CaputiNotizie02/101-150

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[101-150]

101Cominciò a gridare al Portinaro, che serrasse le porte e chiamsse li sbirri; li risposi fà quel che vuoi, il Cardinale è il mio Superiore, ecco qui l’editto suo, a lui m’appello e chiamo tutti questi Padri in Testimonio, e mi protesto, che non portate rispetto tampoco al nome del Cardinale, mentre si ricorre da S.Emi.za, e li voglio dir la verità, e se vol venir le sentirà che non parlo per passione, e non mi puol negare, che non vi vada.

Dopo molti contrasti rispose il P.Donato: P.Marco, V.R. non puol negare questa licenza al P.Gio:Carlo, che vada al superior maggiore, e negandola ne potria esser punito, e l’altri stavano a sentire senza rispondere, che tutti stavano presenti, et havevano paura che non dicesse qualche cosa di loro.

102 Mi diede per Compagno il P.Donato, et andassimo dal Cardinale con ogni quiete, il quale stava alla finestra, e ci vidde e ci salutò, entrati all’Antecamera, uscì fuora, e mi dimandò che cosa volevo e come stavano i Padri.

Li risposi: Em.mo, Io sono il Procuratore delle Scuole Pie, e perche V.Eza ha fatto un editto, che tutti i forastieri vadino fuor delle nostre Case di Napoli son venuto a prender buona licenza e darli conto della mia persona, tengo alcune fedi di credito dell’entrate delli Maritaggi delle Massarie di Posilipo, veda V.E. a chi devo consegnarle et anco i miei libri delli Conti acciò non sia detto, che partii senza saperlo V.E., son venuto apposta acciò satisfacci al mio debito, e consegni il tutto a persona legitima, eletta dall’Emi.za Vostra.

Stava tutto attento a sentire; mi domandò di che Paese ero, e quanto tempo che mi trovavo in Napoli e che Cause haveva la Casa della Duchesca, e che entrate.

103 Li risposi che Io ero del Regno di Napoli d’una Città chiamata Oria, che fù Principato di S.Carlo Borromeo, sono sette anni che son stato di stanza alla Casa della Duchesca, la casa ha pochi liti e l’entrate non arrivano a pagar i debbiti, che si fanno giornalmente, vi sono Censi passivi per la Casa, che paga a D.Pietro di Toloso, si campa con le messe, et elemosine quotidiane, che molte poche ne vede il Procuratore, spendendoli come li piace il Superiore, de quali Io non ho da dar conto se non di quello ch’è venuto in mano mia, e son prontissimo a chi ora comanda, mà non a persone appassionate e poco osservanti delle nostre Constitutioni, che per haver alcuni la libertà per far quel che li piace, hanno fatta instanza che vadino fuor di Napoli i forastieri, e con scacciarli dalle nostre Case habino Campo di far peggio di quel che hanno fatto, e questi sono quelli che hanno il Breve per uscire dalla Religione quando li pare, che vorrebbono portar via da Casa sino alle Mura, e perche Io ho havuto cura alle Robbe pensano scacciarmi per far quel che li piace.
104 Rispose il cardinale, come lei è del Regno di Napoli se il P.Marco m’ha detto che sete ultramontano?

Da questo V.E. puol comprendere, se questi Padri vanno con schiettezza, che li rappresentano una cosa per un altra. S’informi pure se Io son d’Oria, e puol far venire il Registro dove stanno scritti tutti i Novitii quando si vestono, che lo tengo Io all’Archivio, e vedrà chi dice la verità; e V.E. col tempo conoscerà le persone, chi fa bene alla Casa, e chi la rovina, che mi son posto l’animo in pace, e piacendo a Dio con buona sua licenza me n’andarò a Roma a trovar huomini che faccino per la Religione, e non per loro medesimi.

105 Li rispose il Cardinale che non haveva havuta mai questa intentione, che l’hanno ingannato, e che se volevo stare stassi pure perche non haveva persona di chi fidarsi, e se non caminavano bene saranno castigati come meritano, voglio che mi rendano conto minutissimamente e che ad unguem osservino i miei ordini, e se un poco trasgrediscono s’accorgeranno loro come saranno trattati, non volsi passar ad altro acciò non entrasse in suspetto di nessuno in particolare, mà a chi dovevo consegnare le fedi di credito di Posilipo che erano da 500 ducati per farne maritaggi come haveva assignato Pietro Bertega Testatore, e che poteva ordinare, che subito fussero mandati detti danari a Pamparato di Piamonte et a quelle di Posilipo acciò s’eseguisca quanto ha ordinato il nostro Benefattore, altrimente il danaro andarà male, e sarà speso in altro perche vorranno far molte spese per la casa sotto pretesto di restituirli come hanno fatto a me. Che m’hanno fatto spendere alla fiera di Salerno per proveder la casa 100 ducati, che non son restituiti, e questi devono essere i primi. Io assolutamente non vi voglio, ne devo stare per convivere con chi non ha a caro conviver meco, e V.E. conoscerà col tempo chi dice la verità, se li dà campo a far quel che li piace, perche cossì permette Dio, dal quale aspettiamo la retributione del bene e del male che facciamo.
106 Stava molto attento il Cardinale a quel che li dicevo, a quel punto venne il Capitolo de Canonici per accompagnarlo al vespro, non potei per ciò seguir il discorso come havevo cominciato, e solo mi disse, passati questi giorni de Morti mi facesse veder, che voleva esser informato a lungo acciò si possa governare per far bene l’ufficio suo, presi la beneditione e me ne tornai a Casa, e presa la beneditione, senza dir altro mi ritirai a camera ad agiustar li Conti tanto della Casa della Duchesca, quanto quelli di Posilipo, con pensiero di render a chi destinava la Congregatione di Padri di Casa.
107 Subito il P.Marco andò a trovar il P.Donato mio Compagno e li dimandò s’havevo parlato al Cardinale. Li rispose che l’haveva parlato a lungo, e se non veniva il Capitolo ad accompagnar il Cardinale al Vespro, molto più vi saria stato. Io non ho potuto sentire altro che il Cardinale lo dimandò di che Paese e il P.Gio:Carlo li rispose esser d’Oria nel regno di Napoli, e come il P.Marco m’ha detto che sete oltramontano? Et ha scoverto la buggia, e ne sta in collera grandemente, e nella partenza che fece il P.Gio:Carlo li disse il Cardinale che vi ritornasse finiti questi giorni delli morti, che voleva esser informato di quanto passa nella Casa, questo è quanto ho potuto intendere.
108 Confuso perciò il P.Marco mi venne a trovar in Camera s’assentò sul letto dicendomi s’ero più in collera, e che facevo.

Li risposi, che stavo agiustando i Conti per renderli a chi deputava il capitolo della casa, veda questa sera di far fare la deputatione acciò possi sbrigarmi, e far i fatti miei perche non voglio stare con chi non ha a caro star meco. Io sempre sarò il medesimo con l’aiuto di Dio, e quelli che hanno il Breve e cercano spogliar la sustanze della Casa, presto se ne vedranno gli effetti che lasciano l’habito, e chi vi restarà haverà a caro haver suggetti per mantener e la Casa e le Scuole. Io ho sempre cercato d’aiutar e servir il publico e V.R. sa quante cose si sono rimediate che è stato pericolo grande d’esser svergognati per sempre per uno di questi tali che sempre ho cercato di smorzar il fuoco, che lo sà V.R. ch’era acceso nel primo doveva cascar lei come Superiore, che non li bastava l’animo a rimediare, et Io con poche parole non lo feci mai più comparire.

109 Molto sentiva il P.Marco queste si chiare esplicationi, onde, mi cominciò a pregare, che non pensasse a partire, che in nessuna maniera voleva et haveria il tutto rimediato lui, e se vi era qualche d’uno, che per suoi disegni non mi poteva vedere, tutti l’altri l’amavano e vedevano che quel che ha fatto, l’ha fatto per utile comune della Casa. Et in quanto alla deputatione di veder li conti nessuno consentirà che si veda, et a questo sarà tempo all’Anno nuovo come s’è fatto l’altri Anni con ogni satisfatione comune.

Li replicai che non era bene che un oltramontano sia Procuratore della Casa di Napoli come V.R. ha detto al Cardinale e questa è stata la prima parola che m’ha saputo dire, che per giustificarmi l’ho promesso portarli il libro dove si registrano i Novitii, acciò veda le passioni nostre, è la verità, che non puol star nascosta, e mentre vedi che si camina con queste doppiezze, non vi voglio stare per qualsivoglia promessa, e comandamento, che mi si faccia, che già sono d’accordo col Sr.Cardinale, che non voglio sentir un’altra volta, che chiamo li sbirri secolari acciò mi trattengano che non vada a parlar al Cardinale, questo m’ha dispiaciuto più che ogni altra cosa, che tra di noi mai s’è sentito questa parola, del resto tutto sempre ho supportato.

110 Restò molto mortificato il P.Marco con queste parole e non sapendo che rispondere se n’andò a trovar alcuni Padri e li raccontò quanto havevamo discorso, i quali lo ripresero e li dissero che havevo ben raggione a far questi resentimenti, pregarono il P.Tomaso della Passione mio Confessore, che vedese parlarmi acciò il negotio non passasse più oltre perche havevano paura che non tornassi al Cardinale, e scoprisse le piaghe incurabili d’alcuni colpevoli.

Venne il P.Tomaso in Camera, e cominciato a discorrere, pensando che con le sue amabili parole mi mutassi a restare esortandomi che pensassi bene a quel che faceva, perche solo l’ombra di tre o quattro di noi rafrenava chi non voleva far bene, altrimente si protestava che la Casa andaria a rovina e sariano successe dell’inosservanze et ofese di Dio, che vedessimo rimediare a non partir nessuno e questo saria meglio, e si quietasse il tutto.

111 Li risposi che non potevo far altra resolutione, che mai stariamo più quieti mentre che vi sono questi che hanno il Breve, e non partino via, e se Io sapevo venir le cose a questi termini haverei fatto quel che feci al P.Gio: di S.Maria Madalena da Monte Murro che saputo che haveva il Breve feci instanza al Vicario acciò non ci inquietasse, che renunciasse al Breve, o vero lasciasse il nostro habito, che sotto andava elemosinando per farsi un buon Borsetto, e poi andarsene via, et il Vicario li disse o che lo rinuntiasse o veramente ci ristituisse l’habito, et andasse a far i fatti suoi, come fece. Questo dovevo fare dal primo giorno, non siamo più a tempo perche le cose son tan seriose che non si possono sanare se Io non parto, e per dirlo in confidenza penso andarmene a Roma dal P.Generale forsi Dio aprirà qualche strada acciò le cose nostre prendano buona piega, Questo è quel che penso fare. V.R. ne facci oratione acciò Dio m’apri la mente a far la sua Santissima Voluntà, mà questo mio pensiero non lo palesi a nessuno perche penetrandolo questi ne scriveranno a Roma a loro Amici, e facilmente non saria ricevuto.
112 Stante alli termini che si trova la Religione, e riuscendo il mio pensiero, procurarò in Roma, che quelli che hanno il Breve se li prefighi il termino o a rinunciarlo o veramente lasciar l’habito nostro, e con questo restaranno chiariti, questo lo dico in confidenza, e sarà buono non solo per questa Casa ma anco per tutta la Religione.

Piacque il mio pensiero al P.Tomaso e m’inanimò a farlo, e non perdesse il tempo prima che venghino i tempi cattivi, che lui n’haveria fatta particolar oratione, e ne sperava buonissimo esito, mà che lasciassi le cose chiare, e di tutto farsi fare ricevute acciò un giorno non possino trovar qualche scusa d’essersi partito da Napoli per mancamento alcuno, che Io son di parere che questi Padri non saranno d’accordo, e da per loro istessi cascaranno a qualche inviluppo che non ne potranno uscire, mi dispiace che non continuarà, che vorrei seguitasse, che Dio sa se non morirò di disgusto.

113 La sera mi venne a trovar il P.Vincenzo della Concettione per sapere quel che havevo fatto col Cardinale perche lui di nuovo haveva tentato con il Residente di Modena et altri Cavalieri acciò non partisse nessuno; li risposi, che non era possibile che il Cardinale si mutasse, li comunicai quel tanto che havevo detto al P.Tomaso della Passione, che lui andasse prendendo tempo, non partisse che Io in Roma e lui in Napoli haveriamo chiarito quelli che ci perseguitavano, che scrivesse sempre il tutto al P.Generale, et Io haverei sempre scritto al Conte Ottonelli; questo è quel che penso fare, et il Padre Tomaso della Passione l’ha approvato.

Piacque ancora questa resolutione al P.Vincenzo, e mi sollecitò alla partenza; sonata la sera l’oratione andassimo tutti all’oratorio comune, e finita l’oratione presi licenza al P.Ministro che volevo dir due parole ai Padri, mi fece cenno che dicessi pure, e postisi a sedere cominciai a parlar in questo modo.

114 Padri miei, Io ho presa licenza dal Sig.Cardinale d’andare al mio Paese per alcuni miei affari, e penso partir fra due giorni, e per lasciar le cose chiare desidero deputino due Padri, chisisiino acciò rivedano i Conti et a chi devo consegnare alcune fedi di Credito per li Maritaggi di Posilipo, acciò me ne sia fatta ricevuta, et Io possi partire con buona faccia e loro satisfatione, altrimente non facendo la deputatione haverei dato i Conti al Cardinale, che li facci veder a chi li piace; fù questa proposta tanto adeguata , che non poterono negare di far la deputatione, e furono deputati il P.Gio:Francesco di Giesù et il P.Giuseppe della Concettione Napolitani venuti da Fiorenza, e che le fedi di Credito le consegnassi al P.Gio:Luca della Beata Vergine Napolitano economo della Casa.

Quanto alli due eletti che rivedano li Conti son contentissimo, mà che dia le fedi di Credito al P.Gio:Luca non lo voglio fare in nessuna maniera perche sempre ha preteso che Io esigga e portar il danaro a lui che lo spenda come li piace, pensarò un poco come si puol fare.

Me n’andai a trovar Gio:Battista di Palma Campagnolo prattico in queste materie acciò mi dicesse il suo parere, a chi potevo liberamente consignare le fedi di Credito, acciò ne facessi a mani stante che pensavo andar al mio Paese per miei negotii.

115 Quando Gio:Battista di Palma senti questo cominciò a strepitare, come il Procuratore ha pure da partire, non sarà mai, et Io di matina andarò dal Cardinale, che permetta questo in nessuna maniera, uscì fuora e cominciò a gridare con i Padri, che facevano un grandissimo danno alla Casa e mentre era questo si voleva partir ancor lui e ritirarsi in Casa sua, non havendo bisogno di nessuno perche tanto era venuto in Casa nostra, quanto per maggior mia quiete, et hora che sono incaminate le cose della Casa, sarà necessario abandonarle, mi dispiace haverne scritto più volte al P.Generale esser Compagno del P.Gio:Carlo Procuratore, il quale m’ha risposto, che seguitassi perche haveria fatto con ogni diligenza e fedeltà il tutto, come già s’è fatto, a rimetter in piedi la Casa e pagare tanti debiti, che vi erano.
116 Li fù risposto che mentre vol andar lui non si poteva trattenere e che già haveva presa licenza dal Cardinale, e glie l’haveva concessa, mi domandò s’era vero, e perche volevo abbandonar la Casa; li risposi che per pochissimi mesi saria stato fuora, come m’haveva concessa licenza il Sg.Cardinale e poi saria tornato, e con questo si quietò, dicendomi che quanto alle fedi di Credito, non li dassi altrimenti al P.Gio:Luca che facilmente se ne saria servito per la fabrica, ma che li potevo lasciare alli due Superiori tanto questo della Duchesca e quello di for Porta Reale, essendo tutte due interessate in questo negotio, se ne facia fare la ricevuta acciò in che mani siano andate, piacque la resolutione, e cossì fù fatto. La matina delli morti feci avvisato il P.Domenico della Madre di Dio Ministro della Casa di fuor Porta Reale che facesse favore caminar sino alla Duchesca, per un interesse della Casa loro acciò ne resti informato. Subito venne il Pre Domenico e chiamato il P.Marco consignai le fedi di credito a tutti due e me ne fecero la ricevuta.

Furono visti li conti dalli due Deputati e trovatili fedelmente consegnati ne fecero la fede nel medesimo libro, et a me una apparte, e con questo restassimo con pace e quiete.

117 Era questo Gio:Battista di Palma Mastro d’Atti del S.R.C., huomo molto versato nella sua Professione e comando, e perchè haveva scrupoli d’haver consultato un Padre de nostri, che lasciasse l’habito della Religione, il quale capitò malamente per causa del dº Gio:Battista, propose prender l’habito lui in cambio di quello, ne fece le sue instanze, al quale fù risposto che era già maturo et avanti con l’età, non haveria potuto portar il peso della Religione, e tampoco la Religione poteva esser servita da lui. Rispose, che non haveva di bisogno di nessuna cosa della Casa, che solo si contentava dall’habito come Tertiario, che potesse andar calzato, s’offeriva per Compagno del Procuratore, ne voleva altro, che pane e vino, che del resto si saria provisto di quanto li faceva di bisogno a spese sue e con questo fù accettato dal P.Francesco di S.Caterina della Cava e seguitò a starvi finche fui partito da Napoli.
118Poi con il medesimo habito se n’andò a Raviello per non poter supportare l’attioni d’alcuni relassati, dove esercitò l’ufficio di Mastro d’Atti mentre che era Vicario Generale Fabio de Simone, che Monsgr.Bernardino Panicola Vescovo di Raviello e Scala (l’accolse) a contemplatione del P.Francesco di S.Caterina.
Chiamato da Bisignano dal Cardinal Filomarino a Napoli il P.Francesco di S.Caterina, e fatto Superiore della Casa della Duchesca; tornò di nuovo Gio:Battista di Palma, dove stiede sino alla morte, che fù l’anno 1654 e lasciò al dº P.Francesco da mille Ducati acciò seguitasse la fabrica della Chiesa, che teneva nascosti dentro certo Carbone che teneva in Camera, quali furono consignati al P.Michele del Smo Rosario Procuratore, acciò si cominciasse a fabricar la Chiesa, come fidelmente fece, lasciò anche alcune Annue entrate con pesi di due messe la settimana, e cossì finì la sua (vita) , è morse in pace.
119 La matina delli 3 di Novembre, giorno di sabato 1646 mi licenzai da Padri della Duchesca per far la partenza verso il Paese, dove abbracciati tutti i Padri con ogni Carità, mi diedero due zecchini per il viaggio che dovevo fare, e con me s’accompagnò il fratel Stefano di S.Francesco di Campie e quando fussimo fuora li dissi, che Io pensavo andar a Roma e non al Paese, che se voleva venire sariamo stati allegramente, e non pensasse ad altro.
120 Se n’andammo alla Marina, trovammo una filuca che stava di partenza per Roma, dove inbarcammo e andessimo la sera a S.Martinello, e la notte non potei dormire perche non era avezzo andar per mare stando sopra la Barca, che sempre si moveva. A mezza notte sento i Marinai che dicevano esser nata una stella la quale minacciava malissimo tempo, che saria meglio andarsene a Procida a sentir la messa, e frattanto s’assicuravano a vedere se si poteva partire. Gionti a Procida andai per dir la messa, che in due Chiese mi fù negato, all’ultimo me n’andai a Padri Domenicani, che mi fecero la Carità, dissimo la Messa, e tornammo alla Marina pensando d’imbarcarsi, ma il Padrone della filuca mi disse liberamente che mi trovassi allogiamento perche era guasto il tempo e Dio sa quanto deve durare.
121 Cercai a mollo l’allogio perche non conoscevo nessuno, andammo ad’una osteria a vedere se ci facevano la Carità perche il danaro serviva per pagar la barca, la sera cominciai a discorrere con l’oste, a dimandarlo di chi era l’osteria per poter parlar al Padrone, acciò facesse la Carità fratanto stavamo a Procida per mangiar haveriamo fatto come meglio si poteva.
122Mi rispose che l’osteria era del Sig.Salurio Sebano di Napoli, il quale stava a Procida per la vendemia con tutta la Casa, il quale era huomo di gran Carità, e l’haveria fatta ogni cortesia perche tutti i Religiosi della nostra Religione lui da alloggio, e li fà ogni amorevolezza.

La matina l’andai a trovare, il quale mi fece tanta cortesia, che restai maravigliato, mi domandò dove ero stato la notte, e perche non eravamo andati a Casa sua che per i Padri delle Scuole Pie era sempre aperta.

Li dissi che andavo a Roma per alcuni negotii, e che era guasto el tempo, e non sapendo dove ricoverarsi eravamo stati alla sua osteria e l’oste ci haveva detto, che sua Signoria era nostro benefattore e perciò siamo venuti a riverirlo e ricevere la Carità.

Stiano pure quanto bisogna, qui vi è la comodità di dir la Messa, da mangiare e bere per gratia di Dio non manca , et a dormire la sera se n’andaranno alla mia osteria senza prender altro fastidio.

123 Dissimo la Messa, poi chiamò la Moglie tre figli maschi et una femina, e volsi che li benedissi Io, con tanta familiarità che ne restavo mortificato, ordinandoli che mentre stavamo ivi tutti stassero sotto la mia ubidienza perche non havevano Maestro, e con questo li comincia a dar qualche lettione di leggere, scrivere et Abbaco con grandissima loro satisfatione e nostro gusto.

Vi stiedimo nove giorni, et il giorno di S.Martino fece un pasto che Io mai havevo visto tal splendidezza e cortesia, venuto il giorno dell’imbarco ci fece la provisione di quanto bisognava

124 Partimo per Gaeta, fu quietissima la giornata, e quando pensavamo prender porto il Padrone della filuca per non pagar il lavaggio passò al Castellone dove ci accomodò dentro una grotta, che Dio sa quanto patissimo quella notte, la matina di nuovo si guastò il tempo dove stiedimo sei altri giorni, e non potevamo viaggiare, vi erano altri passagieri tra i quali un Mercante di vino, che andava a Roma et impatiente di star tanto per viaggio, se n’andò a Gaeta a trovar altro imbarco perche la nostra filuca era assai carica, e non poteva magliar merci come a lui piaceva, tornò la sera, e mi cominciò ad esortare che haveva trovato una filuca sottile che in poche ore ci haveria condotti a Roma, infine tanto mi disse, che mi fece risolvere lasciar la filuca et andarcene a Gaeta, dandomi ad intendere che non vi era più d’un miglio.
125 Postici le nostre Bisaccie in spalla ci avviassimo verso Gaeta, che quasi era l’Ave Maria, erano tanti i Pantani di quelle Padule, e carichi con le Robbe che due altri che s’accompagnarono con noi cominciarono a bestemmiare che l’haveva condotti per quelle lagune, che non feci poco a quietarli perche volevano bastonare quel Mercante.

Giunti al Borgo di Gaeta vicino a quattro hore di notte mezzi morti non sapevamo dove andare, il Mercante ci portò ad un allogiamento da un suo Amico quale subito con allegrezza ci accolse, eravamo stanchi del viaggio, con tutte le gambe bagnate, ci pareva haver trovato il Cielo (come si sol dire) scaldato non mi curavo, ne pensavo quella sera a cenare.

126 Diede il Mercante ordine che s’apparecchiase la cena, ma per non disturbar la Compagnia dissi al mio Compagno che pigliasse qualche cosa aciò possiamo far colatione. Portò una fiasca grande di vino, una forma di cacio, una pezza di Ricotta salata et una pignata d’olive, et un tortone di pane che pesava da due rotoli in circa, posto il tutto a tavola l’oste portò un piatto di sardine native , un insalata e due piatti di maccaroni, mangiarono allegramente e non ne rimase cosa nessuna; finita la cena portarono due pagliacci in terra per riposare, a mezzanotte fusimo chiamati che voleva partir la filuca per Roma, e fatta aprir la porta veddi che dilluviava et nel mare era tanto che pensau che fusse qualche burla, chiamato dal mercante l’oste che facesse il conto di quel che haveva da (pagare) toccava quattro ducati per pasti e stanza si puol considerare come restai, che havevo già pagato la barca che ci haveva condotti al Castellone e m’erano restati pochi carlini, disi al Mercante che pagassi per noi che allhora non potevo prender il danaro da dove lo tenevo, che usciti di fuora l’haveria data ogni satsifatione, non so quel che si pagasse, e fatto giorno parlai ad un marinaro se fusse tempo buono da far viaggio per mare, mi rispose che il tempo era talmente guasto che Dio sa quando s’accomodava, e discorso con l’altri Compagni, fù concluso, che tornassimo alla filuca al Castellone, e già che l’havavevamo pagata aspettassimo ivi il tempo fin che s’agiustasse a seguitar il viaggio, e cossì ci avviammo un altra volta per quei pantani a trovar i nostri Marinai.
127 Usiciti fuor del Borgo di Gaeta, cominciò il Mercante a dirmi che voleva il danaro che haveva pagato per noi, voluntieri li dissi, ma prima è necessario far il conto di quel che s’è mangiato, quel che ha dato l’oste e quel che ha portato il mio compagno, non si conta rispose la vostra robba, si conta solo quel che ha dato l’oste che Io ho pagato per voi, cominiciassimo a contrastare, e rimessa la causa all’altri passageri, ci diedero la sentenza in favore, che valutata la nostra robba con quella dell’oste dovevamo restar d’havere deici carlini e cossì il povero mercante restò lui deluso, ho voluto dir questo acciò quando si sta di viaggio, si fugga la conversatione di secolari quanto si possa; che veramente questo caso non faceva a nostro proposito.
128 Vedendo al Castellone che il tempo sempre andava pegiorando, mi risolsi andarcene pianpiano per terra nella providenza divina, giunsimo la sera a Fundi, e con l’ospitio a frati Benefratelli, quali tengono l’ospedale, non fù possibile haver un poco, andassimo a Padri e tampoco fussimo esauditi, et impatiente il mio Compagno cominciava a mormorar di quei Religiosi e loro paesi, che cossì presto si sconfidava della provuidenza Divina, era quaqsi un hora di notte, e non sapevamo, pensavo andar sotto qualche piazza di qualche Chiesa, ma perche era freddo e pioveva, veddi una porta aperta dove era una porta aperta e perche faceva un vecchio et una vecchiarella ivi con sanata semplicità entrai, e dandoli la buona sera, li pregai a far la Carità, che stassimo addentro della lor Casa, che l’haveriamo dato peso nessuno, che ci potessimo accomodare come si poteva.
129Rispose il buon vecchio, dove vogliono stare, Padri miei, siamo huomini semplici e tanto poverelli che appena habiamo da coprirsi, con tutto vi ofero una stanza acciò state caldi, altro di questo non posso fare, li risposi che i Poveri di Christo s’accoppiano con l’altri Poveri alla sua providenza, e mentre stava discorrendo disse la vecchia, vediamo se il Notaro nostro vicino ci volesse prestare una coverta, che almeno se li possero mettere sotto per riposarsi, e mentre voleva il vecchio andar a chiederla, passa il Notaro che tornava a casa, vedendoci ivi seder in terra, entrò e dimandò il vecchio chi eravamo e che facevamo ivi, rispose il vecchi che appunto voleva venir a demandarvi una coverta, perche questi Poveri Padrivogliono starvi perche non hanno trovato alloggio. Dove vanno ;Padri? Li risposi che a Roma, e perche non sapevamo dove andare siamo entrati da questi Poverelli, e che non havevano potuto haver in loco ospitio. Disse il Notaro non posso far altro che darvi un matarasso et una coperta, et adesso sarò qui.
130 Andò il Notaro in Casa, e conferito il caso alla moglie, li disse che levasse un matarazzo dal letto, et una coperta, e la madasse per la serva in Casa del Vecchio; la Donna li rispose dove metteranno il matarazzo in terra. È meglio farli venir qui, che noi li accomoderemo al meglio che si può, e diamoli il letto nostro, et accordatisi venne il Notaro, ci chiamò, e ci portò a Casa , ci fece una buona Cena, , era un gran fuoco, e poi ci mise a dormire al leto suo con tanta carità, che il mio Compagno restò stupito della Providenza Divina. La matina non voleva il Notaro che partissimo, ma vedendo il tempo competentemente buono non volsimo restare; ci portò ad un oratorio dissimo la messa ci diedero due giulii d’elemosina, e poi ci diede la provisione per due giorni, partissimo per Terracina dove stessimo quattro altri giorni all’ospedale perche sempre pioveva et agiustato un poco il tempo ci possimo sopra un sandalo, et andammo a fare nottata all’ospedale e da indi a Cori in Casa del Capitan Stefano Gricci tutti rovinati! Ci raccolse con ogni Carità e fatteci lavar i piedi mandò subito veder se vi fussero cavalli per Roma, et ne trovò due di ritorno, che non sapevano per chi mandarli, la matina ci possimo a cavallo, e ce n’andassimo a Frascati, dove i nostri Padri mi dissero, che il P.Generale faceva oratione per acciò che era tanto tempo che eravamo partiti da Napoli e non haveva nova nessuna, la seguente matina se n’andassimo a Roma, dove quei buoni Padri ci accolsero con gran carità, sicche doppo 24 giorni di viaggio giunsimo a salvamento per gratia di Dio.
131Era solito alla Casa di S.Pantaleo a quel tempo ricever chi veniva a voti secreti dove ancora entravano i fratelli a dar il lor voto. E per esser stato Novitio meco il fratel Luca di S.Giuseppe.di Fiesole subito.mi venne incontro e mi disse che non difidasse che saria peso suo a farmi ricevere da tutti, se n’andò a trovar il fratel Luca di S.Bernardo, et il fratel Gio:Battista di S.Andrea, e li pregò che s’adoperassero acciò fusse ammesso col mio Compagno alla famiglia della casa, , la sera fù fatta la Congregatione e da 42 voti n’hebbi 38 favorabili, e l’altri quattro dissero di no, mà vinse la maggior parte, perche cossì volse il fratel Luca per haver adentro il suo comando, et i poveri Padri sacerdoti era necessario che n’havessero patienza a far quel che volevano i fratelli.
132 Gionto in Roma subito me n’andai a trovar il P.Generale il quale m’accolse da figlio, e mi cominciò a domandare come havevo patito nel viaggio, e quanto alle cose di Napoli non vi pensasse più, ma rimetesse il tutto a Dio, il quale benche pare alli occhi nostri persecutione e mortificatione, alla mente di Dio, che nessuno la puol interpretatre forse ne caverà la sua gloria, a chi operando bene con buona e retta intentione se ne cava frutto di spirito, e quanto più siamo mortificati, e pigliar il tutto dalle mani di Dio con humiltà, Lui provederà a quanto stà determinato ab aeterno nella sua Santissima Menete, sicche non fate nessuno risentimento delli torti che vi sono stati fatti da quei Padri di Napoli, che Dio provederà al tutto, mà solo mi dispiace, che il Demonio nostro Inimico non li farà star quieti, e forsi tra di loro non s’andano tampoco d’accordo, hanno fatto e fanno tanti strapazzi al Povero P.Vincenzo con cacciarlo di Casa che se ne sta dal Conte Francesco Ottonelli con grandissimo scandalo della Città veder un Padre come quello accompagnato da un secolare per Napoli al quale ho scritto che lasci ogni impresa e se ne venga in Roma e lasciamo fare a Dio il resto,e se quei Padri pensano una cosa non havendo retto fine come dall’esterior si vede, attendiamo pure con fervore all’Instituto che facendolo come si deve tutto succederà bene, e la nostra Madre Santissima prenderà cura di noi, che forze humane non arrivano alla potenza dell’adversarii dell’Instituto
133Ho a caro, che spesso veniate da me, quando non sete impiegato dall’ubidienza, perche alle volte son solo, e se vien qualcheduno non vi è chi s’accompagna essendo il mio Compagno a far qualche negotio fuora, mentre si fanno le scuole insegno a cinque o sei figlioli, quattro figli di Pietro della Valle e due altri d’un nostro Benefattore, che m’ha raccomandati, sicche attendiamo tutti a far con fervore et allegrezza l’Instituto e lasciamo far a Dio, che quando meno pensiamo ci darà quel aiuto, che piacerà a lui essendo nostro Padre, che ha cura di suoi figlioli, il (quale) vuol essere servito et amato osservandoli quel che se l’ha promesso per via delli voti, che quelli, che hanno voltato, e voltano le spalle alla sua Madre, poco bene possono fare.
134Ho visto tanti esempii di questi tali, che tutti hanno fatto mala fine, e campato poco, e fattisi huomini alle spese della Religione, egoisti del loro sapere, vinti dalla superbia, che volevo abbassare, si risolsero sotto varii prestesti a lasciar il nostro habito e farsi Preti secolari, et amalatisi non havendo da potersi mantenere, mi mandavano a chiamare per somminitarli qualche aiuto, l’andavo a visitar all’ospedale, mi pregavano li volessi di nuovo ricevere in Casa, il che non mi pareva conveniente per diversi rispetti, se ne sono morti chi all’ospedale, e chi in casa sua, ma non ho mancato provederli di quanto havevano bisogno con quella carità come figli.
135Curioso io di saper chi erano questi li domandai con destrezza acciò mi lo dicesse, acciò con questi esempii me ne potessi valere all’occasioni che mi potessero venire.
136Mi rispose che li tre ultimi morti li cognoscevo benissimo, et il primo fù il P^.Gio:Battista di S.Bernardo che allatato da primi elementi nelle nostre scuole era d’ingeno si elevato, figlio d’un pasticiedro Romano, il quale s’innamorò del nostro Instituto dal quale haveva bevuto il primo latte, tanto mi pregò che lo ricevessi nella nostra Religione e benche piccolo d’anni, ma grande d’ingegno, lo ricevei, e postolo sotto la direttione d’Andrea Baiano Maestro Insigne nella Rettorica, e poi con altri dieci sotto la disciplina del Padre fra Tomaso Campanella che li lesse le scienze, fece profitto tale che essendo Giovanetto faceva stupir tutti mentre predicava, in tal maniera che fatto invitare all’ottava che si suol fare alla Chiesa delle Sacra Stigmate di S.Francesco, dove concorrono i migliori Predicatori, che sono in Roma, lo sentì il Cardinale Barbarino con molti altri Cardinali, che ne restarono stupiti, in tal maniera, che spesso lo voleva sentire, il quale p.esser tanto giovane, che ancora non era sacerdote faceva stupir tutti per la memoria et ingegno che haveva, cominciò poi ad allargarsi dell’osservanza, vinto dalla superbia, fui forzato per divertirlo delli suoi alti pensieri, acciò s’emendasse, che gonfio dell’aura della Corte del Cardinal Barbarino, che cominciò con altro P.chiamato Gio:Tomaso delle Carcare a dar lettione a due Giovani aiutanti di Camera del Cardinal Barbarino, chiamati uno Angelo Parracciani, e l’altro Angelo Bianchi, che raffredati tutti due nello spirito per esser molto giovani, e per levarli da qualche occasione, Gio:Battista di S.Bernardo lo mandai a Genova,
137acciò con l’esempio e costumi del P.Francesco della Purificatione ripigliasse lo spirito, che insegnasse ad una scuola, et anco ai nostri giovani, cominciò bene, ma durò poco perche saputo dal Senato di Genova che era si gran dicitore, mi scrisse la Republica che li dasse licenza acciò potesse far le Prediche dell’Advento di quell’Anno, non potei negarla e diede grandissima satisfatione, et a me cordoglio perche vedevo il suo precipitio, onde fui forzato levarlo da Genova, e mandarlo a Campie nel Regno di Napoli, luogo rimoto acciò non havesse quest’occasione di predicare per esser luogo piccolo e fuor di mano, e sotto la direttione del P.Pietro di S.Gioseppe di Bologna che li facesse far la prima scuola di Rettorica, che si portava mediocremente bene, mà durò poco perche volse predicare a quel Domo l’Advento non potendo negar la licenza al Regente Henriquez fundatore di quella Casa; cominciò a pigliar prattica con il Vicario Apostolico di Lecce, mandato datovi dal Cardinal Barberino che lui conosceva, cominciò a proteggere alcuni che non doveva e di nuovo cominciò a lasciar l’osservanza, e poco attendeva alli scolari, mettendosi a legger a due la filosofia contro ogni dovere, e senza mia saputa.
138 Vi mandai ancora il P.Gio:Antonio di S.Maria Bolognese per levar ancor lui da qualche atto di superbia, et accopiati assieme fù necessario levar Gio:Antonio e lasciar Gio:Battista. Stiede in Campie sino all’Anno 1638, mi fù fatta instanza da Cosenza che li mandasse un buon humanista e Rettorico, e pensai mandar lui per sollevarlo e metterlo sotto il governo del P.Gioseppe di Sª.Maria Napoletano, huomo quieto e semplice, per strada li furono rubbate le Prediche e giunto a Cosenza dove trovò che la nostra Casa era diroccata dal Terremoto e tornò di nuovo a Campie da dove mi scrisse che haveva a caro di ripatriare. Lo feci venir a Frascati per veder il profitto che haveva cavato di si lunga mortificatione, ma restatoli il residuo della superbia fece prattica con li due Angeli Parracciani e Bianchi, pregassero il Sr.Cardinale Francesco Barberini che da Papa Urbano 8º l’impetrasse un Breve acciò potesse uscire dalla Religione per aiuto di due sorelle orfane atte al Marito, che non havevano nessuno altro che lui, pensando far si che lasciato l’habito della Religione fusse provisto di qualche Beneficio.
139 Ottenne il Breve, si fece prete secolare, e quando andò per ringratiar il Cardinale Barbarino della gratia fattali del Breve non lo volse veder, ne dar Audienza, facendoli dire che per l’occupationi del Governo non poteva perder il tempo.

Perse le speranze nelle quali haveva fatto il suo primo fondamento pregò li due Angeli, suoi discepoli, che li trovassero impiego honorato acciò potesse vivere perche la sua speranza era appogiata in loro, li risposero, che venendo l’occorrenza haveriano fatto quel che potevano.

140 Vacò il Vescovato di Capaccio per la renuncia che fece Msgr.Pappacoda, che fù fatto Vescovo di Lecce, et Angelo Parracciani intimo del Cardinal Barbarini pregò il nuovo Vescovo di Capaccio, che pigliasse per Secretario una persona dotta et honorata, il quale era buono in tutte le materie per rispondere a qualsivoglia lettera et informar qualsivoglia Congregatione, l’hauria pero visto lui, come in fatti era vero.
141 Accettò il nuovo Vescovo D.Gio:Battista e cominciato a discorrere seco, lo trovò tanto dotto e prudente nel negotiare, che lo fece padrone assoluto del suo Vescovato, dandoli tutte quelle comodità, che poteva desiderare, riuscendo secondo il suo genio perche il Vescovo era Accademico e si dilettava assai di belle lettere, et andato alla Residenza l’attaccò tal male che fù necessitato tornarsene in Roma, e non sapendo che farsi, che si vergognava venir in Casa nostra, s’andava a raccomandar alli PP.Gesuiti al Colleggio Romano, mà superato dal male fù necessitato andarsene all’ospedale de Fatebene fratelli all’isola, da dove mi mandò ad avisare, che prima di morire haveva a caro vedermi.
Subito l’andai a trovare, e trovatolo destituto di forze lo consolai come figliolo, domandandoli che cosa voleva, il quale mi disse, aiuto e che voleva venir a morire in Casa nostra; li risposi, che quanto all’aiuto, non vi farò mai mancar cosa nessuna, come in effetto matina e sera se li mandò quanto haveva di bisogno mentre visse, ma quanto al venir in Casa, non mi parve conveniente accettarlo per dar quest’esempio ad altri con tutto che paresse crudeltà. Morì il mese d’aprile l’anno 1640, e fu sepellito al Convento di frati Benefratelli di Roma. /Perche quel che espose al Papa non fù vero, e questa fù la causa che non lo volse in Casa/
142Quanto al P.Gio:Tomaso Compagno del già P.Gio:Battista morto; lo mandai in Germania dove stiede alcuni anni, e pensando che si fusse humiliato, volse tornar in Patria, uscì dalla Religione, e si fece Canonico Regulare Lataranense, il quale ha passato molte disgratie e due volte ha apostatato, non so poi il suo fine perche pochi mesi sono fu rimesso di nuovo, e mandato a Napoli, che poi non ho saputo altro.
143Il 2º delli 3 fù il P.Ambrosio Romano figlio d’un Mercante di Tela, allevato anch’egli nelle nostre scuole; il quale fù vestito pèr fratell operario, e perchè applicava assai al scrivere et Abbaco, mi contenati che vi s’essercitasse, fece tanto profitto, e l’insegnavo io medesimo, che lo mandai a Genova e poi a Fiorenza dove attese alla Matematica, che fù Maestro insigne et accoppiato con il F.Francesco Matematico, che insegnava alli Prencipi fratelli del Gran Duca di Fiorenza, alli quali venne tentatione di farsi sacerdoti, che l’ottenero indirettamente e furono Causa della Rovina della Religione, anzi questo Ambrosio si fece Capo di tutti i fratelli contro Sacerdoti e Chierici, si fece fare la procura, e compariva nei Tribunali in nome di tutti, e volendolo un giorno riprendere che attendesse a se medesimo, e che non travagliasse più la Religione, questo fù in Sacrestia, mi rispose in tal maniera che sagliendomene sopra, mi seguitò per le scale sino in Camera dicendomi mille villanie, e mi fece assai meritare con la patienza, non li risposi altro che andasse alla buon hora a far oratione, ne si facesse vincere dalla superbia, capo di tutti i mali, che bastava quanti danni haveva fatti a tutta la Religione, et haveva preso tant’ardire di strapazzar i Superiori, che s’emendasse altrimente aspettasse il Castigo Divino, crebbe tanto la superbia che s’associò al fratel Salvatore della Cava, et uscirono tutti due dalla Religione per vim et metum.
144 Uscito questo Ambrosio dalla Religione andò a servire alla guerra di Papa Urbano per Auditor Generale dell’Armi Pontificie in aiuto di Mons.Rapaccioli che in quel tempo era Prefetto Generale dell’Armi di S.Chiesa, e per li patimenti de viaggi et incommodi s’ammalò gravemente, e condotto dall’esercito in Roma in Casa della Madre mi fece avisato, che l’andasse a vedere, subito l’andai a visitare e ricordatoli che la morte era vicina, che facesse quell’atti di vero Christiano, e si raccomandasse alla Beatissima Vergine, che l’haveva allevato e nutrito col suo latte. Veramente mostrò atti di tanta virtù che ne restai consolato, solo mi disse che Dio lo castigava per la sua troppa Audacia superba e che mai haveva voluto intendere le buone ammonitioni che l’havevo date, che desiderava esser sepellito con l’habito nostro nella nostra Chiesa, li risposi, che quanto all’habito allor lo lascia una volta non si può prendere più, che in quanto alla sepoltura se l‘elegeva come a secolare l’haveria fatta la carità come si fa all’altri, del resto di qualsivoglia cosa che l’ordinasse il medico,lo mandasse a pigliare che tutto le saria provisto, le medicine le faria far in casa dal nostro spezziale, et attendesse solo all’Anima sua e non pensasse ad altro, e fra pochi giorni se ne morì che per non haver fatto eletione di sepoltura fù sepelito alla Parocchia di S.Eustachio.
145 Il terzo fù il fratel Salvatore della Cava, Compagno del sopradetto Ambrosio, il quale fù vestito ancor lui per fratel operario, fece grandissimo profitto nello spirito, e vedendolo cossì modesto, che poco parlava, cominciò ad imparar l’Abbacco e poi studiò da per se Matematica, fece tal riuscita, che lo facevano chiamar i Cardinali a veder le cose curiose, che faceva, e se non era mandato per forza, non si moveva andare là scusandosi che non poteva lasciare la scuola e li suoi studii continui, et altre volte venivano a trovarlo, e li dava audienza in scuola dove haveva fatti molti instrumenti Matematici curiosi, ne restavano molto satisfatti e per darli qualsivoglia satisfattione volse andar in Venetia a comprarsi una quantità di libri per la sua professione, li diedi 300 e lettere di favore acciò fusse aiutato a far dª provisione, tornò a Roma con grandissima sua satisfatione, e mio contento, prosegui li suoi studii e fece grandissimo profitto perche era tutto dedito a studiare, che sino alla Recreatione comune si portava sempre un libro e studiava, ancor che l’altri discorresssero di varie cose, no per questo si distraeva della sua applicatione di studiare, che alle volte lo mettevo per esempio a quelli che non volevano studiare, sicche si portava benissimo, et attendeva a studiare.
146Haveva una scuola di 140 scolari con tre altri Maestri, che l’aiutavano, e Messer Ventura Sarafellini vi era tanto contento, che sempre mi diceva non haver mai havuto in tanti che era venuta fatta la scuola di scrivere un huomo di tanto silentio e riuscita nell’insegnare con facilità, di questo Sarafellini si parlarà altrove.
147 Fù tale la tentatione che li pose in capo il P.Ambrosio che lo fece cominciare a svanire dallo spirito, e li pose in capo, che poteva esser Padrone di tutta Roma con la sua virtù, e non lasciasse l’occasione propizia che l’era venuta; poiche Monsig. Rapaccioli suo Protettore l’hauria fatto Ingegniero Maggiore dell’esercito Pontificio, e si poteva più avanzare nelli studii e farsi conoscere da tutto il Mondo, e che saria stato suo peso far il tutto. Li fece questo tal impressione, che si propose seguirlo, fece provar la sua Professione nulla per mezzo di favori, e si venne a licenziar da me piangendo, che quando mi disse il suo pensiero ne restai molto dolente per far perdita d’un simile soggetto come era questo, mà conformandomi col Divino Volere, li dissi: figlio da me cresciuto, insegnato et allevato con tante spese e stenti, et hora abbandoni la tua Cara Madre, e tanti nostri scolari, che Dio sa che cosa faranno, quando sapranno questa tua inaspettata resolutione, considerate bene quel che fate, e non vi lasciate vincere dalle passioni altrui contro voi stesso.
148 Piangeva a queste parole fratel Salvatore, mà disse haver data la parola, e la cosa era passata tanto avanti che Mons.Pansirola n’haveva discorso col Cardinal Antonio Barbarino Capitan Generale dell’Armi della S.Chiesa, e questo anco n’haveva discorso al Papa, e l’havevano fatta la patente d’Ingegnero Maggiore e non poteva tornar a dietro essendo il tutto agiustato. Sicche prendo buona licenza da V.P. e la prego tenermi raccomandato alle sue orationi, e con questo si licenziò, se n’andò all’esercito, e fra poche settimane s’ammalò per i patimenti e mutatione d’una vita cossì stretta cambiata tra strepiti di soldati e larghezza di coscienza. Diede in malinconia tale, visse pochi mesi, e se ne morì come mi fù riferito a Ferrara, fù pianto e compatito da me e da tutti i nostri Padri per haver perso un soggetto tale sviato da uno che fù il principio della nostra Rovina, ho voluto raccontarvi questi esempii acciò vediate il fine, che fanno questi che si lasciano vincere dalla superbia e dalla tentatione; come vanno facendo li Padri di Napoli, che fanno andar raminghi tanti soggetti per i loro capricci, piaccia a Dio che non vi sia qualche grave sua offesa.
149 Haveva il P.Tomaso informato tutti i Padri di Roma di quanto era successo in Napoli, e la cagione perche s’era partito, il che generò molto mal affetto contro di loro, e perciò alle volte mi domandavano le cause perche erano stati scacciati i forastieri, che se ne capitasse uno di loro in Roma, l’haveriano chiariti.

Solo li rapresentavo, che tutto il male veniva da quei che havevano il Breve per lasciar il nostro habito, che per farsi il Borsotto, e portar via quanto potevano dalle nostre Case, non volevano persone che potessero dirli lasciate queste Robbe perche son nostre come più volte e successo a me medesimo, e saria bene a trovar modo a farli prefigere un termine o che rinuncino il Breve o vero se ne vadino alle case loro perche altrimente sempre sarà peggio.

150 Fece grandissima impressione questa proposta perche da altre Case veniva scritto al P.Generale il medesimo, e con questo s’andava pensando come si poteva fare per rimediare a questo inconveniente.

Venne nuova al P.Generale da Napoli che furono cacciati dalla casa di fuori Porta Reale il P.Carlo di S.Maria, il P.Gio:Domenico della Regina degli Angioli, et il P.Francesco di Tutti Santi da Squinzano luogo vicino a Lecce. Il P.Carlo andò un pezzo per Napoli solo, che poi preso il Breve, fù fatto Confessore delle Monache di S.Patritio, che poi morì di Peste, e lasciò quanto haveva alli Padri di fuor Porta Reale; il P.Gio.Domenico se n’andò a Cosenza sua Patria et il P.Francesco di Tutti Santi se n’andò a Campie, da dove fù poi pregato per lo gran bisogno che havevano in Napoli, fù fatto Superiore, e morì di peste alla Casa di Posilipo.

Notas