BerroAnnotazioni/Tomo3/Libro1/Cap28

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Cap. 28 Strapazzi fatti a' Nostri Religiosi in Napoli

Andando il tempo delle nostre mortificationi in lungo li nostri Padri non solo patirono gran strapazzi nella roba lasciata, ma anche nelle persone. Perchè oltre li travagli che hebbero per quello lasciò il quondam Bertea con il luogo di Posilipo per le doti di Pampa che furono di più anni e con molti guai, vi fu anche violenza per il luogo lasciato in la città di Avversa sei miglia longi da Napoli lasciato dal

Sig..........[Notas 1] per il quale non mi soviene se ne havessero poco più di niente perchè volsero concordare contro il parere mio e di altri, che giudicavamo si sospendesse fino a miglior tempo.

Il Legato fatto dal quondam Sig. Pietro Pirro spetiale alla Dugana Regia di Napoli per la fondatione della casa delle Scuole Pie in Ischia isola da 20 miglia longi da Napoli di tante migliara di scudi, che solo nella detta isola vi era una possessione con casamento grande con torre con ponte levatore, armata da poter resistere ad ogni invasione di Turchi, stimata di valuta di più di quindeci millia scudi, et nel detto posto anzi sopra la piazza della Dugana Regia di Napoli vi era un isola di case che ne haveva di affitto annui quatrocento ducata oltre quella che esso Sig. Pietro e sua famiglia habitava. Tutte queste cose et altre si persero con poco profitto in riguardo delli strapazzi che per il Breve di Papa Innocenzo X da ogni parte ci venivano fatti e mal sentite le nostre raggioni. Nelle persone poi, io dirò quello che mi ricorderò, perchè molte dubito che non mi verranno a memoria. Il Sig. Vie. Gen. e suoi officiali oltre che di tempo in tempo andavano a Posilipo spesati da nostri, voleva poi per quanto duravano li frutti, e l'uva ogni giorno il suo panaro, e se si fossero scordati, delle gridate non mancavano. Basta, tacendo ogn'altra dirò la principale.

Scacciarono li forastieri, et essendosese molti di loro andati al secolo con il Breve li mancarono li operarli per il che mandarono a chiamare da più parte aiuto, e fra li altri il P. Francesco di S. Caterina sacerdote delli più antichi della Religione vestito in Roma più anni prima che la Religione nostra andasse a Napoli. Era nativo della città della Cava non longi da Napoli che 24 miglia incirca, Religioso veramente degno d'essere desiderato e amato.

Fu eletto Ministro o Superiore che si vuol dire delle ScuolePie, ed anche il P. Gio. Francesco di Giesù però considerando che bisognava vestire per il mantenimento delle scuole, domandarono licenza all'Ordinario, et ottenutala a voce vestirono molti giovanetti, et al meglio che potevano li andavano educando, et occupando nelle scuole in aiuto del prosimo, e ciò fecero per due o tre volte. Non so in che modo e per quale fine, fu significato questo fatto all'Em.o Filomarino Arcivescovo di Napoli. Dubito che ad alcuni pesasse che le Scuole Pie perseverassero, mentre se le credevano già estinte. Basta sia come si voglia: Iddio sa il tutto.

Sua Em.za inteso questo vestire di giovanetti fatto da nostri Padri in Napoli, mandò a chiamare li Superiori che governavano in Napoli in quel tempo, et chi era stato anche per il passatoie cercatoli con che licenza havevano vestito, e ripostoli che dal R.mo Vicario e dettoli che lo mostrassero, e non havendola havuta in scritto, ma solo in voce, né valendoli il dire che etiam in Roma li nostri Padri vestivano, et che il Papa non prohibiva il vestire, ma il professare ne' altre raggioni, li fece incarcerare tutti tre nelle carceri publiche, cioè: Il P. Francesco di S. Caterina, il P. Gio. Francesco di Giesù, il P. Marco dell'Ascensione, e se bene da più persone suposto che li mandasse in casa nostra prigionieri, non volse mai levarli dalle publiche carceri.

Stettero li nostri Padri più giorni prima di scrivere a noi altri in Roma la disgratia occorsali per vedere se con la raggione li favori di quelli titolati valessero appresso S. Em. per quietarla. Finalmente vedendo che nulla giovava il P. Michele del SS. Rosario Procuratore di quelle case mi scrisse il loro disturbo, e la carceratione di detti nostri tre Padri, la causa di quella, con li mezzi presi, e non giovati appresso S. Em.za.

Io, che niuna cosa più mi ricordavo delli disgusti, mi posi con tutto il cuore ad aiutarli perchè si scarcerassero, e levassero dalle publiche carceri. Diedi memoriale alla S. Congregatione parlando con Mons. Ill.mo Farnese et Albicii Secretarli della S. Congregatione, con l'Em.o Ginetti capo di quella, ne ottenni lettera prò informa-tione et venuta la risposta procurai con tanto affetto la speditione che Mons. Ill.mo Albicii mi parlò con qualche sentimento dicendomi che con li Emi Ordinarli, si andava con maggior riserva, che con li Vescovi. Replicai io che se li deve ogni riverenza, ma che non haven-do li poveri Padri fatto mancamento, né contro il Breve Apostolico, né contro S. Em. non devono essere tenuti in prigione publica, perchè sebene non vi era Generale, né altra unione di carità ci teniva uniti, e che Mons. Ill.mo Farnese, ed Albici tutti due havevano detto, et scritto che il vestire non ci era stato prohibito, ma solo il professare, et che li Padri carcerati havevano anche domandato licenza all'Ordinario suo, et ottenuta in voce, e che bastava. Et haven-do il detto Ill.mo Farnese all'hora Governatore di Roma confirmato a detto Mons. Albici il mio detto fu scritto con più caldezza all'Em.o Arcivescovo.

Parlai anche a Mons. Ill.mo Albici Assessore del S. Offitio, e li diedi memoriale sopra di ciò, et ne hebbi una lettera molto favorevole, nella quale liberamente diceva a S. Em. l'Arcivescovo che alli nostri Padri la Santità di N. Signore non haveva prohibito il vestire, ma solo il professare, et che S. Santità non haveva inteso di distru-gere le Scuole Pie, ma di ampliarle, et che però potevano vestire, et havendoli dato licenza il suo Vie. Gen. non dovevano essere castigati solo per non haver la licenza in scrittis.

Et rispondendo S. Em. che li P.P. havevano vestito in forma di Religione, cioè con mutarli il cognome del secolo in un santo, et con l'andare scalzo, et vestitili in chiesa come si faceva essendo Religione, detto Mons. Ill.mo secondò una lettera con tanto maggior sentimento che violentò l'Em. Arcivescovo a mandar a casa li nostri poveri Religiosi dopo quaranta e più giorni di carcere publica, poiché li disse che non vi era alcuno che meglio di lui potesse sapere la mente del Papa Innocenzo X però che era ingiustitia tenirli prigione..

Notas

  1. I nomi sono omessi nel Ms