BerroAnnotazioni/Tomo3/Libro1/Cap11
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Cap. 11 Visite mandate dall'Em.o e R.mo Cardinale Vicario a S. Pantaleo
Ho scritto più sopra che in Roma per la Dio gratia, et esplica-tione della santa mente del Sommo Pontefice Innocenzo X in non havere inteso di volere distrugere le Scuole Pie con la redutione in semplice Congregatione di farli cosa utile, come ... per l'affetto, che grande ha sempre portato a quelle PEm.o e R.mo Principe Cardinale Ginetti Vicario di N.S., si viveva in Roma con ogni quiete, e proseguiva con ogni fervore il nostro S. Istituto con le ferventi e frequenti essortationi, che ci faceva il N.V.P. Generale e Fondatore Gioseppe.
Ma perchè vi era anche la tarma, e residuo in casa de' seguaci di Mario e Stefano destruttori della Religione, e volendo vivere con ogni libertà et a suo capricio, e solo del Religioso havere l'habito, e di quello servirsi per manto alle loro desolutioni e la scuola per bute-ga de' negotii, e trafichi, e come anche la natura nostra è più facile ad abbracciare il male, che applicarsi al bene, vi furono alcuni che dalla comune mortificatione dataci dal Sommo Pontefice non ne cavarono umiliatione propria, ma bensì libertà e disolutione di vita, fugendo le mortificationi, divotioni e povertà delle nostre sante Costitutioni.
E perchè venivano dalli altri in più modi ritirati, avvertiti, ed anche ripresi dal Superiore della casa, et essortati dal N.V.P. Fondatore ad attendere all'anime loro, et all'Istituto nostro, questi ne covavan sempre più veleno e passione contro chi li faceva sì gran carità. Uno di questi che mai voleva essere alli nostri essercitii spirituali et alle communi mortificationi sotto diversi pretesti, avvisato di ciò, rispondeva: Non ci voglio venire perchè lo vadi a dire al P. Generale, et altre simili risposte. Un altro si fece dare licenza dall'Em.o e R.mo Cardinale Vicario Ginetti di non essere impiegato in cosa o offitio particolare sotto pretesto d'havere affaticato assai per prima, e però se ne andava vagolando per la Città, componendo sonetti, e quasi servendo per Buffone alla gioventù otiosa, e ricca di Roma, per il che si ridusse, e nel mangiare e nel bere ad un Epulone.
Un altro attendeva a mille negotii, et sebene stava nella scuola, era per scudo, e non per ammaestrare li scuolari, servendosi di quelli per tutti li suoi negotii di portare robbe, ed ambasciate, andando molto spesso e solo, ed accompagnato a mangiar fuori di casa; della camera sua facendo una bottega, et hostaria, ed anche uscendo di casa, e ritornando anche solo quando li piaceva etiam furtivamente, e perchè haveva il braccio de' nostri Superiori Maggiori, il Superiore della casa non poteva rimediarvi.
Dal che nascevano in casa nostra molte querelle, et a questi tali se li facevano delle publiche correttioni, già che le paterne e private del Superiore ed altri nulla giovavano all'emenda, stante anche da persona di non poca stima ben spesso noi altri venivamo per le strade publiche affrontati per le loro libertà, e trafichi, che davano scandalo a secolari.
Si eravamo fra noi nella casa di San Pantaleo divisi li offitii come di leggere, e servire a tavola, di accompagnare li scuolari alle loro case, ed anche scopare la casa et tutte l'altre fatiche domestiche regulari, per non lasciare le nostre antiche osservanze delle nostre Costitutioni approvate dalla S. Chiesa, e si facevano con ogni affetto.
Hor questi non ne volevano sapere cosa come che al loro comodo solamente attendendo del publico bene nulla si curavano.
Nelle sopradette et altre fontioni quando li erano assegnate, e non le facevano, se le ne facevano delle lamentationi e condoglienze con qualche sentimento ed ardenza reciproca.
Se le veniva dato qualche cosa per loro soli la volevano, et in publica tavola quasi ad ogni pasto si vedevano delle singularità in più modi, e proprio da seculare. Delle cose publiche, o siano della Communità, o fossero recreationi communi ne volevano sempre il meglio, et da queste cose più volte soportate da chi voleva mantenere l'osservanza con la speranza in S.D.M. della reintegrazione della Religione ne sentivano delli rimproveri, si che con poco gusto godevano questa loro libertà. Per l'altra parte essi stessi andavano calunniando, e cercando il pelo nell'ovo a quelli, che li eran contrarli alle loro libertà e dissolutioni, oltre li privati affronti che li facevano.
Haveva il P. Gio Carlo di S. Barbara, essendo clerico seculare ricevuto una delegatione dall'Ill.mo e Rev.mo Mons. Auditore della Camera Apostolica contro non so che persona nella Provincia d'Otranto sua patria, nella quale nacque non so che difficultà, et essendo egli venuto di persona a Roma si vidde la verità del fatto, scoperta la calunnia fu assolto e ritornò in sua patria.
Hor questi Padri non potendo soportare di essere ripresi della loro libertà, saputo il sopradetto successo, pensarono di mortificare tutti noi con travagliare il P. Gio. Carlo, et però con danari corupero un Notaro dell'Auditore della Camera perchè lo facesse carcerare sotto pretesto di detta causa non fornita.
Accompagnava un giorno di sera il P. Gio. Carlo detto con il P. Carlo di S. Antonio da Padova la squadra di Borgo, cioè li scuolari che tirando da S. Pantaleo per Parione giungono sino a Banchi, intrò per non so che negotio in un di quelli offitii, conosciuto dalla spia da quelli postavi, si vidde in un subito circondato da non so quanti sbirri, dicendoli che era prigione, et in detto offitio fu trattenuto.
Il P. Carlo di S. Antonio da Padova suo compagno ne diede subito parte in S. Pantaleo al P. Castiglia Superiore della casa, et perchè io Vincenzo della Concettione essendo Procuratore di casa mi trovavo fuori per la città per negotii con il P. Angelo di S. Domenico non sapendo di ciò cosa alcuna, non potei accudirli se non ritornato a casa che era tardi, saputolo, la sera si fecero le diligenze per liberarlo, ma non ci riuscì per non trovarsi in casa Mons. Ill.mo A. C. né l'Ul.mo e R.mo Imperiale hora Cardinale, si parlò con il fiscale e giudice, ma non si potè fare di meno che essendo già da due hore di notte dal detto offitio non si andasse a Tor di Nona, dove fu posto nel partamento de Nobili, et noi tre ce ne tornammo a casa, e lasciato il P. Carlo di S. Antonio saputo dove stava l'Ul.mo Imperiale vi andò a parlarli, e sua Sig.a Ill.ma fece che noi ritornassimo a casa, promettendo di fare esso ogni cosa, come in effetto fece la medesima notte.
Perchè essendo noi la mattina seguente andati da Mons Scana-rola, e dall'Ecc.mo Sig. Pier Francesco de Rossi Avvocato Fiscale, et havuto parola che quella mattina con l'occasione della visita l'have-rebbono mandato a casa, et havuto anche il viglietto che fosse nella visita posto nel primo luogo, et stando noi a S. Salvatore del Lauro dove si adunano a sentir Messa li detti Ill.mi e R.mi Sig. per andar con essi alle carceri, dove per primi eravamo stati a parlare al P. Gio. Carlo detto di quello si era fatto.
Stando donque noi a S. Salvatore detto ci venne a parlare il No-taro che la sera avvanti l'haveva fatto carcerare, e ci pregò che non dicessimo altro a quelli Ill.mi e R.mi Sig., ma che andassimo seco alle carcere, che ci haverebbe consegnato libero il nostro P. Gio. Carlo perchè così haveva havuto ordine da Mons. Ill.mo A. C. essendo più onorevole far così, che aspettare la visita.
Andamo alle carceri si hebbe libero il Padre e tutti tre fornita la Messa ci fecimo vedere in S. Salvatore alli detti Ill.mi e R.mi Sig. della Visita, che hebbero molto gusto che Mons. Ill.mo A. C. havesse fatto in quel modo.
Con questo si ritornò a San Pantaleo casa nostra con allegrezza e gusto di tutta la casa, particolarmente del P. Castiglia Superiore, che molto se ne affliggeva.
Si seppe poi che Mons. Ill.mo e R.mo A. C, che era l'IU.mo Cafarelli, morto Cardinale di S. Chiesa, hebbe grandissimo disgusto che ci fosse stato fatto quell'affronto, sì per l'affetto che portava alle Scuole Pie, come cosa di Paulo V suo zio, et anche per il disgusto che ne haveva ricevuto l'Ill.mo e R.mo Imperiale, al quale portava particolare corrispondenza, et poco mancò che il Notaro non fosse privato dell'offitio, e succedeva se li P.P. nostri havessero fatto qualche istanza.
Arrabbiati per una parte l'avversarii vedendosi del tutto svanito il loro pensiero, e scoperti con le loro trapole, e disegni li propri loro nomi, et per l'altra parte il Superiore e la casa tutta molto disgustata di tale attione, conoscendo che non amavano né Iddio, né l'habito che portavano, per il che se li stava assai sopra, ed essi scottati se ne vivevano non poco svergognati in ogni luogo, etiam appresso li Superiori Maggiori.
Pensarono donque di coprire la loro passione e dissolutione con il manto della giustitia. Però ricorsero all'Em.o Cardinale Vicario Generale Ginetti lamentandosi molto e del Superiore della casa, e di tutti gli altri non loro aderenti, e particolarmente di me Vincenzo della Concettione scrittore di questa, et all'hora di questa casa di S. Pantaleo di Roma Procuratore come che molti torti, et aggravii se li facessero contro ogni raggione.
Questi che ricorsero furono tre solamente. Il capo il P. Nicolò Maria del Rosario savonese, il P. Gioseppe della Visitatione ... il Fr.llo Filippo di S. Francesco luchese.
Li capi principali, o sia querelle che diedero a Sua Em.a furono a favore del primo e dell'ultimo perchè il 2° era più presto mosso, che si movesse, e non per altro che per un poco di desiderio di maneggio, e per qualche comodità, o libertà di gola, che desiderava, e da quella molto si lasciava tirare.
Il primo aduceva che se li pigliavano le lettere alla porta dal P. Procuratore della casa. Che se li proibiva dal Superiore l'andare alla casa di una sorella cugina. Il terzo diceva che non se li mantenevano le licenze dateli dall'Em.o Cardinal Vicario et che veniva maltrattato da quelli di casa in diversi modi, e cose simili.
Da questi lamenti parve che l'Em.o e R.mo Sig. Cardinale Ginetti Vicario di N.S. si movesse a mandare una visita alle Scuole Pie di Roma ... essere che S. E. si movesse per essere già scorsi alcuni anni, che stavamo sogetti all'Ordinario, e mai vi era stato visita.
Elesse a questo effetto il M.R.P. Don Tomaso Inbene Teatino, religioso molto insigne d'ogni religiose virtù, et dottissimo havendo stampato molti libri, essendo essaminatore publico, e de' Vescovi, consultore del S. Offitio, et uno di quelli che scrissero contro alcune dottrine publicate da' Jansenisti in tempo di Papa Innocenzo X.
Comparve il prudentissimo Religioso con ogni modestia e con un solo fratello per compagno in S. Pantaleo; adunati li nostri Religiosi nel solito Oratorio mostrò la sua patente di Visitatore fattali dall'Em.o Cardinale Vicario. Fece una caritativa essortatione assicurando del suo affetto e di tutta la sua Religione verso le Scuole Pie, promisse ogno aggiuto per il publico bene. Fece la solita visita in Chiesa, e sacristia con molta sua consolatione, perchè trovò ogni cosa religiosamente custodita, e decente, se ben povera ... Da se stesso poi con alcuni de' nostri e specialmente il Superiore di casa visitò le officine, e camere, et osservò che communemente si manteneva in quelle con la monditia la somma povertà, che si professava, et che li diffetti stavano riserrati nelle de sopradetti tre camere, disse non so che parola per dimostrare che se ne era accorto, ma con ogni modestia, senza fare in quell'atto motivo alcuno.
Nella visita personale pose alcuni giorni, notando da se stesso alcune cosarelle, che li parevano necessarie, conforme andava senten-dodo da' nostri Religiosi che esaminava, et in specie nelli punti di lamenti o querelle sopra notate.
Trovò che le lettere delle quali il P. Nicolò Maria si lamentava sotto pretesto che li fossero pigliate stavano alla posta in grossa somma, et vidde che nel libro dell'essito vi stavano per lui solo notati quatro, sei et otto giulii la settimana, e seppe di certo che non solo erano lettere per negotii di secolari, a qualcuno attendeva come aggen-te, e speditionero con molto suo utile, e scomodo di casa nostra, et che havendo soportato questo peso per alcun tempo se li era notificato che la casa non poteva, né doveva fare quella spesa, et che perciò se li erano lasciate le lettere alla posta.
La proibizione dell'andare alla casa della sorella cugina sua, non era generale come il P. Nicolò M. diceva, e querelava, ma solo che non uscisse di casa solo particolarmente nel tempo di mezzodì, e la sera sonata la prima Ave Maria et che sempre dovesse domandare la beneditione al Superiore di casa nell'uscire, et intrare in casa, et havere il compagno come conviene. Conobbe anche il P. Visitatore che il P. Superiore della casa haveva havuto giusta causa di darli quest'ordine, sì in riguardo di mantenere in suo vigore le bolle Pontificie, come anche perchè il P. Nicolo M. haveva pigliato per usanza nelle sopradette hore di uscir solo di casa, con dire al portinaro: vo da mia sorella, e poi andava vagando dove li piaceva, e poi ritornava per il più la sera quando noi già eravamo andati a riposare, o poco prima, et nel mezzogiorno un pezzo dopo comincito le scuole si vedeva ritornare.
Circa le querelle del fr.llo Filippo di S. Francesco, che non se li mantessero le licenze datali dall'Em.o Cardinal Vicario, e che fosse da noi Religiosi maltrattato, conobbe il P. Visitatore essere falso, et che il tutto si faceva con ogni raggione del Superiore della casa, perchè il fr.llo Filippo si era dato ad una vita da parascito, e Sardanapallo in ogni parte di Roma, et con ogni sorte di persone, ed anche con scapito grande dell'anima e corpo suo.
Perchè dopo che l'havevano impito, et imbriacato per loro trastollo li facevan delle burle di molto disonore dell'habito nostro che portava, et a noi altri venivano rinfacciate per le publiche strade. Successe più volte che lo lordarono di modo, che apestava per il puzzore, e conveniva tornato a casa mutarlo tutto, e sebene non mi ricorderò di moltissime cose, quelle che in effetto scriverò saranno verissime, et così non fossero state, perchè più volentieri direi e scriverei le virtù et attioni religiose, che queste, perchè non solo me ne arrossisco, ma anche me ne creppa il cuore, che siano successe.
Mi protesto di scriverle solamente ad nostram doctrinam, et perchè si vedda quanto danno apporti dare licenze generali, e non lasciare guidare le case religiose da' proprii Superiori.
Una volta, fra le altre molte, il detto fr.llo Filippo mangiò con alcuni Cavalieri in un luogo di Roma, e dopo che fu molto ben suppo, e tutti molto allegri per coronare le sue buffonarie impirono il cappello del medesimo fr.llo di sclementi naturali ed infimi humani, et così pieno di queste lordure a canto di spropositi lo coronarono come Sardanapallo per haver superato tutti nel mangiare e bere, con porli il detto capello così pieno in testa, con che in tal modo lo conciarono con detta materia densa e liquida di dentro, e di fuora, che lo resero insopportabile per il fettore che rendeva; et perchè la sera al tardi e scuro se ne potesse ritornare a S. Pantaleo, fu mutato tutto nelle robbe di sotto, et capello, ma la veste la lavarono al meglio, et non anco fornita di collare ne la posero adosso; et gionto a casa si pose subbito a letto, e la veste all'aria, perchè si assiutasse.
Un'altra volta essendo già molto pieno, lo condussero in carozza per Roma, et nel caminare per dimostrare di non havere fatto eccesso, si offerse di fare una bevuta di più dicene di bicchieri di robba fresca per la neve. Cominciò a bere, et per quanto mi ricordo gionse a bere da vintotto di quelle carafine di robba con stupore di tutti. Questa bevanda li mosse talmente il ventre e stomaco, che per la parte di sotto empi la carozza, et per la bocca slordò se e quella ancora, sì che usciti quei Sig. di carozza, ordinarono al cocchiero, che lo conducesse a casa, et gionto si pose a letto e vi stette alcuni giorni fuor di se.
Saputo il M.R.P. Don Tomaso Inbene Visitatore queste, et molte altre cose, e verificatele di tutti due li detti nostri, cioè del P. Nicolò M. del Rosario, e fr.llo Filippo di S. Francesco diede al primo diversi ordini per levarli il trafico, e libertà con proibitione espressa, et a questo che non uscisse di casa se non accompagnato per levarli questa sordidezza, e di esser lo scandalo di questa povera nostra Religione.
Parlò il P. Visitatore del tutto con S. Em.a per fare, che si esseguisse puntualmente; ma questi due con il loro terzo compagno diedero un memoriale al medesimo Em.o contro il P. Visitatore, dicendo in quello che introduceva cose contro il Breve di Papa Innocenzo X, et che trattava di farlo annullare per dar gusto ad alcuni pochi, con altri spropositi, che denotavano la loro passione, e disolutione, e di non volersi emendare ma volere vivere con libertà soldatesca. S. Em.a diede il memoriale al detto P. Don Tomaso, e li scusò anche a bocca, per il che detto P. si scusò con il nostro Superiore et con alcuni di noi, spiacendoli assai di non haverci potuto aiutare per li detti relassati.
Con questa occasione dico essere stato grandissimo il danno che questi tre fecero al publico bene di tutta la Religione nostra ridotta per il Breve di Papa Innocenzo X in Congregatione sciolta senza capi maggiori e tendente ben presto all'esterminio.
Haveva questo buono e M.R.P. dato principio con l'occasione della visita di riunirla sotto un capo, et ne haveva parlato al medesimo Sommo Pontefice Innocenzo decimo, et havutone buoni prin-cipii, e sicureze. Ma vedendo questa mala corrispondenza, et inquietudine di questi tre, e la minaccia, che facevano di darne memoriale al Papa, desistè da ogni cosa, e diede fine alla visita, senza lasciar decreti, essortando li Religiosi desiderosi della virtù alla patienza, e perseveranza, con la speranza nel divino aiuto, offerendosi sempre pronto alle nostre particolari necessità.
Afinchè si vedda la bontà ed humiltà di questo M.R.P. D. Tomaso, et il desiderio con che faceva questo atto della visita, che parendoli essere luogo di molta consideratione la stanza dove li scolari scaricano il corpo, volse esso stesso vederla, vi entrò et visto che vi mancavano alcune tavole per li spartimenti delli luoghi, ordinò che vi si ponessero subbito. Restò poi sempre affettionatissimo a quelli che conobbe osservanti, e desiderosi del publico bene.