cose del P.Fundatore et al meglio del discorso, li disse che li prestasse un poco la sua Corona. Il buon Padre grattandosi al suo solito ricusò la prima volta, mà quelle Sig.re che l’estavano di presso li dissero che la prestasse.
412.L’imbasciadrice con una bella maniera scherzando li tolse la corona dal cordone, e baciatala se la mise in saccoccia dicendoli che havesse patienza, che lei ne l’haveria fatta proveder d’un altra più fina e più megliore, poche sapeva esse quella stata del P.Gioseppe, e la voleva tener per sua divotione.
Il Povero P.Castiglia restò cotto, non potendo far altro, li disse, che era vero esser stata la Corona del P e lui l’haveva presa per non perder la memoria del suo Padre, e con questa burla quelle Dame diedero in una modesta risata.
Quando poi si seppe per Casa questo fatto alcuni cominciarono a mortificar il P.Nicolò Maria, che fù l’inventore del tutto, che non seppe negare, havendolo sentito tutte quelle Sig.re.
Quando poi il Marchese Rinoccini fece l’instanza da parte del Gran Duca di Toscana a Papa Alessandro Settimo per la Beatifica.ne l’andai ad informar Io delle cose del nostro V.P. come Procuratore della Causa, li dissi che la Marchesa sua Moglie haveva la Corona del P.Gioseppe, che teneva come Reliquia di Santo.
413.Non fù di minor maraviglia quel che successe il giorno delli 26 preso li 18 hore poiche tirata dalle voci del Popolo una donna chiamata Caterina d’Anastasio d’Ancona Coronara disse al suo figliolo, che voleva andar a S.Pantaleo a veder un P. che era morto e faceva miracoli, non si contentò il figlio dicendoli, che ivi s’ammazzavano per la calza, questo fù la matina a doppo pranzo, prese occasione ad andar in piazza Navona a comprar una pezza di sapone che voleva far la bocata, il figlio s’accontentò dicendoli che tornasse presto, et andò con prestezza.
414.Quando fù in piazza Navona vidde la confluenza del popolo che correva verso S.Pantaleo per vedere il P.Gioseppe, Caterina pose il sapone dentro il suo zinale, quale teneva con la mano mancina, et arrivata a S.Pantaleo con grand.ma forza potè entrar dentro il steccato, baciatoli i piedi, venne un onda di gente contanto impeto, che faceva cascar tutti, avanti a Caterina vi si trovò un Cavaliero, che per non cadere, s’afferrò alla mietà del zinale, che Caterina teneva addossato con dentro il sapone, li restò in mano il pezzo di dº zinale per esserne vecchio di saia scorsa nera. La Donna pregò quel S.re dicendoli, che li restituisse la parte del suo zinale, che lo voleva cuscire, li fù restituito e Caterina pose quel pezzo di zinale dentro quello che l’era restato in mano dove stava il sapone. Tiratasi Caterina fuor del staccato si ritirò alla Cappella del Crocifisso a far oratione. Le donne che la vedevano con quel pezzo di zinale in quella maniera, li cominciarono a dar la burla dicendo Madonna, andarete a Casa senza zinale. Caterina sentendo ciò si pose a piangere e vergognandosi disse che non si curava d’andar senza zinale mentre che haveva bagiati i piedi del P.Gioseppe, si pose la mano in saccoccia prese il faccioletto per mettersi la pezza di sapone et il pezzo di zinale, e nel spiegarlo che fece lo trovò sano e senza lessione nessuna, ne parve mai dove fusse stato rotto. Questo fatto cagionò un grand.mo rumore per la chiesa, che tutta la gente correva alla cappella del Crocefisso, e perche si pensava che fusse qualche spiritata non fù fatta riflessione a quel che poteva essere.
415.Si seppe poi da lìa due giorni il successo per accidente, onde ne feci la diligenza, trovai la dª Caterina, mi raccontò il fatto, la pregai che mi dasse dº zinale, la quale mi consignò per via d’instrumento rogato per mano del Sr.Francesco Meula Notaro e Cancelliero della Sacra Visita Apostolica, e chi vuol vedere più distintamente le cose di questo zinale li trovarà nel libro de miracoli raccolti da me in varii tempi.
416.Alli 19 hore del dº giorno venne un Notaro del Vicario con un caporale di sbirri con otto soldati, i quali presero in custodia il Corpo del V.P., in custodia perche fecero ordine che fusse sepellito come più lungamente s’è scritto altrove; era sopra al Coro Mons. de Massimi allora Cameriero secreto di Papa Innocenzio Decimo che poi fù Chierico di Camera et hora Cardinale. Questo stava osservando in Coro per veder quel che succedeva, e per quanto fù detto mandato dal Papa per darne relatione tanto più che era nostro Amichevole per esser stato scolaro con suo fratello del nro Padre Gioseppe della Mre di Dio.
Mentre erano serrate le porta della Chiesa venne la Principessa Giustiniani, fece aprir per forza e con essa entrò la Moglie di Pietro Paulo Desiderio, che già è scritto quanto successe.
417.Fù restituito il Corpo del P.Gioseppe dalli sbirri p ordine del Cardinal Ginetti Vicario del Papa, e li sbirri per paga della buona custodia li levarono una scarpa et una faldiglia, che se l’era posta di panno per coprirlo havendoli tagliato tutte le vesti e camisce, che fù necessario farle una nuova faldiglia, acciò non mostrasse le carni, non essendo restato altro che la pianeta, e la camiscia di lana e le mutande, che se non s’haveva cura saria restato ignudo. Partiti li sbirri fù aperta di nuovo la porta della Chiesa e fù tanta la confusione del Popolo, che per difenderlo dall’incursioni furono di nuovo serrate le porte della Chiesa et il Popolo più cresceva non solo d’ambe le due piazze, ma anco ne vicoli sino a Piazza Navona.
418.A quel hora venne il P.Pietro Caravita de Narni della Compagnia di Gesù, antico Amico del P.Gioseppe per visitar il suo Corpo morto giàche non l’haveva potuto visitar vivo, e non potendo entrar per esser le porte della Chiesa e della Portaria serrate, sagli sopra un poggiolo inanzi il portone del Palazzo de Sig.ri Massimi cominciò un discorso della vita del P.Gioseppe della Mre di Dio, della prudenza e sani consigli che dava nel governo delle Religioni, esplicando la sua Compagnia haverne havuti ottimi consegli a tempo del P. Nro, raccordando come haveva saputo sopportar le molestie et ingiurie fateli da suoi persecutori, che haveva fundato un Instituto il quale era riforma del mondo conforme l’intenzione di S.Ignazio Fundatore della Compagnia di Gesù, sua Religione, che era dotato di tutte le virtù, et in particolare dell’amor di Dio e del prossimo, che però possedeva perfettamente le virtù Cardinali, dove erano appoggiate tutte le sue speranze.
Sicche da tanti rumori e fracassi, che sentivano prima alla piazza piccola di S.Pantaleo con il discorso del P.Pietro Caravita stavano attenti, e si infiammavano più alla devotione del nostro P.Gioseppe.
419.Stavano a sentirlo anche molte Dame, e Principesse, che erano alle finestre della Marchesa Torres, de Sig.ri Massimi, e delli Sig.ri Biscia, del che restarono più accesi delle parole del P.Pietro Caravita huomo veramente apostolico et accreditato nella Corte Romana per le sue rare virtù e qualità, l’odore del quale è sparso per tutto il Mondo si bene alle volte veniva mortificato per far molte opere di Carità straordinarie. Io l’ho visto pigliar i poverelli morti quasi di fame a tempo di Papa Innocenzio Decimo, che era con il P:Vicenzo Carafa Generale della Compagnia, pigliavano quei Poverelli ammalati, li ponevano loro medesimi con grand.ma carità sopra i Carri, e poi l’accompagnavano al Palazo di S.Gio: Laterano dove erano preparati i letti e le cose necessarie per reficiarli.
420.Presero questo espediente di prender il Palazzo di S.Gio: Laterano perche tutti l’ospedali erano pieni, che per i Poverelli e per la Città non fù di poco sollievo, che per la fame si morivano la gente sotto le banche de Mercanti, che i Poverelli gridavano notte e giorno, che si morivano di fame, che quell’Anno della carestia d’Innocentio, che fù l’ultimo Anno del suo Pontificato, fù per la fame e i patimenti de poverelli come una (peste) et Io medesimo ho visto macinavano terra mischiata con grano, lupini, fave, e quel potevano haver p le mani per satiar i poverelli, e da qui nacque quella infermità cossì pestilentiale, sicche la Carità del P.Pietro Caravita infiammata dall’ardente zelo del P. Vincenzo Caraffa cercò di dar letto ai poverelli con quella Carità che li fù possibile per aiuto del Prossimo.
421.Mentre il P.Pietro Caravita predicava s’affaciarono alcuni nostri Padri dalle nostre finestre per star a sentire, e come che tutti l’humori non sono pari, altri lo biasimavano, che veniva a far quelle dimostrationi per captare la benevolenza del Popolo, et altri dicevano che lo dovevamo ringratiare dell’affetto con che lodava il nostro Padre, e con questo scesse abbasso il P.Vincenzo della Concettione, l’introdusse dentro la Portaria con alcuni altri al meglio che si potè, doppo lo condusse in Chiesa a fare oratione al Corpo del P.Gioseppe, li bagiò i piedi e le mani, cominciò a piangere come un bambino raccomandandosi alli suoi meriti et intercessione, che l’impetrasse dal S.re la strada della perfettione, siche il P:Pietro Caravita vi stiede quasi che già era sonata l’Avemaria, che il fratello Romino suo Compagno sempre lo tirava per il mantello dicendoli che andassero via perche era già passata l’ora d’andar a casa, e sariano restati senza cena, come speso li accadeva che hebbero qualche altra mortificatione.
422.La bontà, carità e virtù di questo Padre Pietro Caravita è nota a tutto il mondo particolarmente in convertir e sovvenire i peccatori onde una volta fù predicato in publico da un Predicatore insigne /questo fù l’anno 1650 a tempo di Papa Innocentio Xº, che predicava a S.Eustachio che nella metafora voleva dire il P.Caravita, il quale ne fù mortificato et al meglio li fù levata la predica, a questo vi saria molto da dire ma pche non fà al caso nostro lo lascio/ per le gran fatiche e carità che faceva, che s’assomiglia a quell’asinello che serviva in tutte le fatiche alla fabrica de Padri Gesuiti del Collegio Romano, e poi si contentava di un poco d’acqua e di paglia per rifettione, e morto il P.Pietro, mai ne poterono trovar un altro simile per la Cong.ne della Comunione Generale, siche per tutta Roma era chiamato il Padre di tutti, e delle sue virtù se ne potrebbe far un libro intiero, come credo, che i Padri Gesuiti habbino fatto.
423.Doppo che fù arrivata la Cassa di Piombo e successo il miracolo di Salvatore di Marino stroppiato come s’è detto in presenza di tanti Prencipi, fù tanta la calca del Popolo, che i Padri furono sforzati ad aprir la Chiesa per darli satisfattione, mà fù tanta la moltitudine, che non si poteva resistere all’onde di genti che venivano, e pensando di rimediare con metter il corpo sollevato dentro l’altare magiore con quattro torce acciò più facilmente lo potessero vedere con tener serrata la balaustra della Cappella. Si risolse di portarlo di sopra all’oratorio pensando che non haverian saglito le scale, massime le Donne per non rompere la Clausura; mà si fece assai peggio, perche più moltiplicò la gente con alcune spiritate, che non guardarono a Clausura, ne a scomuniche con tutto che i Padri li dicessero esservi la scomunica, che non si poteva passare il Cancello della scala, che solo potevano entrare nel Cortile delle Scuole, altrimente li protestavano che erano scomunicate, e non stimando niente pareva l’oratorio esser luogo publico, anzi perche non capivano all’oratorio saglirono l’altre scale et andavano al dormitorio dei Padri, che facevano fracassi grandi, che volevano veder il Corpo del P.Gioseppe, e fù tanta la confusione che le genti erano sagliti sino sopra il tetto della Chiesa, siche non (si) sentiva altro che gridare le speritate, e tutti quelli che andavano a pigliar fresco a Piazza Navona (come si suol fare in quei tempi cossì caldi) tutti venivano a S.Pantaleo, e questo durò sino alle cinque hore di notte.
424.Alla fine stanchi i Padri e della fatica e del sonno, si rissolverono a serrar tutte le porte tanto della casa come della Chiesa per non far entrar altri, con buone promesse di riportar il Corpo di nuovo in Chiesa per esser più capace, et a bel agio lo potessero vedere, scessero una quantità in Chiesa, altri pregarono, che l’aprissero le porte che volevano andar via, e cossì cominciò a calare, massime che i Padri dicevano che il Corpo doveva restar esposto tre giorni in chiesa, che lo potevano vedere a loro piacere. Calata la gente fù portato di nuovo in Chiesa e conforme l’andavano vedendo e bagiando le mani et i piedi li facevano uscire per la portaria senza dar l’ingresso a nessuno altro.
425.La matina delli 27, a buon hora fù concluso che si sepellisse per non abusar la cortesia del Cardinal Ginetti, che haveva detto che fusse sepelito la matina, sogiunse poi al P.Castiglia che lo tenessimo quanto volevamo. Acciò non succedessero nuovi fracassi, fù determinato che se li dasse sepoltura, e non s’aprisse più la Chiesa ne la portaria fratanto veniva il P.Camillo di S.Geronimo dal Collegio Nazareno et il P.Francesco della Visitatione dal Novitiato, e fù concluso che se li facesse una inscritione in una piastra di piombo acciò, ne restasse la memoria, et il P.Camillo la volle fare lui, e la fece in questa maniera: hic iacet corpus Venerabilis Servi Dei Josephi a Matre Dei Fundatoris et Propagatoris Religionis Pauperum Matris Dei Scholarum Piarum.
426.Lo fece veder a tutti, e con tutto che non mancasse qualche censore, con tutto ciò fù fatto chiamare il stagnaro, fù fatta incidere e posta dietro il capo in piedi che fù errore grande poichè si doveva metter da piedi, stante che sotto il capo vi fù posto un coscino pieno di fronde di merangoli, cime di mortelle et altre erbe odorifere, siche infracidate quell’erbe li cavò la piastra in faccia e la corrosse tutta, vi si fecero in detta piastra venticinque buchi ma fù meraviglia grande, che non si guastò nessuna lettera e tutte si legevano benissimo, come si vidde quando fù riconosciuto il Corpo per ordine della Cong.ne de Sacri Riti con l’assistenza delli Prelati della Cong.ne e delli tre Vescovi deputati del sottopromotor della fede, che si chiamava Michel Angelo Lapis, delli megliori Chirurghi e Medici del Collegio di Roma, e particolarmente il Sr.Benedetto Rita medico di Papa Clemente Nono, e Protomedico di Roma, questo fù nell’anno 1668 dove vi concorsero molti Prelati e Sig.ri come di questo se ne farà una relatione a parte a suo luogo, che ne fù stipulato instrumento publico per mano del Sr.Giacomo N sustituto del Pro Notaro del Vicario, siche con questa occasione fù trovata la detta piastra quasi tutta bucata senza che fusse guasta nesuna lettera della detta inscritione.
Fù posto il Corpo dentro la Cassa di piombo senza stagnarsi il coverchio e poi la Cassa di piombo dentro la cassa di Castagno fù fatta far una fossa capace dentro l’altare magiore al corno dell’evangelio fra l’ultimo gradino dell’altare e la balaustrata dove si pose il corpo coperto solo di terra, che non si potè mattonare p non haver pronta la materia.
427.Fù aperta la Chiesa, vennero molta gente, che pensavano non essere ancora sepelito, andarono sopra il sepolcro a farvi oratione come se fusse un santo e per divotione ognuno pigliava un poco della terra, che era coperta la Cassa, in tal maniera che fù necessario mettervi tavole di sopra, che cominciavano a scoprir la Cassa di Castagno, e con questo s’ovviò a non far più questi fracassi, e furon anco posti due banchi in luogo della balaustrata, che la notte havevano rotta, e con questo rimedio si quietò il tutto.
428.Poco doppo entrò una sedia in chiesa serrata e portatala i seggettieri vicino all’altare magiore corsero i Padri per vedere chi era, che ancora non l’havevano aperta e trovarono che era Mons.Prospero Fagnano Cieco, subito furono levate le banche, e le tavole da sopra il sepolcro, e fatta posar la sedia sopra il sepolcro, fece un pezzo d’oratione dove stiede quasi mezzora, alla fine disse queste precise parole: P.Gioseppe sapete quanto siamo stati amici, et ho fatto per la vostra Religione, vi prego per li vostri meriti, che m’impetriate dal Sig.re la vista, con questo però se fusse in salute dell’Anima mia, quando che no, mi contento di restar cieco, et anco di perder la lingua. Con ciò i Padri lo cominciarono a consolare. Quando poi si partì pregò il P.Gioseppe della Visitatione oggi Generale, che era presente, che i Padri si contentassero darli qualche cosa del P.Gioseppe, che la voleva per sua divotione. Onde il P.Gioseppe si voltò a me e mi disse che andassi di sopra e prendesse qualche cosa acciò Monsig.re resti consolato, come che Io havevo la chiave della stanza dove era morto il P.
Me n’andai di sopra, presi un paio d’occhiali di quelli che soleva adoperare il P. li diedi in mano del P.Gioseppe, e lui li diede in mano di Mons. Prospero Fagnano, il quale le prese con gran devotione, li bagiò, ringratiando i Padri che l’havevano fatto un dono cossì pretioso, e con questo tutto allegro si fece portar via.
429.Doppo poco spatio di tempo venne il Principe di Carbognano di Casa Colonna con la Sig.ra Principessa sua Moglie, Donna di molta pietà, la quale fù figlia del Cardinal de Bagni, molto divota del P.Gioseppe da quando era piccolina, che il Cardinale haveva moglie, la quale disse in presenza del Principe suo Marito, che tutti sentirono, et Io in particolare, che suo Padre e sua Madre sempre havevano tenuto il P.Gioseppe per Santo, e quando li scriveva il Cardinal suo Padre da Francia, sempre li diceva che lo raccomandasse alla oratione del P.Gioseppe acciò il Re li facci presto tornar in Roma perche non sapeva come più mantenersi Nuncio nella Corte di Francia e che la med.ma Principessa ne parlasse più volte al P., e lui li rispondesse quando sarà Cardinale.
Questa Sig.ra fù figlia anco d’una Sig.ra di Casa Cesis, Progenie dci grand.ma pietà; questa Sig.ra Principessa ancor vive.
430.Venuto il Principe Carbognano in Chiesa fece chiamar mè, e mi domandò s’era vero, che era sanato un Cieco della Scarpa, e voleva sapere come si chiamasse perche mentre era della Scarpa era suo Vasallo, haveva a caro vederlo e conoscerlo, che si facesse qualche diligenza per farlo trovare.
Li risposi che Io non sapevo altro che dicevano esser sanato un cieco, che era un Vecchio, ma Io non l’havevo veduto e non sapevo chi fusse ne dove si stia, e mentre stavamo discorrendo entrarono alcune persone fra i quali vi era questo vecchio, che era stato cieco, e la gente che lo conosceva cominciarono a dire questo è quel Cieco che sanò ieri per l’intercessione del P.Gioseppe, cossì il Principe venne in cognitione chi fusse quel vecchio, e chiamatolo a se, se lo fece sedere accanto in un banco, dove sedeva la Principessa sua Moglie, lo cominciò ad interrogare chi era,di che paese e quanto tempo era che stava in Roma.
431.Li rispose che si chiamava Astolfo di Mutio Colonnese nato nella Scarpa, Vasallo di V.S., prese moglie alla Scarpa, e poi per alcuni disgusti se ne venne in Roma con tutta la sua famiglia e diede moglie al suo p.mo figliolo che si chiama Mutio Colonnese, il quale è guardarobba di Mons.Palavicino Chierico di Camera e Prefetto dell’Annona, hebbe in dote una vigna nella quale mentre che stava nel mese di decembre l’anno 1647, uscì il fiume Tevere per l’umidità perdè la vista affatto, che lo tiravano quando voleva far qualche cosa, e persa ogni speranza di ricuperarla più, vi fece far molti rimedii conforme l’andavano ordinando i medici, e più presto li cagionavano danno che utile nessuno. Ieri mentre me ne stava in Casa venne mio figliolo Mutio e mi disse che a S.Pantaleo delle Scuole Pie era morto il P.Gioseppe della Mre di Dio stava esposto in Chiesa, e faceva miracoli, pregai il mio figlio minore che mi conducesse a S.Pantaleo, che havevo speranza per li meriti di questo Padre ricuperar la vista.
432.Venimmo assiemi, con difficultà grande potessimo entrar in Chiesa per la moltitudine del populo, che per non vedere, chi mi urtava da una banda e chi dall’altra più volte, mi fecero cadere più volte alla fine giunssimo al cataletto dove stava quel benedetto Padre, toccai con la mani i piedi e le mani del P.Gioseppe, le bagiai con grand.ma devotione, li (mi)[Notas 3] parve che li calasse dall’occhi una cosa come un panno, ma non discerneva altro che le persone e con questo si fece (mi feci) condurre al meglio che potè (potei) all’altare maggiore, e postosi (postomi) in genocchio cominciò (cominciai) a guardar il quadro dell’altare, e cominciò (cominciai) a veder e distinguere le pitture et i colori uno dall’altro, si voltò (mi voltai) al figlio e li disse (dissi) : son sano e vedo, e cominciò (cominciai) a gridare miracolo, miracolo che ci vedo.
433.Fù tanta la calca della gente per vedermi, che non feci poco a scappare, et uscito fuori della Chiesa per andarmene a Casa mi seguitavano, e gridavano per le strade questo è quel Cieco che ha ricuperata la vista per l’intercess.ne del P.Gioseppe della Madre di Dio, che sta alla Chiesa di S.Pantaleo, e chi trovavo per strada ognuno mi domandava come era passato il fatto, siche giunti a Corte Savelli dove sto di casa ero tanto sbalordito e stanco, che tampoco potei dire un Paternoster et un Ave Maria e ringratiar Iddio della gratia di restituirmi la vista per l’intercesse.ne del P.Gioseppe, che però son venuto a renderneli le dovute gratie, e far oratione sopra il suo sepolcro giaché è sepellito, questo è quanto mi è occorso come V.E. m’ha comandato. Stavano attenti il Prencipe e la Prencipessa di Carbognano, che per tenerezza che haveva la Principessa le grondavano le lacrime dall’occhi. Disse la Principessa a suo marito che pregasse Astolfo che si contentasse andar a trovarli al loro Palazzo, che voleva meglio sentir tutti l’accidenti della sua infermità e come haveva ricuperata la vista cossì perfettamente, che non haveva capito bene quel che l’havesse detto, che per non haver i denti non poteva pronunciar bene le parole.
434.Il Prencipe pregò Astolfo di Mutio , che l’andasse a trovare a Casa che voleva discorrere a lungo con lui di molte cose, e se volesse andar a pranzo l’aspettava.
Li rispose, che tutta quella matina la voleva spender in qlla Chiesa a sentir Messe e far oratione in rendimento di gratie della gratia ricevuta, e che il giorno saria andato a servirlo, e vi saria stato quanto comandava, e con questo appuntamento partì il Prencipe e la Principessa, et Astolfo di Mutio Colonnese restò in Chiesa sinche fù serrata, e chi veniva voleva sapere come era sanato, ma lui se ne stava cheto a far oratione.
435.Mentre che vi era il Principe e Principessa di Carbognano venne un Servidore, portò una torcia di quattro libre, la pose in un torciero e accesala la pose di sopra il sepolcro del P. non volendo dire, chi l’haveva mandata, ma solo diceva che era una persona devota del P.Gioseppe e che non voleva, ne poteva dir altro, che non la levassero quella torcia se non fusse finita di brugiare, che a suo tempo haveriano saputo il tutto, perche era persona, che haveva havuta una gratia grande dal Sig.re p l’intercessione del P.Gioseppe, che pensava chi haveva mandata la torcia che non fusse ancora sepellito, l’accendesse sopra il suo sepolcro, e non dicesse chi mi mandava. Furono fatte molte diligenze per sapersi, chi l’haveva mandato e mai fù possibile; alla fine, doppo alcuni mesi fù fatto chiamare il P.Gio:Carlo da una Sig.ra chiamata la Sig.ra Felice Fanfarelli cognata di Mons. Fanfarelli Secretario di Memoriali di Papa Innocentio Decimo e Moglie del Cavalier Fanfarelli Gentilhuomo di Palazzo, che li portasse la Berretta del P.Gioseppe della Madre di Dio, e li voleva parlare.
436.Andai, la trovai a letto e mi raccontò che essendo andata con D.Olimpia Panfili alla sua villa con altre Dame per haver caminato al sole li venne una flussione in una guancia, che quanto più rimedii vi facevano i medici più pegiorava, et havendo saputo dalla S.ra Marchesa Torres, che era morto il P.Gioseppe a S.Pantaleo e faceva miracoli, vi andò e restò sana, e pciò vi mandò un servidore con una torcia acciò fusse accessa sopra il sepolcro del P.Gioseppe come fù fatto per gratia ricevuta. Questo si racconta più distinto nel libro delli miracoli da dove si puol vedere quanto successe, dove sta disteso diffusamente.
Quella matina delli 27 vennero molti Religiosi di diverse Religioni a dir la messa alla nostra Chiesa pensando forsi che il P. non fusse sepellito et in particolare i Padri Domenicani, i Padri Teatini, li Scalzi di S.Teresa, e tutti volevano sapere le cose successe, che se n’andavano molto consolati.
437.Vi venne ancora il P.Ubaldini Sommasco, che fù visitatore Apostolico a tempo del P. Mario come s’è detto altrove, il quale disse che hora si vede se lui diceva la verità quando fece la visita, che d’allora conobbe il P.Gioseppe esser Gran Servo di Dio come si vede haverlo glorificato in terra con tanti miracoli, e castigati ancora in terra dalla giustizia Divina quelli che l’havevano perseguitato, havendo permesso Iddio li vedesse morti di quella morte, che a tutti è nota, altri cacciatoli dalla Religione, che si vanno progacciando il pane con le virtù insegnateli dal P.Gioseppe, uno de quali è stato quel Gio:Antonio Bolognese, che pose il fuoco a tutta la Religione, e finalm.te dopo haver conosciuta la Cong.ne del S.Ufficio con far decreto che il P.Gioseppe fusse restituito al suo ufficio, mà fù causa per la sua ambitione, che fusse destrutta la Religione, per excelsi giuditii di Dio, e tutto questo l’ha permesso per scoprire la santità del P.Gioseppe e manifestare la malitia delli suoi persecutori.
438.Mà spero che per i meriti del P.Gioseppe veder la Religione risorgere meglio, che prima, essendo l’Instituto santo e necessario alla Chiesa di Dio, non mancò per me di castigar alcuni, mà la pietà e virtù del P.Gioseppe non me lo fece mettere in esecutione, essortandomi sempre che lasciassimo far a Dio, che quella era Causa sua, e lui l’haveria guidata secondo il suo volere, mà la più meraviglia che più mi faceva stupire, mai lo sentii lamentare, e dir le sue raggioni contro nessuno, e da questo andavo congeturando la sua perfettione, poiche haveva intentione agiutar le cose della Religione con ogni quiete e pace, mà la malitia delli suoi persecutori se ne servivano al contrario, dicendomi ch’era vecchio e smemorato, ne poteva più governare, che non si ricordava più quel che si facesse, e piacesse a Dio, che tute le Religioni fussero governate con quello spirito e prudenza del P.Gioseppe, essortando i nostri Padri alla perseveranza, et ad imitar le virtù del loro P.Fundatore, che al sicuro Dio l’haveria aiutati.
Questo discorso lo fece in Sacrestia in presenza di molti nostri Padri, dove anco mi trovai Io presente, che havevo pensiero della Sacrestia.
439.Venne Mons.Francesco Fiorentillo, Auditor Generale del cardinal Antonio Barbarino, molto devoto del P.Gioseppe, e discorse con l’Abbe sacco, e D.Gioseppe Palamolla domandò se p.ma di dar sepoltura al P.Generale s’era fatta la ricognitione del suo corpo, e sentito, che non s’era fatto atto nessuno conclusero, che era necessrio a farlo prima che fusse mattonato il luogo, acciò resta memoria con Instrumento publico, al che s’offerse il medesimo Pallamolla come Secretario del Cardinal Vicario, e Cancelliero delal Visita Apostolica, se ne saria rogato il Francesco Meula o suo sostituto, acciò in processo di tempo si sappia il tutto per via di pubbliche scritture. Fù concluso che dopo pranzo si poteva fare a porte serrate, e fra tanto Palamolla n’haveria detta una parola al Cardinal Ginetti Vicario del Papa acciò non vi fusse qualche scrupolo che si faccia dissipolto un morto, come fece.
Fù poi determinato che verso le 20 si trovassero a S.Pantaleo con Francesco Meula Notaro, e cinque testimoni, che fussero d’Autorità, furono perciò invitati Mons.Fiorentillo, Mons. de Totis, Mons.Oreggio, e Mons.Biscia, e l’Abbe Sacco.
440.Venuta l’ora vennero i Prelati con il Sr.Palamolla e Notaro Francesco Meula, furono cavate fuora le casse, et apertele, fù riconosciuto il Corpo del P.Gioseppe dalli Testimoni, descritto come haveva l’amitto, il camisce, il cingolo, il manipolo, stola e pianeta pavonazza guarnita con sarge d’oro, nei piedi haveva le scarpe all’Apostolica come le portava quando era vivo, in testa la berretta, et in faccia una pezza di lino bianco, posava il capo sopra un coscino bianco pieno di diverse herbe e dietro al capo in piedi haveva una piastra di piombo con la sua inscritione, descrissero le due casse di piombo e di castagno, e serratele furono legate con corde cioè due, una da capo e l’altra da piedi, fù posto di nuovo sottoterra, ma p.ma i Prelati li tagliarono un pezzo della veste, et un altro del camisce, e se le divisero assiemi per loro devotione. Fecero coprir di terra le Casse, e poi mattonar il pavimento in presenza di tutti da Mastro Francesco imbiancatore e da Mastro Domenico suo figliolo descritti nel medesimo instrumento.
441.Fù poi descritto il luogo della rottura del mattonato, e finita la descritione di tutto si rogò dell’Instrumento in nome del Sr.Palamolla Notaro Francesco Meula, come suo sostituto. Fù lunga questa funtione, che durò sino all’Avemaria, e finito il tutto quei Signori si licenziarono.
Non mancavano molte persone che stavano da fuora a bussare, che volevano entrare per vedere, e persone di qualità, né mai si diede orecchio a nessuno per non cagionar tumulto e disturbo.
442.La sera di notte venne il Duca d’Aquasparta di Casa Cesis, huomo di gran spirito il quale era stato molto amico del P.Gioseppe, lamentandosi non haver saputo la sua infermità che lo saria venuto a vedere havendolo conosciuto più di cinquanta anni, et era assai confidente di sua Casa massime di Mons.Cesis, suo fratello, che lo teneva in gran concetto di Santità, come anco il Cardinal Cesis suo zio. Fece un pezzo oratione sopra il sepolcro del Padre, e poi cominciò a raccontare molte cose delle sue virtù, et in particolare che l’haveva consegnato un suo figliolo, che haveva sette anni chiamato Pietro, che l’insegnava lui medesimo, e lo faceva governar come se li fusse madre, e per allevarlo bene, con politia, et haver la sua merenda e colatione a tempo ne diede pensiero ad un fratello vecchio chiamato fratel Gio:Battista huomo di gran carità e perfettione, e fatto grandicello venne poi il figlio della Contessa Malatesta Manzoli del quale s’è trattato altrove, questo figliolo fù compagno di questo Pietro figlio del Duca Cesis, che non solo imparò costumi illibati, ma buon Rettorico e di cantare e sonare d’ogni perfettione, e prese tanto affetto al nostro habito che non se n’è mai saputo staccare.
443.Si fece sacerdote, e poi per sua devotione per la festa di S.Pantaleo spendeva e spende ogni anno una quantità di scudi alla musica con comporla lui medesimo, e mentre fu vivo il Duca suo Padre la veniva a sentir la sera tardi con g.ma sua satisfatione et haveva gusto grande, che il suo figliolo s’era dato alla divotione come era lui, che per tenerezza si metteva a piangere, e con tutto che non usciva mai dal suo Palazzo fatto fabricare vicino al Convento di S.Pietro Montorio, dove era dato alla Contemplatione, quando era la festa di S.Pantaleo veniva di nascostoa sentir la compositione di suo figlio come s’è detto, e si metteva dietro ad una Colonna dove stava mentre che era finita la musica, poi faceva chiamar D.Pietro suo figliolo si rallegrava seco d’haver fatta una compositione cossì bella, che a lui molto era piaciuta perche lui ancora si dilettava di musica e cossì lo licenziava.
444.Morto poi il Duca D.Pietro si ritirò a S.Pantaleo con pagar tanto il mese, e perche mancava il maestro della musica si mise ad insegnar ad alcuni figlioli poverelli per amor di Dio come se fusse stato un nostro Padre, e con gran Carità l’insegnava le virtù con ogni perfettione. A questo D.Pietro successe un miracolo doppo la morte del P.Gioseppe, che pativa di vertigini, massime quando diceva la messa, in tal maniera, che una volta fatto l’offertorio li venne una vertigine cossì grande che fù necessitato mandarli una sedia acciò si riportasse, e raccomandatosi con affetto e divotione grande alli meriti ed intercessione del P.Gioseppe sanò perfettamente e mai più li venne tal vertigine, e li passò il dolor di testa, onde per rendimento di gratie fece far un voto d’argento il quale si conserva con l’altri voti nella stanza del P.Gioseppe come più ampiamente è scrito nel libro delli miracoli raccolto da me.
445.Questo D.Pietro poi i suoi fratelli rasettate le lor cose doppo la morte del loro comune Padre lo vollero in Casa loro per servirsi del suo Conseglio nel Governo della casa e dello stato loro. Morto il p.mo fratello, che era successo al Ducato di Aquasparta, successe l’altro fratello che era Duca di Selci, volle che D.Pietro fusse il p.mo doppo lui in tutte le cose, con il quale hora vive con una pace e quiete grande come se fusse fratello uterino.
Non è mancato mai ne manca D.Pietro di far la festa di S.Pantaleo e benche alle volte s’è trovato fuor di Roma con il fratello ha mandato il denaro a me con le sue compositioni, mandandomi la lista acciò facci venire i megliori musici della Città, non guardando a spesa purche riesca a suo piacere, et alle volte ha speso da quaranta scudi e se bene alle volte ha havuto qualche disgusto, che le cose non andavano a suo modo, subito si rasserenava come se fusse stato un perfetto Religioso. L’affetto poi che porta all’Instituto è noto non solo a tutti i nostri Padri, ma a tutta Roma.
446.Alli 28 vennero molte Principesse e Prencipi a far oratione sopra il sepolcro del P.Gioseppe, come il Prencipe e Principessa Borghese, il Contestabile Colonna, la Duchessa sua Moglie con quattro figli, l’Imbasciator di Savoia con la Moglie, e molti altri che per brevità si lasciano, e con questo esempio più s’infiammava il Popolo, che non mancava di moltiplicarsi non solo quello di Roma, ma dalli Castelli vicini tutti correvano a Roma perche havevano inteso esser morto il fondatore delle Scuole Pie a S.Pantaleo.
447.Fra l’altri vi vennero due di Castelnuovo marito e moglie, e portarono un loro figliolino che haveva da tre anni in circa stropiato delle gambe, che non poteva caminare. Portarono detto figliolo sopra il sepolcro del Padre lo lasciarono sopra con gran fede, fecero oratione al P.Gioseppe, che impetrasse la sanità al loro filgliolo, il quale subito si levò in piedi e cominciò a caminare sopra il sepolcro, e poi per tutta la Cappella Magiore, che andava saltellando, dove stiedero tutta la matina, e perche l’ora era tardi volevamo serrar la Chiesa, quando i Padri del figliolo lo volevano portar via si metteva a piangere che non voleva partire e cossì piangendo lo portarono via con prometterli di ritornarvi doppo pranzo come fecero e vi stiedero tutto il giorno.
448.Onde D.Gio: Nati Cappellano e musico di Mons. de Rosis, Vescovo di Teano, che haveva cura di scrivere quel che andava succedendo disse a quelli che mentre havevano havuta una gratia cossì grande era bene che facessero far un voto di gratia ricevuta, e scusatisi quelli che non conoscevano nessuno, fù chiamato Gio: Barbarino Pittore vicino la Chiesa del Giesù, li dissero che li facesse un quadretto per voto gratia ricevuta del P.Gioseppe, havendo sanato quel loro figliolo, che era stroppiato delle gambe e non haveva mai caminato, che l’haveria data ogni satisfatione. Il pittore fece il quadro in questa maniera, depinse il P.Gioseppe dentro una nube in atto che dasse la bened.ne, il figliolo lo colocò sopra il sepolcro, et il Padre e la Madre ingenocchioni in atto di far oratione. E questo fù il primo voto che fù portato e posto sopra il sepolcro, dove vi stiede quasi tutta la matina, sintanto che venne a dir messa l’Abbate Sacco, il quale mi disse, che subito levasse quel quadro pche era contro la Bolla di Papa Urbano e non levandolo haveria fatto danno alla Causa, quando sarà suo tempo per far il processo sopra non cultu. Il detto quadro si ponesse in sacrestia, acciò non sta cossì patente per non dar da dire al mondo ancora, che si facevano queste ostentationi.
449.Feci levar il quadro conforme l’aviso datomi dall’Abbate Sacco, lo feci attaccar in sacrestia sopra la porta che va in Chiesa, et alcuni Padri eran di contrario parere, che non si doveva levare dal sepolcro per magiormente aumentar la devotione, si che fatteli veder la Bolla di Papa Urbano, che rimette tutto questa Bolla al Santo Ufficio si quietarono e restò quel voto attaccato in sacrestia sotto un ritratto, che havevo fatto fare del Padre di mezza figura al naturale; ma veduta dal Notaro Fra.co Meula mi fece levar il tutto dicendomi, che lo mettesse in qualche luogo decente si, ma che non fusse veduto da nessuno perche ancorche la Bolla dica che sidevono metter i voti in Sacrestia, non dovevano però star patenti, che li vedano tutti, che denotavano cultu, e si faria pregiuditio alla causa del P.Generale, che non guardasse che venissero voti assai perche Dio n’haveria mandati dell’altri quando conoscerà che cossì fusse espediente.
450.Serrata la sacrestia levai i voti che stavano attaccati attorno al quadro e li posi attaccati dentro la Credenza delle Reliquie che sta nel Camerino dentro la Sacrestia, acciò venendo qualcheduno che li volesse vedere li potesse mirare a suo bell’agio. Passati alcuni giorni ne vennero tanti, che non capivan più alla detta Credenza e perciò li trasferii alla stanza dove era morto il P. Fundatore e furono attaccati attorno il quadro grande, come hora si vedono, siche quando venne la visita del Processo che s’era fatto sopra non cultu (come si dirà a suo luogo) descrisse prima il quadro grande, e poi tutti i voti che erano venuti, volendo saper da me chi l’haveva mandati, s’erano stati procurati con altre circostanze, et Io li levai tutti dal muro et ad uno ad uno li fece vedere come dietro alli med.mi voti vi era scritto chi l’haveva mandati, perche effetto, e chi l’haveva portati, et a quelli che non era scritto vi era attaccato un cartello.

[451-480]

451.Si sparse ancora la fama della Santità del P. non solo in Roma e luoghi convicini, ma sino a Milano, poiche il giorno delli 26 d’agosto mentre il Corpo del P.Gioseppe era esposto in chiesa vi venne un Gentilhuomo di Casa Benedetti Milanese, il quale procurò una pezzetta della veste del P.Gioseppe, la pose dentro una lettera e la mandò a Milano al Sr.Alessandro Figini raccontandoli come in Roma era morto il Fundatore delle Scuole Pie, chiamato il P.Gioseppe della Mre di Dio, e li raccontò che haveva fatto molti miracoli che l’haveva visto et il Concorso di tutta Roma a S.Pantaleo e la fama della Santità di questo Padre.
452.Quando giunge questa lettera a Milano il Sr.Alessandro Figini si trova malamente aggravato in letto con un dolor di pietra che se l’era incarnata nella vessica, che li Medici mai l’havevano potuta levare, li dava tali dolori che non lo facevano riposare; fattasi leggere la lettera, prese quella pezzetta ch’era venuta dentro la med.ma lettera la cominciò a bagiare, chiamò un suo servidore li diede alcuni denari, che vada in una Chiesa a far dir dodeci messe in honore del P.Gioseppe della Mre di Dio, e postasi detta pezza sul male, li parve di quietare un poco, e volendosi far portare ad un altro letto più fresco, che lui non si poteva voltare, si sentì sotto il Gallone, (che se lo chiama lui medesimo non solo nella lettera ma nella fede che ne mandò lui medesimo) una cosa dura, e fatto vedere che cosa era si trovò che era la pietra, che era caduta da se medesima subito che s’haveva posto adosso quella pezza. Fece chiamar i medici et i Chirurghi, dissero che era cosa miracolosa perche era cosa impossibile poterla far uscire con medicamenti come tante volte havevano provato, ne col tagliar a quel luogo, perche era incarnata al collo della vessica, che non voleva altro che la mano di Dio, e loro stimavano esser miracolo sopranaturale.
453.Restò il dº Sig.Alessandro Figini sano affatto et il medesimo ordinario rispose al suo Agente in Roma ringratiandolo d’haverli mandata la pezzetta dentro la lettera della quale lui ancora haveva sentito gli effetti della Santità del P.Gioseppe della Madre di Dio, poiche haveva buttata una pietra che li tormentava senza che se n’accorgesse e con l’altro ordinario l’havrebbe dato più distinta relatione perchè non haveva tempo di scrivere che partiva la posta.
454.Giunse la risposta in Roma da Milano al principio di settembre al Sr.Benedetti Agente del Figini, il quale subito venne a S.Pantaleo, mi lesse la lettera et Io li feci instanza, che me ne facesse far una fede, acciò ne facessi memoria di questo fatto nel mio libro che già havevo cominciato delle cose successe del P.Gioseppe; mi rispose che li scrivessi una lettera, che lui l’haveria mandata e me ne haveria procurata la risposta, come fece. Venne la fede, et un ordine al medesimo, che mi dasse una doppia acciò ne facessi celebrare tante messe per gratia ricevuta come più distintamente si puol vedere nel detto libro delli miracoli.
455.Nel medesimo giorno delli 26 d’Agosto mentre stava il Corpo esposto in Chiesa Geronimo Scaglia di cui s’è fatta mentione altrove, hebbe una pezzetta del camisce del P. et un altra bagnata del suo sangue. Nel medesimo ordinario le pose dentro una lettera e le mandò a Bergamo a D.Gio:Scaglia suo fratello narrandoli quanto era successo in Roma, e che in Casa sua ancora havevano sentiti gli effetti delle gratie di questo Servo di Dio, essendo sanata sua suocera delli dolori delle Braccia lesi, che non poteva manegiare solo con haverli bagiati le mani et i piedi, che lui ancora si raccomandi all’intercessione del P.Generale, che al sicuro saria sanato dalla sua lunga infermità, sapendo chi era stato il P.Gioseppe Generale perche era stato Maestro tanto del dº Geronimo quanto del medesimo D.Giovanni suo fratello, quando stavano assiemi in Roma.
Nella prima posta venne la risposta da Bergamo da D.Gio: Scaglia a Geronimo suo fratello, che haveva ricevute dentro la sua lettera (le pezzette), che in mettersele adosso subito era sanato perfettamente, e non solo lui, ma due altre signore, che quanto pª l’haveria dato ordine, che facesse far due voti d’argento al P.Generale per gratie ricevute, come è scritto nel libro de Miracoli distesamente.
Siche in sì poco tempo si sparse la fama per il stato di Milano e quello di Venetia, e da mano in mano andavano venendo le nuove da fuora haver saputo quanto era successo in Roma nella morte del P.Gioseppe.
456.In quattro giorni ne giunse la nuova in Caglieri al Duca di Montalto Vicerè del Regno di Sardegna, che pareva cosa impossibile esser venuta di cossì presto e fù in questa maniera.
Alli 30 d’Agosto 1648 ad hora incomposta andò il Duca di Montalto Vicerè privatamente al nostro Novitiato di Caglieri, e fatto chiamare il P.Pier Luca di San Michele Romano Ministro e Maestro de Novitii li cominciò a dimandare come stava con li suoi Novitii e discorrendo, che p gratia di Dio stavano tutti bene, et entrati nella stanza del P.Pier Luca il Duca si sentò sul letto famigliarmente come spesso soleva fare, li domandò, che nova (haveva) havuto da Roma e che cosa si diceva. Li rispose il P.Pier Luca che era un pezzo che non haveva havute lettere da Roma, ne sapeva quel che si facessero e stava aspettando alcune risposte d’un suo negotio che erano quasi due mesi e mai haveva havuta nessuna nova.
457.Il Duca li rispose che cosa mi darete se Io vi do le nuove da Roma, e sono buone et ancorche paiono melinconiche sono di g.ma allegrezza, lo tenne a bada un pezzo e poi li disse che mandasse a chiamare il P:Pier Fra.co dalla Casa Professa, che voleva che ancor vi fusse lui a sentire acciò la mestitia e l’allegrezza fusse comune.
Subito furono spediti due che chiamassero il P.Pier Fra.co che venisse presto al Novitiato dove l’aspettava il Vicerè, e li voleva parlare d’un negotio importante venuto da Roma. Fratanto il Vicerè andava scherzando con il P.Pier Luca, che indovinasse quel che l’haveva da dire. Li disse forsi fusse morto Papa Innocentio, e noi uscissimo da tanti travagli, che questa allegrezza saria assai per noi, poiche non stiamo ne in Cielo ne in terra.
458.Non, disse il Duca, non è morto Papa Innocenzio, e l’allegrezza sarà magiore di quel che voi pensate, e mentre stavano vicendevolmente rispondendo l’uno all’altro, giunse il P.Pier Francesco tutto sudato e fatte le sue cerimonie il Vicerè lo fece seder appresso a lui e li cominciò a far le med.me interrogationi, e non sapendo il P.Pier Francesco che rispondere stava pensando forse fusse morto il P.Generale, ma che allegrezza ci potria apportare la sua Morte, anzi tristezza e rovina perche morto lui saria finita la Religione e non sapendo che rispondere li disse: Per amor di Dio V.E. ci dica quel che è successo e non ci faccia più penare.
Il Duca si cavò da saccoccia il dispaccio venutoli da Roma dal Cardinal della Cueva dove li dava nuova della morte del P.Gioseppe della Madre di Dio Aragonese Fundatore delle Scuole Pie e letto questo Capitolo si fermò.
Sentendo il P.Pier Francesco et il P.Pier Luca la morte del Fundatore si misero a piangere dicendo al Vicerè e questa è la nuova d’allegrezza, che Vostra Eccellenza ci da, che non potevamo haver pegior nuova di questa perche Dio sa quello che sarà della Religione, poiche era assai vivendo lui havevano qualche speranza di qualche agiustamento delle cose della Religione.
459.Sogiunse il Duca: anzi la Religione adesso s’avanzarà più che pensate, bisogna sentir che cosa è successo e poi vedrete che le cose non caminano come voi pensate, poiche si puol dire pretiosa in conspectu Domini mors Sanctorum eius. Seguitò il Duca a legere il dispaccio dove li dava nuova il Cardinal della Cueva come il P. Gioseppe della Mre di Dio da lui molto bene conosciuto era morto con tal opinione di santità, concorso di Popolo, et haveva fatti tanti miracoli, che tutta la Corte n’era piena, e che quella med.ma matina era stato alla Congregatione del S.Ufficio avanti al Papa, et havevano discorso delle virtù del P.Gioseppe, approvando il dº Cardinal della Cueva nella sua lettera, che essendo lui della Congregatione sopra le Scuole Pie, più volte volle esser informato dello stato della Religione e dell’Instituto dal medesimo P.Gioseppe Fundatore, e mai li sentì dire una minima parola in sua discolpa, ne contro quelli che l’havevano perseguitato, e che Dio haveva permesso tante persecutioni alla sua persona et alla sua Relig.e, per far conoscere la sua integrità e santità, e che tutta la Corte gioiva di tanto successo di miracoli; che il Cardinale si rallegrava con il Duca di Montalto che più volte l’haveva scritto in raccomandatione del P.Generale e della religione (ad instanza però del P.Pier Francesco della Madre di Dio fundatore delle Scuole Pie nel Regno di Sardegna) e che il Cardinale li diceva rallegrandosi seco che haveva un Amico Santo in Paradiso, e che in Casa sua haveva ancora participato delle sue gratie un suo Palafriniero che stava con dolori colici e per la sua intercessione era sanato.
460.Dunque Padri miei rallegratevi, e non più piangete che Iddio ha fatto conoscere le sue virtù sino al medesimo Pontefice, di quanto Io più volte ho scritto a tanti Cardinali sopra questo fatto, e fra due giorni spedirò per Roma con altri dispacci, scrivete pure ai vostri Padri, che ne diano più aperta e compita relatione, acciò magiormente ci rallegriamo.
Si puol considerare l’allegrezza che hebbero quei Padri, che in luogo di pianto fecero gran festa et allegrezza, e la sera il medesimo Vicerè volle restare a cena con loro.
461.Si sparse questa nuova per Caglieri publicandola il medesimo Duca per la Corte, onde andavano tutti quei Sig.ri e Religiosi con i nostri Padri e cossì cominciarono di nuovo a pigliar più fama di quel che havevano, et in particolare Mons.Arcivescovo che p.ma non li mirava con buon occhio perche il Duca non haveva voluto mai che publicasse il Breve di Papa Innocenzio, e perciò scrisse più volte in Roma al Cardinal Ginetti, che non lo volevano ubidire, e lui li rispondeva, che li lasciasse stare in pace, perche stavano sotto la sua protettione, et Io sapevo il tutto perche oltre che il Cardinale mi faceva comunicare dal Sr.Agostino Luchiano Secretario, mi comunicava anche il tutto il Sr.D.Paulo Giordani Agente del medesimo Arcivescovo di Caglieri, e cossì s’andava riparando all’onde furiose che venivano contro la Casa di Caglieri.
462.Un altra volta pretendeva l’Arcivescovo di Caglieri spogliar i Padri d’una vigna che diceva non la potevano tenere, che la vendessero come ordinava il Breve di Papa Alessandro Settimo, ne scrisse similmente al Cardinal Ginetti, e li rispose che la potevano tenere perche l’haveva dato licenza lui, e n’haveva parlato al Papa.
Torniamo hora al Duca di Montalto, fu spedita la filuca p Roma la quale giunse in pochi giorni, vennero le lettere al P.Castiglia del P.Pier Francesco, e dal P.Pier Luca raccontando quanto l’haveva detto il Duca di Montalto Vicerè, che volevano sapere qualche cosa particolare, et a me un altra lettera apparte che li facesse una piena relatione di quanto era successo per loro consolatione, che si fidavano di me, come che facevo tutti i negotii che occorrevano in Roma per la loro Casa di Caglieri, e come che ero informato di quanto era successo. Li feci una lunga narratione dal principio della (morte del) Padre, sino a quanto era successo per tutto il mese di settembre del dº Anno, quale lessero al Duca di Montalto et a molti nostri conoscenti, Amici e Benefattori; del che prese tal nome il P.Gioseppe non solo in Caglieri, mà p tutto il Regno e non passò molto tempo, che mi mandarono delle Relationi de miracoli che haveva fatto in quel Regno come si possono vedere nel libro de Miracoli.
463.Fu proposto dal P.Pier Francesco della Mre di Dio Napolitano tanto al Vicerè quanto a Mons.Arcivescovo che voleva far l’esequie del nostro Fundatore, ma voleva far qualche cosa di buono et invitarvi non solo il Vicerè et Arcivescovo, ma tutti i Tribunali, Religiosi, Cavalieri e dame della Città con una oratione funerale da qualche Predicatore insigne con apparar tutta la Chiesa di lutto et ornarla di varie compositioni per far vedere le sue virtù, et anco quanto sia profittevole l’Instituto, che haveva fundato, mà che solo li dava fastidio non esser la Chiesa capace di tante persone che haveva pensato buttar un muro per allargarla.
464.Li rispose il Vicerè che non li pareva conveniente a farla nella nostra Chiesa, che con tutto che s’allargasse tampoco saria approposito per tutta la Città, e ne potevano nascere delli inconvenienti, mà che saria meglio farle al Domo, che si staria con magior comodità e compareria con magior splendore, e quanto all’oratione funerale era necessario invitar una persona spagnola, che parla liberamente, e non una appassionata; furono proposti molti Predicatori insigni di molte Religioni, ma a tutti si trovava qualche eccettione, alla fine fù proposto il P.Teglios Predicatore del Vicerè dell’Ordine della Santissima Trinità del Rossetto huomo veramente insigne nell’orare che per essere Aragonese sapeva benissimo la nascita e qualità della famiglia Calasantia, e con questo discorso fù deliberato che lo facesse al Domo, e s’invitasse il P.Teglios per far l’oratione funerale.
465.Fù dato ordine a nostri Padri, che ognuno si preparasse a far le Compositioni in più lingue che fussero in quantità di poter empire tutta la Chiesa. Furono fatte varie Composi.ni in lingua latina, spagnola, italiana, e sarda, che veramente furono di grand.ma satisfattione a tutti.
Fù invitato la prima Dignità del Capitolo dell’Arcivescovato di Caglieri e due Canonici per Assistenti, che tutti voluntieri accettarono l’invito, massime che sapevano che questo negotio era manegiato dal Duca di Montalto Vicerè, e l’Arcivescovo vi concorreva e voleva assistere alla funtione, e nessuno contrariava, che si facesse questa funtione cossì publica.
Appressato il tempo fù apparato il Domo tutto di lugubre, e poste le compositioni, stiede due giorni ad aprirsi la chiesa siche erano più avidi di vedere quel che si doveva fare.
466.Fù fatto l’invito, e venuta la matina che si doveva fare la funtione era preparato in mezzo il Domo una Castellana ornata d’argenteria con torcie e candele accese, che sembrava una grand.ma maestà, onde dicevano alcuni, che nella morte del Re e della Regina non si poteva far più bella e preziosa siche non mancaron dell’appassionati che censurassero e la spesa e la magnificenza con che ordine era esposta.
Fù invitata la Musica di Palazzo acciò venisse a cantare come voluntieri vennero ad honorar quella funtione.
Fù dal Capitolo, Canonici e dignità della Metropolinata cantato l’ufficio de morti, che veramente fecero quella funtione con ogni divotione precedendo pª il suono delle Campane del Duomo a lugubre dalla sera antecedente.
Finalmente venuta l’ora della funtione venne il Vicerè con tutti i Tribunali e cortegiani, Cavalieri con la sua Corte, come anco Mons.Arcivescovo con il suo seguito restarono stupiti di tanto apparecchio e della tessitura delle compositioni et i nostri Padri conforme andavano venendo li ricevevano con accompagnarli al luogo loro, e massime il P.Pier Fra.co al quale non mancava una Rettorica naturale con una lingua e gravità spagnola, che a tutti sapeva dar satisfatione.
467.Fù cominciata la funtione con quella solennità possibile, e gravità spagnola, e pervenuto al offertorio saglì il P.Teglios sul Pulpito fece la sua oratione rappresentando p.ma la Nobiltà della Casa Calasantia, la pueritia et infanzia del P.Gioseppe, quanto haveva passato nella sua Gioventù, dimostrando quanto fusse divoto della B.ma Vergine, la Carità grande verso i Poveri, la Castità con fugir tutte l’occasioni che la potessero macchiare, l’amore verso Dio et il Prossimo per amor di Dio p il che haveva fundata una Religione, che si poteva chiamare reformatrice de costumi per scancellar i Peccati se fusse possibile dal mondo, che questa fù l’intentione del P.Gioseppe in fundar questo Instituto di tanta pietà e carità verso il pros.mo dimostrando anco esser stato dotato di tutte le virtù in superlativo grado con amar i suoi persecutori come se medesimo.Fece vedere che era un Santo in Cielo, e godeva il Paradiso.
468.Fù tanta aggradita questa oratione non solamente dal Vicerè e dall’Arcivescovo e Nobiltà, mà da tutti chi lo sentì, onde il Duca di Montalto prese tanto affetto al P.Teglios, che li procurò l’Arcivescovato dell’Aquila in Abruzzo procurandoli la nomina dal Re Filippo Quarto, dove visse alcuni Anni e governò quella Chiesa con grandissimo spirito et esempio del suo Grege, e cercò sempre di riformar i costumi di tutti, procurando di conservar intatta l’immunità e libertà ecclesiastica.
Di tutta la funtione diede conto in Roma il P.Pier Francesco per lettera, come anco fece a bocca quando venne in Roma poco doppo, il tutto ho visto in scritto e sentito a bocca non solo dal P.Pier Francesco e del P.Pier Luca di S.Michele, ma dal medesimo P.Teglios quando venne in Roma per riceverne da Papa Innocentio Decimo la dignità del suo Arcivescovato. L’andai a visitare a S.Adriano, il quale poi venne a S.Pantaleo più volte e mi raccontò come l’esequie del P.Gioseppe Fundatore in Caglieri riuscirono con ogni satisfattione, e che d’alcuni furono invidiati; mi promise far venir la copia del suo discorso, ma poi si partì et Io non vi feci altro.
469.Si ritrovava in quel tempo della morte del P.Gioseppe Fundatore in Fiorenza il P.Francesco della Corona di Spine Parmeggiano, il quale ad imitatione, che haveva saputo che in Roma si preparavano a far il trentesimo del P.Gioseppe Fundatore, lui ancora volse far il medesimo con tutto che quella Casa era assai scarsa di sogetti, non di meno fece tanto che con elemosine de Benefattori fece un bellissimo funerale, con una Castellana belli.ma, fece cantar la Messa con musica e vi fece far una bell.ma oratione funerale da un Padre Cassinense Predicatore Insigne, quale fu honorato dalli Prencipi Mattias et Leopoldo de Medici, frello del Gran Duca di Toscana, i quali furono seguitati da tutta la Nobiltà Fiorentina.
470.Piacque tanto quel Panegirico di quel Monaco, che li fu fatto instanza di donarli una copia per farlo stampare, perche tanto il Gran Duca come i due Cardinali Carlo e Gio:Carlo de Medici lo volevano vedere, dispiacendoli non haverlo potuto sentire per esser andati a diporto in Pisa.
Fù stampato il discorso, piacque assai, e ne vennero le copie in Roma. Che Io ancora ne hebbi una, la quale mi fù cercata per vederla da un Prelato, li piacque tanto che non me la volle più restituire.
L’apparato della Chiesa fù bello conforme le forze della nostra Povertà, mà le compositioni attaccate sopra li parati di lutto furono belli.me fatte dal P.Gioseppe di S.Francesco di Paula di Rugliano Casale di Cosenza, che faceva la scuola de Nobili in Fiorenza, huomo non solamente dottissimo, ma di grandissima bontà di vita, il quale morì a Narni Superiore nel stato del Papa l’Anno 1654 con odore di grand.ma bontà e perfettione Religiosa.
471.Il simile fù fatto a Pisa da nostri Padri con ogni solennità e spesa. Fù fatto anco in funerale in Genova dal P.Gabriele della Nuntiata, che era stato secretario del P.Gioseppe Generale, il quale invitò a far l’oratione funerale il P.D.Francesco Biscia di Roma Teatino, il quale per esser stato scolaro del nostro P.Fundatore fece una belli.ma compositione, mà per esser ammalato non potè recitarla, e perciò il P.Gabriele trovandosi fatto l’invito di molti Senatori Nobili Genovesi e Religiosi, invitò un Padre Somasco che all’improviso fece un belli.mo panegirico, che fece stupir tutti. L’apparati e compositioni non furono minori di quelli che fecero in Fiorenza et a Pisa, mà li superò di gran lunga essendo questo Padre magnanimo e liberale, massime in una cosa di suo genio.
472.In Palermo era Superiore il P.Francesco di Giesù, havendo inteso quel che facevano l’altre Case non volle esser di meno del altri. Si preparò un pezzo p.ma fece fare di molte compositioni fece apparar la Chiesa di negro con un bell.mo Catafalco di lumi sopra vi fece mettere un belli.mo quadro con il Ritratto del P.Gioseppe al naturale, il quale in una mano haveva un stendardo con l’inpresa della nostra Religione, e nell’altra il libro delle Constitutioni et in terra un Cappello di Cardinale, e l’impresa della Casa Calasantia, che sono un cane alato che porta una borsa roscia in bocca piena di monete. Fù invitato il P:N. Teatino a far l’oratione funerale, che li riuscì in tal maniera nelle virtù e nella santità del P. che non ne volle dar copia dicendo, che non era ancor tempo a darla fuora per non incorrere a qualche censura, perche una è dirla in voce et altro è mandarlo alla stampa.
473.Il P.Simone di S.Bartolomeo che si trovava a Fanano, luogo del Duca di Modena fece ancor lui le sue parti come meglio potè, per il che successe un miracolo instantaneo in persona del Arciprete di quella terra, chiamato D.Gio: Pariggi, il quale s’ammalò di febre maligna, fù fatto spedito da Medici e furono preparati i funerali, presa la cera, e preparate le vesti per vestirlo, e mentre lo stavano raccomandando l’anima, un suo fratello Sacerdote chiamato D. Fra.co, il quale era stato de nostri, vedendolo agonizante li pose alcune Reliquie che haveva del P.Gioseppe della Mre di Dio, che haveva seco, subito cominciò a discorrere sanamente, e fù perfettamente sano, del che ne diede parte in Roma con lettera il med.mo D.Francesco al P.Bonifacio di S.Luca, che a quel tempo si trovava Maestro al Collegio Nazareno, come più distesamente si puol vedere al libro de Miracoli.
474.La Casa di Narni dove era Superiore il P.Carlo di S.Domenico non fù inferiore all’altre, che con il P.Gio: Stefano della Mre di Dio, dove successe un altro miracolo alla sorella d’un Canonico di quella Catedrale, la quale temevano che morisse, solo con raccomandarsi ad una immagine del P. fù subito sana, come anco si puol vedere in detto libro.
L’altre Case d’Italia tutte fecero il simile, mà più s’avanzarano quelle di Germania e Polonia delle quali vennero le relationi, che il raccontarle tutte saria di molta larghezza.
Solo voglio raccontare quel che si fece in Roma brevemente havendolo scritto nel libro de Miracoli distesamente con altre circostanze, e questo libro si trova nella libreria della casa di Chieti mandatolo da me ultimamente da Napoli, dove l’ho accresciuto di molte cose che vi mancavano.
Fù tenuta una Cong.ne delli PP Sacerdoti della Casa di S.Pantaleo di Roma, se si doveva far il trentesimo del P.Generale e se vi si doveva fare una oratione funerale, e da chi. Fù concluso che si facesse il trentesimo con la magior solennità possibile conforme la nostra Povertà , e che si nominasse un Oratore insigne d’altra Religione, non parendo bene, che la facesse uno de nostri per non parere appassionato nella materia, che si poteva dire, e perche la nostra Povertà era grande ognuno s’offerse di far e trovar qualche cosa.
475.Toccò a me di trovar l’oratore e pensai che non vi fusse persona più approposito del P: fra Tomaso Acquaviva Domenicano Predicatore insigne, l’andai a trovare con il P.Bonaventura di S.Maria Madalena, che stava alla cura dell’infermità del Cardinal Mazarino il giovane, et espostoli quel che desiderava si scusò che non poteva attender a far questa oratione funerale della quale ne saria ambitioso per l’infermità del Sr.Cardinale; lo pregai che mi dasse un altro Padre Domenicano approposito. Mi rispose che non era possibile ad intraprender una cosa publica, ne sapeva chi darci, ma se volevamo il P:Bonpiani Gesuita, huomo in queste cose insigne l’haveria parlato lui medesimo, et haveria fatta cosa d’uomo pari.
476.Replicò il P.Bonaventura, che non era conveniente prender un Gesuita, che haveria taciuto le cose più essentiali per essere uno di loro intrigato nella materia, se li pareva approposito il P. fra Giacinto di S.Vincenzo Scalzo Carmelitano, il quale era suo amico e paesano. Li rispose che era ottimo et haveria fatta cosa buona, quando però haveria intrapresa questa impresa. Con questa risolutione dritto tramite andassimo alla Madonna della Vittoria dove stava il P: fra Giacinto Scalzo Carmelitano, lo pregammo, che ci facci favore di far l’oratione funerale; il quale voluntieri s’offerse di farla, che le portass.mo le scritture necessarie, e presto, acciò possa lavorare, le quali le portai il giorno seguente con il P.Vincenzo della Concettione, come più pratico, e sentisse la voce viva, del che restò molto sodisfatto. Fù appuntata la giornata, mà che otto giorni p.ma ci vedessimo acciò nascendo qualche difficultà si potesse superare come fù eseguito. Fratanto s’andò preparando quanto bisognava per apparar la Chiesa, trovar la Cera, e farsi il Catafalco, questo fù fatto dal P.Angelo di S.Domenico Lucchese e dal P. Benedetto di Giesù Mª Norcino con una belli.ma Architettura con tre Cornicioni di Carta finta, che con li lumi rendeva bell.ma vista.
477.Il P.Francesco della Nuntiata procurò i megliori Musici di Cappella e preparato il tutto, fù fatto l’invito di molti Prelati, Cavalieri e Religiosi, e posto all’ordine il tutto, mentre che già cominciavano ad uscir le messe di morti, vennero due Padri Scalzi Carmelitani da parte del P. fra Giacinto scusandosi che non poteva venire perchè l’erano venuti dolori colici con li calcoli, che se si potesse trasferire a un altro giorno, che altrimenti non poteva venire. Si posimo tutti in confusione, et il P.Vincenzo s’offerse andarvi lui con una carozza per far ogni possibile, acciò venisse, et andò seco il P.Gioseppe di S.Eustachio di Pesaro, e giunti alla Vittoria li disse il Portinaro, che il P. fra Giacinto stava assai male et andava gridando per quei corridori, che per li dolori si buttava per terra come una furia. Lo pregò tanto il P.Vincenzo che vi lo conducesse, che solo li voleva dir una parola. Lo portò di sopra al chiostro segreto, e quando vidde il P.Vincenzo le disse che era impossibile poter venire perche li dolori lo tormentavano. È vero que quattro giorni p.ma l’haveva havuto più atroci e con haversi ingenocchiato, disse tre Pater e tre Ave Maria, e p li meriti del P.Gioseppe perche faticava per lui, li passarono, ma ier sera li son venuti di nuovo con tanti dolori che non poteva ripparare e perciò lo scusassero, poiche n’haveva più voglia lui che loro medesimi. Lo pregò il P.Vincenzo che venisse, che l’haveva portata la Carozza, che forsi con quel sbattere li sariano allegeriti.
478.Dopo tanti preghi prese la bened.ne dal suo Priore, si posero in Carozza col suo Compagno, e tutti quattro si condussero a S.Pantaleo, e postosi a passegiar con il P.Bonaventura li dolori non li cessavano.
Venuta l’ora andai Io medesimo ad invitarlo, il quale mi disse che si sentiva male, ma con tutto ciò pareva che fusse tentatione, che pregassimo il P.Gioseppe per lui che haveria fatto quel che haveria potuto. Calato in Chiesa fù sparsa la voce, che si sentiva male, mà con tutto ciò voleva provare.
Posto il piede sulla Cattedra cominciò la sua oratione con tanto fervore, che fece stupir tutti. Disse veramente cose tanto belle et in particolare delle sue virtù da quando era piccolino poco più di tre anni, havendo sentito alla Madre che lui haveva un hinimico, come anco havevano tutti li uomini, che l’induceva al peccato per portarli seco all’Inferno, siche un giorno se l’impresse talmente questo alla memoria, che prese un coltello e con un altro Putto suo pari, et usciti fuora dell’abitato li propose d’andar seco ad amazzar il Demonio loro hinimico; onde tutto quel giorno andarono cercando e correndo per quelli oliveti per trovar il Demonio per ucciderlo, e sempre andava col coltello nelle mani.
479.Il Compagno, che era seco in campagna si chiamava Gioseppe Musquez, il quale permisse Dio che si trovasse presente mentre il fra Giacinto faceva l’oratione funerale e sentì questo successo, che finita l’oratione funerale disse in publica chiesa esser stato lui il Compagno di Giuseppe Calasantio quando andò p uccidere il Demonio, e tutti correvano per vederlo per curiosità et era d’età di 93. Un anno haveva più del P., il quale per le sue virtù Filippo Terzo lo fece Abbate della Reggia di Perpignano. Questo morì in Roma l’anno 1649.
Disse tante belle cose il P. fra Giacinto, che veramente restarono tutti satisfatti, non solo sopra le virtù, mà anco andò circoscrivendo li miracoli, che ancora lui haveva provati gli effetti delle gratie che haveva fatte il P.Gioseppe.
480.Finita la sua funtione non volle tornarsene in Carozza alla Vittoria, mà a piedi accompagnato da quattro Padri gravi della sua Religione, per esser Definitor Generale di tutto il suo Ordine.
Li fù fatta instanza d’una copia della sua oratione, la quale diedi voluntieri con patto che se li dasse qualche cosa del P.Generale che voleva per sua devotione, come fù fatto. L’oratione fù fatta stampare in Varsavia, et il P.fra Giacinto fù mandato da Papa Innocentio Decimo per mezzo della Cong.ne di Propaganda fide Capo de Missionarii de l’Indie acciò accomodasse alcune cose della fede in quei popoli havendone fatto instanza alcuni potentati, che si mandasse persona dissinteressata e di credito. Il P.Giacinto vi andò senza voler honori ne vescovato offertoli dove morì con gran odore della sua perfetta vita religiosa. Questo capitolo l’ho scritto brevemente, che come dissi l’ho scritto altrove più diffusamente.
Non sto a racconatr altri miracoli, che chi li vuol vedere, li puol legere ad un libro apparte raccolto da me. Il fine della quarta Relatione, e quarto libro a dì 25 d’Agosto Ann.1673.

Notas

  1. Qualcuno ha corretto qui e posto “sesta” quando nel testo si dice sempre “quarta”. È possibile che sia quello che ha rilegato i volumi mettendo nella copertina Par- VI – VII. Sicuramente è la parte quarta, dato che ha l’indice fatto dal P:Egidio come le tre prime, cosa che non ha la parte veramente sesta, che è stata rilegata come quarta.
  2. Fù il giorno 17 come il Caputi stesso dice più avanti.
  3. È curioso il cambio di persona che fa qui il P.Caputi, tra parentesi mettiamo quello che avrebbe dovuto dire.