BerroAnnotazioni/Tomo2/Libro3/Cap11
Aviso OCR
Este texto ha sido obtenido por un proceso automático mediante un software OCR. Puede contener errores. |
- Cap. 11 Furto fatto nella Sacrestia di S. Pantaleo
Non è dubio alcuno che l'inferno tutto si era scatenato per cooperare all'architetura fatta dagli huomini suoi servi, o concitadini, e che però unitamente l'inferno, et il mondo tendevano, se bene per vari fini, alla distrutione della Religione de' Chierici Regulari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie, come quella che dalle loro fauci ritrae molta della gioventù. Però essendo già ab antico solito in quella di lenire separato dalle altre limosine, quelle che vengono per la celebratione delle Messe, si teniva nella sacrestia di S. Pantaleo una cassetta con più chiavi con detta limosina in sacristia in un stipo con un libro nel quale si scrivevano le Messe che venivano da celebrare et in un'altra parte le Messe che si celebravano giorno per giorno.
Era sacristano di S. Pantaleo uno della fatione del P. Stefano, et però il tutto conservava a suo piacere, e beneplacito. Erano in detta cassetta somma assai notabile di limosine di Messe venute da celebrare, adunata facilmente e lasciatavi con disegno della parte avversa alla Religione per darli anche questa maschera, di ladri, cosa che mai era successa, come dagli effetti seguiti si può benissimo dedurre.
Appuntato, al parere di molti, il tutto, una mattina andando il sacristano per aprire la porta della sacristia e Chiesa, si trovò aperto la sacristia, il stipo e vilentata la cassetta, e questo perchè le chiave non stavano tutte in una mano, e preso dal stipo un calice d'argento, e tutti li danari dalla cassetta, ne diede parte il sacristano al P. Stefano, il quale per autenticare il fatto, e far palese il delitto di furto poi commesso in S. Pantaleo delle Scuole Pie di Roma, diede subito la denuntia ad uno delli giudici dell'Em.o Cardinale Vicario, il quale mandò subito il suo fiscale, notaro et Officiale per fare la requisitione del delitto.
Vennero fecero tutte le diligenze con l'essame di molti, non si trovò cosa alcuna, ma bensì fu fatto il processo di furto contro le Scuole Pie per arrivare al loro fine di dare questa macchia di latrocinio alla Religione.
Si hebbero poi conietture quasi palpabile che era stato un certo laico fatto Sacerdote dal P. R.mo Visitatore e P. Stefano, chiamato Antonio di S. Gioseppe, per sopranome della farina da Fanano, o ivi vicino, vestito per laico e nel secolo era stato manuale di muratore che non sapeva leggere ne pure in volgare, ma perchè haveva detto e fatto non so che a favore del P. Stefano, con sodisfatione nel P. Visitatore Giesuita, così ignorante, e di mali costumi, contro li ordini de' Sommi Pontefici, l'havevano fatto Sacerdote, et all'hora sacristano, o vero in quella matina haveva havuto le chiave della sacristia, il tutto fatto con saputa de' Superiori, così si tiene. Ma perchè questi non volevano se non lo smacco della Religione non più se ne parlò in mortificatione del delinquente.
Lettore non mi tenere per così contrario alli sopradetti Superiori all'hora della nostra povera Religione perchè se bene è vero che dalle mani loro non volsi superiorità alcuna, e quella datami per forza, feci ogni possibile per levarmela, come dalle lettere del R.mo P. Gottifredo, che morse Generale della Compagnia si può vedere.
Con tutto ciò, da quello che leggendo nel terzo tomo di queste annotationi delle Scuole Pie, troverai, dirai a piena bocca: che io non sono mentitore, né calunniatore, e particolarmente nel capitolo della morte del detto P. Stefano degli Angeli.
Non credo che sarà per essere disgustoso, né fuor di proposito il ponere qui un caso di questi ordinati per favore del P. Pietra-santa Giesuita, e nostro Visitatore e del P. Stefano nostro Superiore per forza.
Stando io in Napoli venne ordine dalli sopradetti Superiori al P. Gio. Luca della Beata Vergine Provinciale di Napoli, che in compagnia del P. Domenico della Madre di Dio napoletano se bene mi ricordo, e mia si dovessero sentire le raggioni che aduceva a suo favore per essere ordinato Sacerdote il Fratello Teodoro di S. Cecilia della terra di Norcia, o Arquate che sia, e se detto si sentiva dessimo il nostro deffinitivo parere o prò o contro.
Si fecero più adunanze fra noi tre, si sentì la parte si hebbero in scritto le sue raggioni se li fece particolar studio, e riflessioni, a quello che particolarmente aduceva di esser stato vestito per chierico, e poi fatto professare per laico, e considerato la cagione che ciò era stato perchè non havendo punto di barba si giudicò di non havere più che 18 anni, et essaminato fu mediocremente trovato nelli principii di grammatica infarinato. Ma poi nel corso del novi-tiato visto che haveva più di 25 anni, e che non haveva né capacità né lettere in quel tempo, per gli Ordini sacri, in conformità delli decreti de Sommi Pontefici, fu posto in sua libertà e licenziato dal novitiato perchè dette caggioni di non esser habile al elencato, e che esso con publica scrittura haveva dichiarato di esser laico, e che per tale supplicava esser amesso alla professione.
Noi tre uniformi decretassimo che nullum jus habebat ad cle-ricatum, et ideo non esse ad ordines promovendum. Con tutto ciò il R.mo P. Pietrasanta Giesuita et il N.P. Stefano lo fecero ordinare perchè dimostrò non so che aderenza alle loro superiorità, che in particolare hora non mi ricordo. Veddi lettore, come si faceva.