Diferencia entre revisiones de «BerroAnnotazioni/Tomo3/Libro2/Cap18»

De WikiPía
Saltar a: navegación, buscar
(Página creada con «{{Navegar índice|libro=BerroAnnotazioni|anterior=Tomo3/Libro2/Cap17|siguiente=Tomo3/Libro2/Indice}} {{OCR}} Ver BerroAnotaciones/Tomo3/Libro2/Cap18|Ver traducción en...»)
(Sin diferencias)

Revisión de 13:58 23 oct 2014

Tomo3/Libro2/Cap17
Tema anterior

BerroAnnotazioni/Tomo3/Libro2/Cap18
Índice

Tomo3/Libro2/Indice
Siguiente tema


Aviso OCR

Este texto ha sido obtenido por un proceso automático mediante un software OCR. Puede contener errores.

Ver Ver traducción en Castellano

Cap. 18 Successi a due de Nostri gravemente infermi

Il P. Angelo di S. Domenico luchese stando in Roma si amalo di grave infermità di febre nell'anno 1650. Fu posto nella camera vicino alla lampada nel primo dormitorio, nella quale per molti anni haveva habitato, e dormito il N.V.P. Fondatore e Generale Gio-seppe della Madre di Dio prima della sospensione dal Generalato. In questa camera donque stando infermo il detto P. Angelo si aggravò in modo che stava in pericolo della vita, e dopo alcuni giorni diede in un delirio grande di alcuni giorni, et finalmente in un letargo, che li durò da quaranta hore, si che da tutti fu stimato, e custodito come agonizante, havendo però ricevuto tutti li Sant.mi Sacramenti e di momento si aspettava che spirasse.

Dopo questo tempo in un subbito rinvenne in se con notabile miglioramento for di ogni nostra espettatione e de medici, mangiò, parlò, conobbe tutti, e ci contò, come segue.

Che quando noi stimavamo delirasse, egli era gravemente tentato, e travagliato dal demonio con tentationi di fede, di sensualità, di bestemia, di superbia, di vanagloria, e di disperatione et che scacciandone una subbito si vedeva in mezzo nell'altra, si che li pareva che per la vehemenza di quelle, et inquietudine, che li davano fosse come impazzito, et che quando alcuno di noi li diceva qualche cosa si solevava per quel poco, ma che subbito lasciato si trovava oppresso dalle medesime tentationi, contro le quali con la Iddio gratia procurò sempre di combattere.

Parveli possia di essere effettivamente morto, e di esser condotto da una guida da esso non veduta, ma sentita, a salire una gran montagna, et in salendo quella fra quelli dirupi in più luoghi vedeva scritto il suo nome Angelo di S. Domenico, per il che sempre più si confirmava di esser morto, parendoli che quelli scritti fossero le cittationi della morte; et quanto più saliva il monte in guardando a basso sempre più piccolo li pareva il mondo, si che gionto alla cima li parve che il mondo fosse un punto, un niente; dal che nacque nel suo intelletto una cognitione grande del poco conto che si deve fare del mondo, e delle cose sue essendo così poca cosa a compara-tione del cielo.

Da questa sommità del monte scoperse un grandissimo paese tutto aperto, si che non si vedeva altro, che cielo e terra, parevali però, che fossero di differenti qualità di questo nostro di quagiù, e camminando per quello per molto tempo, gionsero ad un torrente, o fiume, che divideva quella gran campagna, le sponde del quale d'ambi le parti erano tutte verdi e piene di herbette con alberi frondosi per il longo fiume, si che rendevano una bellissima vaghezza di ri vera. Nelle sponde del fiume viddi gran moltitudine di popolo sparso per il longo di quelle, ogn'uno però da se, et per il più a sedere et alcuni pochi per breve spatio di luogo passegiavano, ma tutti melenconichi, et afflittissimi et ogn'uno haveva attacato alle spalle un fardelletto di differente grandezza, come se havessero a far viaggio, del che restai io molto amirato e domandai alla mia guida, che persone fossero quelle, dal quale mi fu risposto, essere anime, che per anche non erano state giudicate, e però stavano aspettando la loro sentenza, del che restai molto amirato et atterrito, e come fori di me, per quello che vedevo, et perchè conoscevo essere anche io in quello stato, come anche perchè venivo guidato da chi non vedevo, conoscendo che le mie proposte, e le risposte della mia guida non erano con articolar la voce, ma come una cognitione dell'intelletto, per il che conobbi, e mi assicurai esser veramente senza il corpo, et esser quello parlare delli spiriti e non degli huomini viventi.

In questo mi trovai con la mia guida di là del torrente senza sapere come fosse sucesso in una grandissima campagna nella quale caminando assieme mi sentivo sempre risonare: Tu sei nello stato di quell'anime non ancora giudicate, che così afflitte se ne stanno, e non vi pensi! Et havendo caminato per quella campagna gran tempo, ci viddimo gionti ad una grandissima muraglia come di una gran città, nella quale fissando l'occhi viddimo non vi essere altra apertura che una ben stretta e bassa porta, et piegandosi la guida entrò in quella, et facendo io il medesimo gionsimo in uno grandissimo cortile, dove fui preso, e circondato da un splendore sì grande, che superava infinitamente quello del sole, et io restai per ciò come abbagliato, et atterrito insieme, per il che la guida mia facendomi animo disse, guardate, guardate pure ogni cosa; ma in effetto per il grandissimo splendore non mi ricordo vedessi altro che nel per contro, e secondo muro una gran porta per la quale si scopriva una gran lontananza con il medesimo splendore che quello del cortile, o vogliam dire che fra le due mura.

Usciti dalla detta gran porta della 2a gran muraglia ci trovarne in uno vastissimo paese senza termine né fine alcuno a guisa tale splendente e diaffeno che pareva un mare di cristallo, et il cielo di altra sostanza, che quello si vedde nel mondo, e girassimo gran parte di quello, né si vedeva altro se non che da lontano molte persone caminare alla sfilata, et ogn'una da se. In questo luogo sentivo in me tale consolatione et allegrezza, che non posso esplicarlo; ma nel meglio la mia guida mi disse: Hor basta, si deve tornare in dietro, per le quali parole proruppi in un dirottissimo pianto, e parvemi d'essere gionto in un subito al mio corpo, quale mi pareva vivo, se bene io mi conoscevo fuori di esso, et in questo tornai in me, conobbi e parlai con Padri, come V.R.

Questo successo contò all'hora, e ricercato me lo ha ridetto alli 14 settembre 1665 stando noi due in Roma.

Successo 2a

Essendo io Vincenzo della Concettione Provinciale della Liguria nel 1659 sino al 1662 di febraro in una volta fra le altre che in detto tempo fui alle Carcare il P. Ciriaco dell'Angelo Custode luchese che era Rettore delle Scuole Pie in detta terra, a proposito del discorso, che si faceva fra noi e di una infermità sua di più anni prima mi contò esserli occorso in detta infermità, come qui sotto.

Gionsi alla porta, o punto ultimo di mia vita, mi disse, et in efetto mi pareva di esser l'anima mia uscita dal mio corpo, et essere menato dal mio Angelo Custode per un paese tutto differente da •questo mondo, et etiam nell'aria e cielo conoscevo esservi differenza da questo di qua giù. E parvemi che dopo longo camino gionges-simo ad un fiume, o torrente, dove era un numero grandissimo di persone, che si lavavano in quell'acqua ogn'uno da se in differenti modi. Alcune solo le gambe, altri una spalla et un braccio, altri si gettavano l'acqua sopra tutta la vita, altre stavano nel torrente sino alla cintura, altre alquanto più sopra, altre meno, altre sino al collo; dimostravano però tutte sentire dolore immenso, e grandissimo nelli gemiti che davano, e storcimenti, che della persona facevano in bagnandosi, ma con altre tanta patientia soportavano il tutto, per il che io mi atterrii e commossi molto, e piangendo domandai alla mia guida chi fossero quelli, che così pativano.

Egli mi rispose: Sono anime di persone morte in gratia di Dio, •qui stanno purgando le loro colpe, e la differenza del modo di bagnarsi con l'acqua denota la disuguaglianza delle colpe commesse, e del dolore e pena che sentono in sodisfare per quelle; sono però sicure del Paradiso. M'intenerii assai assai con tale vista, e dopo qualche spatio di tempo che stettimo ivi compatendole, ambidue proseguimo il viaggio per paesi vastissimi, e dopo haver caminato molto e molto per paesi vastissimi gionsimo ad uno gran fiume, e passato non so in che modo gionsimo in una gran pianura, e cami-nando per quella vedevamo da lontano grandissime compagnie di persone, che tutte andavano verso una parte, alla quale gionsi io ancora con il mio Angelo, e viddi un gran personaggio sedere sopra un trono molto maestoso circondato da un indicibile splendore.

Atterrii io subito in vedendo sì gran Maestà e restai come immobile; se ne accorse il mio Angelo e mi fece animo dicendomi:

Questa è la Divina Giustitia, alla quale si presentano tutte le anime, che vengono dal mondo per essere giudicate; e ciò dettomi, l'Angelo mio mi ritirò alquanto in disparte, in luogo però che vedevo benissimo il tutto, ma restai tanto atterrito che mi pareva non poter rispirare, e per ciò spesso mi voltavo al mio Angelo dal quale mi era fatto animo, dicendomi, non dubitare: veddi e considera il tutto.

Venivano avanti alla divina giustitia le anime piene di grandissimo timore, et in comparendo quelle, essa con la mano le faceva cenno dove dovevano proseguire il loro viaggio, o a mano destra, overo alla sinistra. Quelle che alla mano destra erano inviate con un'angelica faccia e mani gionte cantando lodi a Dio se ne partivano. Quelle poi della sinistra subito visto il segno dando un grande strillo si coprivano gli occhi con le loro proprie mani serrate, fatte a pugni, come si suol dire, et in tal modo caminavano per una molto larga via.

Stetti gran tempo vedendo e considerando il tutto, e con grandissimo timore che segno mi fosse per essere fatto, ma la divina giustitia mai mi guardò.

Mi prese poi l'Angelo per la mano e guidandomi alla parte sinistra dicendomi: Non temere ma considera ogni cosa. Per sì longa strada si vedevano una moltitudine inumerabile di quelle povere anime, che con gli occhi serrati dalle loro mani come ho detto stridendo, et urlando caminavano verso una gran montagna che molto da longi si scopriva, et a quella gionto con il mio Angelo viddimo una gran caverna, dove entravano tutte quelle anime, m'introdusse in quella anche l'Angelo, et viddi molti demonii in diversi modi armati di longhe forcine di ferro, et una gran bocca di fornace di dove uscivano fiamme di oscuro e puzzolentissimo fuoco con strilli grandissimi. In intrando io in questa caverna fui preso da sì gran terrore e spavento, che mi parve novamente morire, se bene stavo ben stretto attaccato con la mano del mio Angelo Custode, il quale facendomi animo diceva: Non temere, che io sono in tua compagnia, né ti lascerò. Guarda e considera ogni cosa.

Et io viddi che in giungendo quelle anime nella caverna erano da quelli maligni et infernali spiriti prese con quelle forcine come se fossero state legna, e gettate in quella grande et horribile bocca di fornace con dimostratione di gran rabbia; e quanto maggiore era il numero delle anime, che nella caverna giongevano, tanto maggior galoria (?) e festa facevano quelli maligni spiriti, et perchè questi più volte mi guardarono come per pigliarmi io tutto atterrito mi raccomandavo al mio Angelo Custode, dal quale ero diffeso, et inanimito.

Doppo longo spatio di tempo fui cavato fuora dalla caverna dal mio Angelo, e fui dal medesimo guidato dalla parte destra, ma molto da longi, dove non scoprivo altro che un grandissimo splendore, e sentivo in me una straordinaria, e grandissima consolatione, e domandando al mio Angelo Custode di passare avvanti in quella strada sì bella e splendente, esso mi rispose: Non è per anche tempo, questo ti basta, e riccordatene, et così fui lasciato dall'Angelo, e tornai in me, e guarii in breve di quella infermità.

Questo in sostanza e quasi ad litteram, mi contò il P. Ciriaco dell'Angelo Custode, essendo esso Rettore delle Scuole Pie delle Carcare, et io a gloria di S.D.M. et utile nostro e del lettore di questo l'ho io qui di propria mia mano scritto con il sopra detto del P. Angelo di S. Domenico.

Vincenzo della Concettione

sacerdote professo di voti solenni de Ch.ci Pov.ri

della Madre di Dio delle Scuole Pie.

Notas